I misteri del quasar PKS 1222+216 troppo energetico che illumina di raggi gamma la Terra

Nuova luce sul quasar “PKS 1222+216” che improvvisamente dalle profondità spaziotemporali del Cosmo ha iniziato ad emettere un’enorme quantità di radiazione gamma verso la Terra, registrata dai due telescopi europei MAGIC (Major Atmospheric Gamma Imaging Cherenkov) installati sull’isola di La Palma nell’arcipelago delle Canarie. I quasar sono galassie distanti e molto luminose che sembrano essere […]

Nuova luce sul quasar “PKS 1222+216” che improvvisamente dalle profondità spaziotemporali del Cosmo ha iniziato ad emettere un’enorme quantità di radiazione gamma verso la Terra, registrata dai due telescopi europei MAGIC (Major Atmospheric Gamma Imaging Cherenkov) installati sull’isola di La Palma nell’arcipelago delle Canarie. I quasar sono galassie distanti e molto luminose che sembrano essere alimentate da buchi neri supermassicci al loro interno. Sono la fonte di energia più potente dell’Universo. Tuttavia la troppa radiazione e i valori di energia troppo elevati, rilevati in PKS 1222+216, secondo le attuali teorie che descrivono i meccanismi fisici alla base dell’emissione di radiazione da questi straordinari corpi celesti ultra-energetici, sarebbero latori di un mistero affascinante. Una possibile interpretazione, assai suggestiva secondo gli scienziati, esiste. L’anomalia osservata potrebbe essere spiegata con l’esistenza di una particella elementare finora mai scoperta direttamente ma teorizzata da diverse estensioni del Modello Standard, la teoria che al momento meglio descrive le proprietà e le interazioni dei più piccoli mattoni della materia, confermata dalla probabile scoperta del Bosone di Higgs. A proporre questo nuovo scenario, in un articolo pubblicato Martedì 23 Ottobre 2012 sulla rivista “Physical Review D”, sono quattro ricercatori italiani dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e dell’Università dell’Insubria: Fabrizio Tavecchio (INAF, Osservatorio di Brera), Marco Roncadelli (INFN, Pavia), Giorgio Galanti (Università dell’Insubria) e Giacomo Bonnoli (INAF, Osservatorio di Brera). Tutto ha inizio nel Giugno del 2010 quando “Fermi”, l’Osservatorio spaziale della NASA a cui partecipano anche INFN e INAF, rivela un impressionante aumento della luminosità di un quasar fino ad allora piuttosto tranquillo, denominato PKS 1222+216. La notizia spinge gli astrofisici del telescopio binoculare MAGIC a puntare i loro strumenti, sensibili ai raggi gamma, verso quella sorgente. Con grande sorpresa, MAGIC rileva un’intensa emissione variabile nel tempo: in appena dieci minuti, il flusso registrato raddoppia il proprio valore. I risultati di MAGIC giungono inaspettati. La variazione di dieci minuti indicherebbe che la regione che emette i fotoni gamma abbia dimensioni molto ridotte e che, quindi, fosse presumibilmente molto prossima al “motore” centrale del quasar dove la materia spiraleggia e viene letteralmente frantumata e ingoiata da un buco nero supermassiccio. Questa regione, tuttavia, dovrebbe essere estremamente opaca ai raggi gamma di energia così elevata, rilasciando principalmente raggi ultravioletti e X, perché i fotoni gamma, interagendo facilmente con la radiazione elettromagnetica di queste frequenze, scompaiono trasformandosi in coppie elettrone-positrone. L’interpretazione più immediata potrebbe far supporre che, malgrado l’estrema piccolezza, la regione di produzione si trovi lontano dal motore centrale. Ma questa soluzione è semplice solo sulla carta perché costringe a ipotizzare l’esistenza di nuovi meccanismi che possano portare a un’emissione così intensa. Quindi, secondo i quattro scienziati italiani, un deciso cambio di prospettiva potrebbe essere decisivo per trovare una soluzione. Diverse teorie sviluppate per estendere il Modello Standard prevedono l’esistenza di particelle elementari