Elezioni volute, temute, minacciate ed il gioco delle parti del Senatur

E’ davvero una bestia politica estremamente astuta ed anche un personaggio pirandelliano Umberto Bossi, che trancia giudizi e sentenze sempre ambigue ed antinomiche ed in queste ore si esercita a spiazzare gli altri politici ed i giornalisti, con frasi in cui si combina ottimismo e pessimismo, possibilità ed il contrario. Le elezioni “si possono fare […]

E’ davvero una bestia politica estremamente astuta ed anche un personaggio pirandelliano Umberto Bossi, che trancia giudizi e sentenze sempre ambigue ed antinomiche ed in queste ore si esercita a spiazzare gli altri politici ed i giornalisti, con frasi in cui si combina ottimismo e pessimismo, possibilità ed il contrario. Le elezioni “si possono fare anche a novembre” assicura il Senatur, che si dice appunto “poco ottimista” su un possibile compromesso Berlusconi-Fini. “Se cade questo governo inevitabilmente si va al voto con grande ‘rottura’ da parte degli italiani”, ha spiegato, subito dopo. Ma poi, ecco l’astuzia pirandelliana, afferma che i quattro punti di verifica troveranno il consenso di tutti: “Ci staranno tutti: Fini, la sinistra, tutti quelli che hanno paura del voto”. Dice la sua, oggi, anche Franco Frattini, colomba che più non si può nel Pdl, il quale tuttavia avverte che i quattro punti di verifica non sono emendabili ed aggiunge che giudica “irricevibile” l’appello di Italo Bocchino a cambiare i tre coordinatori Pdl, definendo infine “principi golpisti” quelli di chi vuole cambiare maggioranza. Quanto a Futuro e Lbertà, il vicepresidente vicario Benedetto Della Vedova, saluta positivamente l’idea della verifica perché ritiene che non vi sia “una sola ragione politica per le elezioni anticipate: i deputati di Futuro e Liberta’ erano in maggioranza col vecchio gruppo e vi resteranno con il nuovo”. Ma invita il Pdl a non lanciare i quattro punti programmatici “come un infantile guanto di sfida”. A tutti risponde Daniele Capezzone che taglia corto: “il tempo delle battute e delle provocazioni è scaduto. O a settembre c’e’ chiarezza sui punti fondamentali del programma, senza inganni e senza retro pensieri, oppure sarà giusto ridare al più presto la parola alla gente, senza pasticci e senza ribaltoni”. Insomma è evidente che tutti hanno paura di elezioni e tutti le usano come minaccia per spaventare gli avversari. L’unico che, ne siamo sempre più convinti, vorrebbe tornare a votare subito è il Cavaliere e, come scrive sulla Gazzetta del Mezzogiorno Giuseppe De Tommaso, se Bossi avesse dato l’ok, probabilmente si sarebbe già presentato al Quirinale con un’argomentazione scritta: “Caro Presidente Napolitano, la mia coalizione non ha più la maggioranza alla Camera, come ha dimostrato la votazione sulla mozione di sfiducia al sottosegretario Caliendo. Non dispongo più – avrebbe continuato –  dopo la scissione di Fini, dei 316 voti che garantiscono il governo in ogni votazione parlamentare. A questo punto mi affido a Lei, Signor Presidente. Dal momento che la Lega non è disponibile per ribaltoni o giri di valzer più o meno istituzionali, e dal momento che lo stesso Giulio Tremonti ha escluso di poter guidare un esecutivo tecnico dal retropensiero dichiaratamente anti-berlusconiano, non resta, a mio parere, che richiamare il popolo alle urne”. Se si è fermato è perché Bossi è ancora possibilista e perché teme, davvero, il risultato del voto, non tanto alla Camera, quanto al Senato (costato, come già visto, la caduta dell’ultimo governo Prodi). Tutti i sondaggi, o quasi, danno per favorito il tandem Pdl-Lega in caso di ritorno alle urne. Ma i favori del pronostico riguardano la consultazione per la Camera. Al Senato, infatti, i giochi non sarebbero così semplici, come accadde al centrosinistra di Romano Prodi nel 2006. Il voto per Palazzo Madama non si fonda su un unico, nazionale, premio di maggioranza, ma su 17 premi divisi su scala regionale. Per assicurarsi un buon margine di seggi in più al Senato, la coalizione vincente deve prevalere un po’ dappertutto. In caso contrario sarebbe condannata a una vittoria dimezzata, mutilata, cioè all’ingovernabilità permanente. Prospettiva che il Cavaliere intende schivare come un esorcista fa col demonio. E siccome i movimenti attorno al cosiddetto Terzo Polo si fanno ogni giorno più serrati, il Premier teme che l’obiettivo di cotanto attivismo sia lo stallo o il sostanziale pareggio elettorale al Senato: allora sì che prenderebbe corpo l’ipotesi di un governo tecnico diretto da Mario Draghi o Giulio Tremonti. Insomma di là dai tatticismi (apparente mano tesa ai finiani, corteggiamento verso La Destra, UDC ed API, tentativo di ri-sedurre l’MPA), ciò che Berlusconi vuole a tutti i costi è assicurarsi la permanenza a Palazzo Chigi, anche facendo più ampie concessioni alla Lega e anche rischiando una sua ulteriore crescita elettorale. Sempre ieri, anche sul governo tecnico Bossi è tornato a tranquillizzare Berlusconi: “il popolo sarebbe espropriato del proprio diritto di voto”. Ma poi l’uscita pirandelliana sul Sud, nodo spinoso nei programmi del Cavaliere che al Sud macina voti e consensi. Il fedele alleato si fa uno sgambetto con una dichiarazione a dir poco tranchant: “Un piano da 80 miliardi per il meridione a cui stanno lavorando Tremonti e Fitto? Non credo”, taglia corto il Senatur. “Non serve a nulla dare i soldi al Sud. Si è visto a cosa sono serviti in passato. L’unico piano vero è il federalismo, che facciamo proprio per cambiare l’andazzo”. Berlusconi dice che non scommette un centesimo sul futuro politico di Fini che sarà distrutto più rapidamente dallo scandalo della casa a Montecarlo. Ma in realtà non ci ha preso quasi mai con i pronostici ed un alleato così incontrollabile come Bossi, forse fa proprio il gioco dei suoi avversari più pericolosi.

Carlo Di Stanislao

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