Accorciare le distanze

È quasi certo che la grande maggioranza dei cittadini non si renda conto con precisione di quello che sta succedendo, e in particolare dei rischi che corriamo. Bisogna crederlo, perché le strade sono troppo tranquille. Non si vedono capannelli di gente intenta a scambiarsi commenti allarmati negli angoli delle strade o nei caffè, e nelle […]

È quasi certo che la grande maggioranza dei cittadini non si renda conto con precisione di quello che sta succedendo, e in particolare dei rischi che corriamo. Bisogna crederlo, perché le strade sono troppo tranquille. Non si vedono capannelli di gente intenta a scambiarsi commenti allarmati negli angoli delle strade o nei caffè, e nelle conversazioni private non dominano i riferimenti alla situazione politica ed economica europea. Tuttavia qualcosa sta cambiando. Una certa inquietudine comincia a serpeggiare un po’ ovunque nei luoghi e nei momenti della quotidianità, una sensazione vaga ma palpabile, come un addensarsi di nuvole che promettono pioggia e temporali, e ci obbligano a ricordarci dove abbiamo riposto l’ombrello l’ultima volta.

Per anni, per decenni, è esistita una distanza fra la quotidianità e la politica. Ci si poteva permettere di disinteressarsi di quello che succedeva al di fuori della cerchia ristretta delle proprie occupazioni. Qualcuno “si interessava” di politica, come ci si può interessare di giardinaggio, degli scacchi o dell’arte informale, qualcun altro no. Era una scelta. Non parliamo di politica estera: qui la distanza era addirittura abissale. Poche cose erano lontane dai nostri pensieri quanto le decisioni di Bruxelles e di Strasburgo, o le scelte di politica monetaria della banca centrale americana.

È questo che sta cambiando, e con una rapidità che dovrebbe sconcertare chiunque.

D’improvviso mantenere questa distanza si è fatto impossibile. È come se un argine fosse crollato. Non passa giorno senza che notizie di politica europea riempiano i giornali, e sono tutte notizie allarmanti, che mettono in fibrillazione i nostri politici, i nostri banchieri, i nostri industriali e i nostri sindacati. E diventa sempre più chiaro che da queste notizie dipende qualcosa di più della serenità di funzionari in giacca e cravatta ed esperti più o meno paludati: ad essere in gioco sono d’un tratto il nostro lavoro, i nostri risparmi, i nostri diritti, il nostro accesso ai servizi fondamentali e la possibilità di pianificare il nostro futuro nei prossimi mesi o anni; in breve, quello che amiamo considerare il nostro individuale “progetto di vita”.

Nell’arco di pochi mesi, forse di poche settimane, si deciderà se il sistema del credito in Europa potrà ancora funzionare: e sulla base di questa decisione centinaia di aziende in Italia sopravviveranno o dovranno chiudere i battenti, e migliaia di lavoratori conserveranno o perderanno il loro posto di lavoro.

Molti vedono la possibilità che lo stato italiano vada in bancarotta come un’eventualità remota e fantastica: si sbagliano. Se la Grecia andrà in default nulla più potrà garantire il debito italiano, e un’insolvenza di portata colossale sarà a pochi passi da noi.

Questo non significa che non sia possibile evitare tutto ciò: significa che tutto ciò dipende da scelte politiche che potranno o non potranno essere fatte, a seconda di quello che passerà per la testa di un certo numero di persone che fino a qualche anno fa potevamo permetterci di ignorare, e che oggi stanno decidendo che ne sarà dei nostri risparmi, dei nostri stipendi e delle nostre pensioni.

È tempo di farsene una ragione: il nostro destino personale – il futuro prossimo e remoto di ognuno di noi – dipende da quello che in queste ore sta accadendo in Europa. Non è più pensabile programmare il proprio futuro, decidere come impiegare i propri risparmi, come e quanto spendere, se cambiare o meno un lavoro, se iscrivere un figlio a un asilo nido oppure no senza tenere conto delle decisioni che verranno prese a livelli che solo fino a ieri potevamo ancora credere lontani e ininfluenti. L’Europa è a pochi metri da noi, e quello che il parlamento tedesco deciderà nei prossimi mesi avrà più importanza delle decisioni del nostro presidente del consiglio.

Detto ciò, ognuno resta libero di regolarsi come crede.

Possiamo sforzarci di ignorare questa circostanza stupefacente, e coltivare finché possibile la magica distanza che per tanti anni ci ha separati da Bruxelles, Strasburgo, Francoforte e Parigi; oppure sforzarci di adattare la nostra percezione al corso tumultuoso degli eventi, e ridurre il più possibile la distanza che i nostri occhi – mentendo – ancora insisterebbero a mostrarci abissale e incolmabile. Siamo semplici cittadini. Possiamo, come sempre, “interessarci” o “disinteressarci”. Ma è probabile che la nostra scelta e la condotta che ne deriverà, per quel poco che sarà in nostro potere, non saranno più senza conseguenze, per tutti e per ciascuno di noi.

 

 Michele Ballerin

Movimento Federalista Europeo

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