ultraleggere, universalmente note con l’acronimo ALP (Axion-Like Particle). Una caratteristica di queste ipotetiche particelle è che esse non interagiscano con alcuna particella nota tranne che con il fotone. Così un raggio gamma si trasformerebbe, in presenza di un campo magnetico, in una ALP e viceversa. Queste trasformazioni vengono chiamate “oscillazioni” fotone-ALP e potrebbero essere la chiave per risolvere l’enigma dell’emissione proveniente da PKS 1222+216. Un grande numero di raggi gamma potrebbe diventare ALP prima di subire l’assorbimento e quindi fuoriuscire relativamente “indenni” dalla regione centrale del quasar, per poi riconvertirsi in raggi gamma ed essere rivelati dai telescopi europei MAGIC. “È importante sottolineare che il nostro è uno scenario possibile ed attraente ma non è l’unico – rivela Fabrizio Tavecchio – sono state avanzate altre proposte: tutte, però, assumono che i raggi gamma siano emessi da regioni molto distanti dal buco nero e questo è molto difficile da riconciliare con il breve tempo di variabilità. L’osservatorio per raggi gamma CTA (Cherenkov Telescope Array), programmato per il prossimo decennio, permetterà di studiare con molta più profondità questo tipo di eventi, e quindi ci potrà aiutare a convalidare o rigettare il modello”. La stessa fiducia sui nuovi esperimenti in programma la ripone Marco Roncadelli. “Un fatto intrigante – spiega Roncadelli – è che il valore dell’oscillazione fotone-ALP in questo caso coincide con quello proposto da De Angelis e me per spiegare un’anomalia osservata anche nei blazar, e la conferma o la smentita della nostra proposta è alla portata sia di CTA sia dell’esperimento ALP a DESY, il laboratorio di fisica delle particelle di Amburgo”. L’INFN è tra i fondatori del telescopio gamma binoculare MAGIC, il più grande al mondo, contribuendo a gran parte della superficie riflettente e dell’elettronica. Attualmente partecipa all’esperimento con i gruppi delle Università di Padova, Udine, Trieste, Siena e Como. L’INAF è entrato nell’esperimento MAGIC nel 2006 realizzando una parte degli specchi del secondo telescopio. Gli scienziati dell’INFN e dell’INAF contribuiscono alle attività tecniche e scientifiche dell’esperimento partecipando attivamente alla definizione dei programmi scientifici, alla presa dati e alla loro analisi e interpretazione. Un quasar, cioè una “QUASi-stellAR radio source”, è una radiosorgente quasi stellare, un oggetto astronomico molto simile ad una stella in un telescopio ottico. È una sorgente puntiforme che mostra un grande spostamento verso il rosso di probabile origine cosmologica, come dimostra la Legge di Hubble. Questo implica che i quasar siano oggetti molto distanti e che debbano emettere più energia di dozzine di normali galassie. I quasar sono tra gli oggetti più luminosi dell’Universo osservabile e una loro caratteristica è di emettere la stessa quantità di radiazione in quasi tutto lo spettro elettromagnetico, dalle onde radio ai raggi X e gamma. Alcuni quasar mostrano rapidi cambiamenti della loro luminosità: è la prova che sono molto piccoli perché un oggetto non può cambiare luminosità più velocemente del tempo che la luce impiega ad attraversarlo. Se l’interpretazione cosmologica è giusta, l’enorme luminosità e le brusche fiammate di un quasar sono totalmente inimmaginabili per l’Uomo. Un quasar medio potrebbe disintegrare l’intero pianeta Terra da poche migliaia di anni luce di distanza ed emettere tanta energia in un secondo quanta il Sole ne emette in centomila anni. I primi quasar vennero scoperti con radiotelescopi alla fine degli anni Cinquanta del XX Secolo. Il primo spettro di un quasar, che rivelò il caratteristico spostamento verso il rosso, fu ottenuto da Maarten Schmidt nel 1963. Una volta identificata la classe di oggetti fu possibile rintracciarli su lastre fotografiche risalenti anche al XIX secolo. Più tardi si scoprì