Un mese di precariato, manifestazioni parallele in più di quaranta piazze

Un mese di precariato all’attacco per chi è di solito costretto a vivere il precariato in difesa. Le molteplici realtà che compongono il mondo del lavoro saltuario e non garantito scatenano un’offensiva che attraversa un mese di iniziative. Si comincia oggi sabato 9 aprile con “Il nostro tempo è adesso“, cioè una serie di manifestazioni parallele […]

Un mese di precariato all’attacco per chi è di solito costretto a vivere il precariato in difesa.
Le molteplici realtà che compongono il mondo del lavoro saltuario e non garantito scatenano un’offensiva che attraversa un mese di iniziative. Si comincia oggi sabato 9 aprile con “Il nostro tempo è adesso“, cioè una serie di manifestazioni parallele che si svolgono in più di quaranta piazze italiane. La Cgil spalleggia l’iniziativa delle associazioni del precariato fornendo mezzi e strutture, appoggio accolto dai precari con un significativo “meglio tardi che mai“. Il rapporto della costellazione precaria con il maggiore sindacato italiano è complesso e spesso tumultuoso. Aggregazioni come la rete di San Precario imputano all’organizzazione di Susanna Camusso sostanzialmente due colpe: un ritardo nell’elaborazione teorica e il tentativo di strumentalizzare la questione del precariato.
Non stiamo parlando di una condizione residuale, da bonificare – protestano le menti più lucide – bensì della natura stessa del lavoro oggi. Precari non sono più solo i giovani, precariato è un modo di vivere. I diritti non vanno perciò conquistati solo al di dentro del lavoro: non funziona più. Devono essere estesi alla società nel suo insieme. E da qui si ritorna al mai tramontato tema del salario di cittadinanza. Idee che saranno ulteriormente elaborate dal 15 al 17 aprile a Roma, durante gli stati generali della precarietà, patrocinati da San Precario, l’icona pop dei lavoratori non garantiti. Qui si ritrova l’umanità precaria nelle sue varie forme più o meno organizzate: comitati, parasindacati, gruppi grandi e piccoli, collettivi, singoli. Si arriva poi all’appuntamento ormai “tradizionale” della Mayday parade di Milano, la “sfilata” giunta ormai alla sua decima edizione che, come scrive il Manifesto, “piaccia o no, è la più importante manifestazione del primo maggio in Italia”. Centomila persone l’anno scorso ma, riconoscono gli stessi organizzatori, va ripensata. Nelle ultime edizioni infatti i temi del lavoro hanno sempre più lasciato spazio a una grande festa di strada, quasi un rave party, in cui si rischia di perdere i punti di riferimento. Il problema sarà affrontato in un ciclo di incontri che cominciano il 12 aprile. Lo sciopero generale della Cgil del 6 maggio sarà infine l’occasione per capire a che punto sia, e se esiste un futuro, per la ricomposizione tra sindacalismo tradizionale e universo precario. La maggiore sigla del Paese è stata tirata per i capelli dal comitato Uniti contro la crisi in un’agitazione estesa, dove è innegabile il ruolo trainante della Fiom. I precari cercano una loro collocazione, chiedendo di essere maggiormente coinvolti proprio per quanto si è detto prima: non sono residuali, bensì il nuovo volto del lavoro. Senza di loro, si perde.

Su tutto il percorso aleggia un fantasma, quello dello sciopero precario: come farlo?
Il punto è che, detta banalmente, i precari non hanno diritto di sciopero e ogni ora sottratta al lavoro rischia di essere l’anticamera dell’espulsione dal lavoro. Sì – ribattono quelli da San Precario – partiamo però da una constatazione: “Se noi precari ci fermassimo si bloccherebbe il paese“.(PeaceReporter)

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