che solo circa il 10 per cento dei quasar emettono forti onde radio. Il nome “QSO” è a volte dato alla classe di quasar radio-quieti. Argomento di aspri dibattiti durante gli anni Sessanta fu se i quasar fossero oggetti vicini oppure lontanissimi come indicava il loro redshift. Un forte argomento contro i quasar posti a distanze cosmologiche era che la grande distanza implicava luminosità così alte per le quali nessun processo conosciuto all’epoca, compresa la fusione nucleare, avrebbe fornito l’energia necessaria. Alcuni suggerirono che i quasar fossero composti da antimateria, altri che fossero buchi bianchi. Questa obiezione fu rimossa con la proposta del meccanismo del disco di accrescimento, e oggi la distanza cosmologica dei quasar è accettata da quasi tutti i ricercatori. Negli anni Ottanta, si svilupparono dei modelli unificati in cui i quasar erano visti come una classe di galassie attive, e il consenso generale è che solo l’angolo di vista li distingue dalle altre classi, come i “blazar” e le radiogalassie (Barthel, 1989). L’enorme luminosità dei quasar è spiegata come il risultato della frizione causata da gas e polveri che cadono in un buco nero supermassiccio formando un disco di accrescimento, meccanismo che può convertire circa la metà della massa di un oggetto in energia, contro i pochi punti percentuali dei processi di fusione nucleare. Siamo alla metà dell’efficienza energetica del processo di annichilazione tra materia e antimateria, quando la fusione nucleare non supera il 4 per cento e la fissione si attesta all’un per cento circa. Questo meccanismo “super-nucleare” è usato anche per spiegare come mai i quasar erano più comuni nell’Universo primitivo, perché la produzione di energia cessa quando il buco nero supermassiccio ha consumato tutto il gas, polveri e stelle che lo circondano. Secondo alcuni scienziati è perfettamente possibile che la maggior parte delle galassie, compresa la nostra Via Lattea, siano passate attraverso una fase di quasar e siano adesso quiescenti per mancanza di rifornimento di materia del buco nero. Se fosse vero ciò implica inoltre che un quasar possa riaccendersi se nuova materia viene sospinta verso il centro della galassia. Questo è quello che succede in molte galassie interagenti, e in effetti la proporzione di quasar tra queste è più alta che tra le galassie normali. Tutte le caratteristiche dei quasar vengono usualmente interpretate usando il Modello Standard del Big Bang e la supposizione che i loro redshift sono dovuti principalmente all’espansione accelerata dell’Universo. Le stesse caratteristiche possono anche essere interpretate usando modelli alternativi nei quali i redshift dei quasar non sono di origine cosmologica. Halton Arp è un astronomo famoso per le sue osservazioni sui quasar. Le sue teorie sembrano indicare che i quasar interagiscano fisicamente con galassie vicine e che siano stati espulsi dalle galassie stesse. I casi di quasar associati con delle galassie scoperti da Arp vengono spiegati dalla maggior parte degli scienziati come allineamenti casuali. Nel 1973 il fisico Y. P. Varshni propose una teoria secondo la quale i grandi redshift attribuiti ai quasar siano la conseguenza di un laser naturale sullo spettro di emissione. Varshni ed altri si oppongono alla spiegazione standard dei moti superluminari spesso osservati nei quasar. Il più intenso spostamento verso il rosso conosciuto per un quasar è di 6,4. Il che è significativo perché implica una distanza massima alla quale si trovano i quasar. Altri quasar più distanti sarebbero facilmente visibili, grazie alla loro elevata luminosità. Questo comportamento è considerato come il fatto che i quasar osservabili più vecchi segnino l’inizio della formazione ed evoluzione delle galassie. I quasar suggeriscono anche alcuni indizi sulla fine della re-ionizzazione dell’Universo. I quasar più vecchi hanno chiare regioni di assorbimento come prova del fatto che il mezzo intergalattico del tempo era del gas neutro. I quasar più recenti non mostrano regioni di assorbimento, ma piuttosto un’area confusa conosciuta come la “foresta Lyman-alfa”. Questo indica che il mezzo intergalattico ha subito una re-ionizzazione ridiventando plasma e che il gas neutro esiste solo in piccole nubi. Un’altra caratteristica interessante dei quasar è che mostrano evidenze di elementi più pesanti dell’Elio. Questo viene interpretato come indizio del fatto che le galassie, all’inizio della loro vita, hanno attraversato una fase di massiccia formazione stellare creando delle stelle di “Popolazione III” tra il tempo del Big Bang, 13.7 miliardi di anni fa, e i primi quasar osservati. Il telescopio spaziale Spitzer nel 2005 ha osservato la luce che potrebbe provenire da tali quasar, ma manca ancora una conferma definitiva. “3C 273” è uno dei quasar più vicini alla Terra e il più luminoso conosciuto (magnitudine 13). È anche uno dei più studiati, soprattutto per la complessa struttura del getto di gas espulso ad alta velocità, che si protende nello spazio per 150mila anni luce, evidenziato dai satelliti Chandra e Hubble. Situato a tre miliardi di anni luce, risulta più luminoso di mille galassie contenenti 100 miliardi di stelle ciascuna. Se si trovasse alla distanza di poche decine di anni luce dalla Terra, illuminerebbe il cielo quanto il Sole ma non avremmo neppure il tempo di accorgercene perché finiremmo in cenere in un istante: tenendo sotto osservazione quest’oggetto in tutto lo spettro elettromagnetico, si è iniziato a comprendere la natura dei processi fisici che sono alla base di queste enormi sorgenti di energia cosmica. Un’equipe internazionale di astronomi ha osservato il cuore di un quasar lontano con una risoluzione mai raggiunta prima, due milioni di volte meglio dell’occhio umano. Le osservazioni, effettuate collegando per la prima volta il telescopio APEX (Atacama Pathfinder Experiment) ad altri due in continenti diversi, rappresentano un passo fondamentale verso lo spettacolare scopo scientifico del progetto “Event Horizon Telescope”: ottenere l’immagine di un buco nero supermassiccio al centro della nostra e di altre galassie. APEX è una collaborazione tra il Max Planck Institute for Radio Astronomy (MPIfR), l’Onsala Space Observatory (OSO) e l’ESO. La gestione di APEX a Chajnantor è affidata all’ESO. APEX è un precursore del telescopio di nuova generazione submillimetrico ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array) in costruzione sullo stesso pianoro che verrà inaugurato nel Marzo 2013. Il progetto del Telescopio dell’Orizzonte degli Eventi (Event Horizon Telescope) è una collaborazione internazionale, coordinata dall’Osservatorio di Haystack del MIT (USA). Gli astronomi hanno collegato APEX (Cile) a SMA (Submillimeter Array) alle Hawaii (USA) e SMT (Submillimeter Telescope) in Arizona (USA). Hanno così potuto realizzare l’osservazione diretta più nitida di sempre del centro di una galassia distante, il quasar brillante 3C 279, che contiene un buco nero supermassiccio con una massa circa un miliardo di volte quella del Sole e così lontano dalla Terra che, dal nostro punto di vista, la sua luce ha impiegato più di 5 miliardi di anni per raggiungerci. Il Submillimeter Array a Mauna Kea (Hawaii) consiste di 8 antenne di 6 metri di diametro ciascuna ed è gestito dallo Smithsonian Astrophysical Observatory (USA) e dall’Institute of Astronomy and Astrophysics dell’Academia Sinica (Taiwan). Il Submillimeter Telescope, un telescopio da 10 metri di diametro sulla cima di Mount Graham in Arizona, è gestito dall’Arizona Radio Observatory (ARO) di Tucson in Arizona. Alcune tecniche indirette sono state usate per indagare scale più piccole, per esempio il “microlensing” o la scintillazione interstellare. Ma questo è un record per le osservazioni dirette. I telescopi sono stati collegati per mezzo di una tecnica nota come “Very Long Baseline Interferometry”. Più un telescopio è grande e più nitide sono le osservazioni che si possono effettuare, e l’interferometria permette di far funzionare molti telescopi come se fossero un solo telescopio grande come la distanza (baseline) tra loro. Usando il VLBI, le osservazioni più nitide possono essere realizzate spingendo al massimo la distanza tra i telescopi. Per le osservazioni del quasar, l’equipe ha usato tre telescopi per creare un interferometro con “baseline” trans-ocontinentale di 9447 Km tra il Cile e le Hawaii, 7174 km tra il Cile e l’Arizona e 4627 km tra l’Arizona e le Hawaii. Collegare APEX in Cile a questa rete era fondamentale perché questa rappresenta la “baseline” più lunga. Le osservazioni sono state eseguite nella banda radio a una lunghezza d’onda di 1,3 millimetri. Questa è la prima volta che un’osservazione a una lunghezza d’onda così piccola è stata eseguita con “baseline” così lunga. Le osservazioni hanno raggiunto una nitidezza, o risoluzione angolare, di appena 28 micro-arcosecondi, circa otto miliardesimi di grado. Ciò significa poter distinguere dettagli due milioni di volte più piccoli di quelli che percepisce l’occhio umano. Osservazioni così nitide possono indagare dimensioni minori di un anno luce all’interno del quasar, un risultato notevole per un obiettivo posto a miliardi di anni luce dalla Terra. Queste osservazioni rappresentano una pietra miliare verso la possibilità di ottenere immagini dei buchi neri supermassicci e delle regioni circostanti. Nel futuro si progetta di collegare un numero ancora maggiore di telescopi per creare il cosiddetto Telescopio dell’Orizzonte degli Eventi in grado di osservare l’ombra del buco nero supermassiccio al centro della Via Lattea e in altre galassie vicine. L’ombra, una regione scura contro uno sfondo luminoso, è causata dalla curvatura della traiettoria dei raggi di luce da parte del buco nero e sarebbe la prima evidenza osservativa diretta dell’esistenza dell’orizzonte degli eventi in un buco nero, il confine interno da cui nulla, neppure la luce, può sfuggire. L’esperimento del 2012 è la prima osservazione VLBI di APEX e rappresenta il culmine di tre anni di duro lavoro al sito d’alta quota di APEX sulla piana di Chajnantor, a 5000 metri di altitudine nelle Ande Cilene, dove la pressione atmosferica è solo metà di quella al livello del mare. Per preparare APEX per il VLBI, alcuni scienziati tedeschi e svedesi hanno installato nuovi sistemi digitali di acquisizione dati, un orologio atomico molto preciso e un registratore pressurizzato capace di immagazzinare 4 gigabit al secondo per molte ore in condizioni ambientali avverse. I dati, 4 terabyte per ogni telescopio, sono stati spediti in Germania su dischi rigidi ed elaborati al Max Planck Institute per la Radioastronomia di Bonn. Questi sistemi sono stati sviluppati in parallelo negli USA (MIT-Haystack Observatory) e in Europa (MPIfR, la stazione VLBI di Noto dell’INAF — Istituto di Radioastronomia e HAT-Lab). Un maser a idrogeno come standard temporale (T4Science) è stato installato proprio come orologio atomico molto preciso. SMT e SMA erano già stati equipaggiati per il VLBI in modo analogo. Il successo raggiunto con l’aggiunta di APEX è importante per un’altra ragione: APEX ha la stessa ubicazione e molti aspetti tecnologici simili al nuovo telescopio ALMA che nel Marzo 2013 sarà composto da 54 antenne con lo stesso diametro, 12 metri, di APEX, oltre a 12 antenne più piccole, con un diametro di 7 metri. La possibilità di collegare ALMA alla rete è attualmente allo studio. Con l’area di raccolta così grande di ALMA, le osservazioni potrebbero raggiungere una sensibilità dieci volte maggiore di questi test iniziali. Questo renderebbe l’ombra del buco nero supermassiccio della Via Lattea a portata di mano delle future osservazioni. Un’altra equipe di astronomi europei ha utilizzato il Very Large Telescope dell’ESO e una schiera di altri telescopi per scoprire e studiare il quasar più distante finora trovato. Questo faro brillante, alimentato da un buco nero di massa pari a circa due miliardi di volte la massa del Sole, è di gran lunga l’oggetto più brillante finora scoperto nell’Universo primordiale. “Questo quasar è una sonda che studia la prime fasi dell’Universo – rivela Stephen Warren, lo scienziato a capo del team che ha svolto la ricerca – è un oggetto molto raro che ci aiuterà a capire come sono cresciuti i buchi neri supermassicci qualche centinaio di milioni di anni dopo il Big Bang”. I quasar sono galassie distanti e molto luminose che sembrano essere alimentate da buchi neri supermassicci al loro interno. La loro luminosità li rende dei fari molto potenti che possono aiutare gli scienziati a studiare l’epoca in cui le prime stelle e le prime galassie si stavano formando. Il quasar scoperto è così lontano che la sua luce illumina l’ultima fase dell’era della rionizzazione. Circa 300mila anni dopo il Big Bang, avvenuto circa 13.7 miliardi di anni fa, l’Universo si era raffreddato sufficientemente per permettere agli elettroni e ai protoni di combinarsi in Idrogeno Neutro, un gas senza carica elettrica. Questo gas freddo e oscuro riempiva tutto l’Universo fino a che le prime stelle iniziarono a formarsi, circa 100-150 milioni di anni dopo. La loro intensa radiazione ultravioletta ha lentamente diviso gli atomi di Idrogeno nelle loro componenti, protone ed elettrone, un processo detto “re-ionizzazione”, che ha reso l’Universo trasparente alla luce ultravioletta. Si pensa che questa era si collochi circa 150-800 milioni di anni dopo il Big Bang. Si osserva il quasar chiamato “ULAS J1120+0641” com’era a soli 770 milioni di anni dopo il Big Bang (il redshift è 7.1). La luce emessa ha impiegato circa 12.9 miliardi di anni per raggiungere la Terra, dal nostro punto di vista. L’oggetto è stato trovato utilizzando i dati della survey ULAS (UKIDSS Large Area Survey). Il numero e il prefisso “J” si riferiscono alla posizione celeste del quasar. Poiché la velocità della luce è finita, gli astronomi osservano il passato guardando lontano nell’Universo. La luce di ULAS J1120+0641 ha impiegato circa 12.9 miliardi di anni per raggiungere i telescopi terrestri e perciò lo vediamo in un Universo giovane che nel frattempo ha continuato ad espandersi. Di conseguenza è cresciuta la lunghezza d’onda della luce emessa dall’oggetto. Il redshift cosmologico è una misura dell’allargamento totale dell’Universo tra il momento in cui la luce è stata emessa e quando essa è stata ricevuta. Anche se alcuni oggetti più distanti sono già stati scoperti e confermati (un lampo di luce gamma ad un redshift di 8.2, e una galassia a redshift 8.6) il quasar recentemente scoperto è centinaia di volte più brillante di queste sorgenti. Tra gli oggetti sufficientemente brillanti per essere studiati in dettaglio, questo è di gran lunga uno dei più distanti. Vediamo il secondo quasar in ordine di distanza ad un’epoca in cui l’Universo aveva solo 870 milioni di anni (redsfhit 6.4). Oggetti molto più lontani non possono essere visti nelle survey nella banda ottica poiché le onde da essi emessi, rese più lunghe dall’espansione dell’Universo, cadono per la maggior parte nella zona infrarossa dello spettro quando raggiungono la Terra. La survey UKIDSS (European UKIRT Infrared Deep Sky Survey) che utilizza il telescopio britannico alle Hawaii dedicato alla banda infrarossa, è stata progettata proprio a questo scopo. L’equipe di astronomi ha cercato tra milioni di oggetti del database di UKIDSS i migliori candidati quasar tanto desiderati, e infine ha ricevuto la meritata ricompensa. UKIRT è il telescopio Britannico Infrarosso. È di proprietà del Science and Technology Facilities Council britannico ed è gestito dal personale del centro JAC (Joing Astronomy Centre) in Hilo (Hawaii). “Abbiamo impiegato cinque anni a trovare questo oggetto – spiega Bram Venemans, uno degli autori dello studio – cercavamo un quasar con un redshift maggiore di 6.5. Trovarne uno così lontano, a un redshift maggiore di 7, è stata una sorpresa molto eccitante. Andando a sbirciare nell’era della re-ionizzazione, questo quasar ci offre un’opportunità unica di esplorare una finestra di circa 100 milioni di anni nella storia del Cosmo, finestra che prima era al di là delle nostre possibilità”. La distanza del quasar è stata determinata dalle osservazioni effettuate con lo strumento FORS2 montato sul Very Large Telescope dell’ESO e con strumenti del telescopio Gemini Nord. Il “FOcal Reducer and low dispersion Spectrograph” è lo spettrografo a riduzione di focale e bassa dispersione del VLT. Altri strumenti usati per disperdere la luce dell’oggetto sono stati il GMOS Gemini MOS (Multi Object Spectrograph) e il GNIRS (Gemini Near-Infrared Spectrograph). Il telescopio di Liverpool, l’INT e l’UKIRT sono stati usati per confermare queste misure. Poiché l’oggetto è relativamente brillante è possibile misurarne lo spettro, dividendo la luce che arriva dal quasar nei suoi colori componenti. Questa tecnica ha permesso agli astronomi di scoprire molte informazioni sul quasar. Le osservazioni hanno mostrato che la massa del buco nero al centro di ULAS J1120+0641 è circa due miliardi di volte quella del nostro Sole. Questa massa così alta è difficile da spiegare in un tempo così prossimo al Big Bang. Le attuali teorie per lo sviluppo di un buco nero supermassiccio prevedono una lenta crescita della massa man mano che l’oggetto compatto attrae materiale dai dintorni. “Crediamo che ci siano solo un centinaio di quasar brillanti con redshift maggiore di 7 in tutto il cielo – rivela Daniel Mortok, il primo autore dell’articolo scientifico – trovare questo oggetto ha richiesto un’accurata ricerca, ma ha dimostrato di valere lo sforzo fatto per cercare di svelare alcuni misteri dell’Universo primordiale”. Ma cosa nascono prima, i buchi neri supermassivi che divorano freneticamente la materia o le enormi galassie in cui si trovano? Un nuovo scenario è emerso da un insieme di straordinarie osservazioni di un buco nero senza una “casa”. Gli scienziati hanno scoperto, infatti, che è possibile che i buchi neri “costruiscano” la loro galassia ospite. Questo potrebbe essere il collegamento mancante a lungo cercato per capire perché le masse dei buchi neri sono maggiori nelle galassie che contengono più stelle. “La domanda se viene prima o l’uovo o la gallina, ovvero prima una galassia o il suo buco nero, è oggi una delle questioni più dibattute in astrofisica – fa notare l’autore principale della ricerca, David Elbaz – il nostro studio suggerisce che i buchi neri supermassicci possono dare l’avvio alla formazione di stelle, e quindi costruire le loro galassie. Questo legame può spiegare anche perché le galassie che ospitano buchi neri più grandi hanno più stelle”. Per arrivare ad una conclusione così straordinaria, il gruppo di astronomi dell’ESO ha effettuato osservazioni estensive di un insolito oggetto, il vicino quasar “HE0450-2958” che è l’unico per cui non è ancora stata scoperta una galassia ospite. HE0450-2958 è situato ad una distanza di circa 5 miliardi di anni luce. I buchi neri supermassivi si trovano nei nuclei della maggior parte delle galassie grandi. A differenza del buco nero inattivo che si trova al centro della Via Lattea, una parte di essi è detta Attiva poiché inglobano enormi quantità di materia. Questa azione frenetica produce un’abbondante emissione di energia nell’intero spettro elettromagnetico. Particolarmente spettacolare è il caso dei quasar dove il nucleo attivo è così intensamente luminoso che eclissa la luminosità della galassia ospite. Finora si credeva che la galassia ospite del quasar fosse nascosta dietro una gran quantità di polveri e così gli astronomi hanno usato uno strumento nel medio infrarosso sul Very Large Telescope dell’ESO per le osservazioni. Lo studio è basato sulle osservazioni effettuate nelle lunghezze d’onda medio-infrarosse con il potente spettrometro e camera VISIR sul VLT, combinate con dati aggiuntivi: gli spettri ottenuti usando VLT-FORS, immagini ottiche e a infrarossi ottenute dall’Hubble Space Telescope NASA/ESA e osservazioni radio dall’Australia Telescope National Facility. A queste lunghezze d’onda, le nuvole di polvere risplendono molto e possono essere facilmente scoperte. “L’osservazione a queste lunghezze d’onda ci permetterebbe di rintracciare le polveri che potrebbero nascondere la galassia ospite – rivela Knud Jahnke che ha condotto le osservazioni al VLT – comunque non ne abbiamo trovata nessuna. Abbiamo invece scoperto che una galassia apparentemente non collegata nelle immediate vicinanze del quasar, sta producendo stelle ad un ritmo frenetico”. Le osservazioni hanno fornito una sorprendente nuova visione del sistema. Mentre non c’è alcuna traccia di stelle attorno al buco nero, la sua galassia compagna è estremamente ricca di stelle luminose e molto giovani: sta creando stelle a un ritmo pari a circa 350 masse solari all’anno, cento volte maggiore dei ritmi delle tipiche galassie nell’Universo locale. Osservazioni precedenti avevano mostrato che la galassia compagna è, in effetti, sotto tiro: il quasar sta emettendo un getto di particelle altamente energetiche verso la sua compagna, accompagnato da un flusso di gas che si muove velocemente. L’immissione di materia ed energia nella galassia indica che il quasar stesso indurrebbe la formazione di stelle e stia perciò creando la sua galassia ospite. In tale scenario le galassie si sarebbero evolute dalle nuvole di gas colpite dai getti energetici emessi dai quasar. “I due oggetti sono destinati a unirsi in futuro: il quasar si sta muovendo ad una velocità di solo poche decine di migliaia di Km/h rispetto alla galassia compagna e la distanza che li separa è solo di circa 22.000 anni luce – spiega Elbaz – sebbene il quasar sia ancora nudo, sarà poi vestito quando si fonderà con la compagna ricca di stelle. Alla fine si troverà in una galassia ospite come tutti gli altri quasar”. Il team ha identificato i getti del buco nero come una possibile causa della formazione delle galassie e ciò può rappresentare anche il legame a lungo cercato per comprendere perché la massa dei buchi neri sia maggiore nelle galassie che contengono più stelle. La maggior parte delle galassie nell’Universo locale contiene un buco nero supermassiccio con una massa di circa 1/700esimo della massa dell’agglomerato stellare. L’origine della relazione tra la massa di questo buco nero e la massa stellare, è una delle questioni più dibattute nell’astrofisica moderna. “Una naturale estensione del nostro lavoro è la ricerca di oggetti simili in altri sistemi – rivela Jahnke. Strumenti futuri, come l’Atacama Large Millimeter/ submillimeter Array e l’European Extremely Large Telescope dell’ESO, e il James Webb Space Telescope della NASA/ESA/CSA, saranno in grado di ricercare oggetti di questo genere a distanze maggiori, indagando la connessione tra i buchi neri e la formazione delle galassie nel più distante Universo. Alcune speculazioni sorgono spontanee. Se siamo anche “figli” dei quasar, cioè l’evoluzione massima finora raggiunta nell’Universo da forme di vita (cioè di energia e massa) senziente, perché non dovremmo un giorno dominare e riprodurre tutta questa energia indirizzandola in una sorgente in grado di spalancarsi la via verso le altre stelle? Le più grandi scoperte e invenzioni giungono dal totalmente inatteso.

Nicola Facciolini

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