Siria: il nuovo ONU e lo sdegno di Egitto e Turchia

“Il regime siriano è diventato uno stato terroristico”, ha dichiarato ieri Tayyip Erdogan, nel corso di una riunione pubblica del suo partito, il partito della Giustizia e dello Sviluppo (Akp), aggiungendo che la Turchia non può permettersi il “lusso di essere indifferente” al conflitto in corso in Siria e facendo misurare direttamente lo stato di […]

“Il regime siriano è diventato uno stato terroristico”, ha dichiarato ieri Tayyip Erdogan, nel corso di una riunione pubblica del suo partito, il partito della Giustizia e dello Sviluppo (Akp), aggiungendo che la Turchia non può permettersi il “lusso di essere indifferente” al conflitto in corso in Siria e facendo misurare direttamente lo stato di tensione fra i due paesi, dopo l’abbatimento, il 22 giugno scorso, di un F4 turco da parte della Sira.
La sua opinione è stata prontamente condivisa dal presidente egiziano Mohamed Morsi che, intervenendo alla riunione dei ministri degli Esteri dei Paesi arabi a Il Cairo, ha esortato i membri a “fare di più” e pronosticato che “il regime di Damasco non durerà ancora per molto”.
Intanto, in Siria, non si placano le violenze, con uccisione di civili, fra cui donne e bambini, denunciate continuamente dai i comitati di coordinamento locale anti-regime.
Gli eccidi maggiori ad Aleppo, dove i ribelli siriani hanno riferito di aver abbattuto nelle ultime ore un caccia militare governativo.
Anche se i generali lealisti giurano che entro la metà del mese avranno ripulito Aleppo, i ribelli fanno sapere che: “Ormai le forze di Damasco non riescono a riprendere il controllo dei quartieri che abbiamo conquistato e si affidano solo all’aviazione.
Questa affermazione è sostenuta da molti analisti, i quali affermano che il regime non può rischiare di inviare la fanteria a combattere per le strade delle città ribelli. Infatti, salvo gli alti ufficiali, che come il presidente appartengono per lo più alla minoranza alauita, il grosso delle truppe è composta da sunniti, i quali potrebbero disertare alla prima occasione. O peggio, fraternizzare con gli insorti.
Il nuovo rappresentante speciale di Onu e Lega araba in Siria, Lakhdar Brahimi, ha parlato ieri, al suo esordio dinanzi all’Assemblea generale delle Nazioni Unite e nel corso di un umido pomeriggio settembrino, dovendo riconoscere l’esito a dir poco lacunoso dell’azione svolta sino ad ora dalla comunità internazionale.
La prima volta col nuovo cappello a lui assegnato da Ban Ki-moon, accanto a lui ieri al Palazzo di vetro, Brahimi ha detto che il conflitto continua ad intensificarsi e “Più passa il tempo, più sarà difficile porre un freno al massacro, ma anche trovare una soluzione politica e ricostruire il Paese e l’economia”.
Il punto è che con il tramonto del piano di Kofi Annan, ufficialmente ancora in vita ma con pochissime speranze di ripresa, cresce il rischio di un allargamento del conflitto su base regionale.
“Le forze governative siriane continuano a bombardare i centri abitati con armi pesanti, carri armati e aerei, ed anche i ribelli hanno incrementato le azioni militari”, ha proseguito il Segretario generale, ricordando che vengono riportate “violazioni dei diritti umani su larga scala, torture ed esecuzioni sommarie poste in essere da entrambe le parti”.
E’ l’aspetto umanitario quello che maggiormente preoccupa come sottolineano le statistiche dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati, secondo cui nel solo mese di agosto, centomila siriani sono fuggiti nei Paesi vicini, il bilancio più drammatico mai registrato in un solo mese dallo scoppio della crisi in Siria. Mentre le Nazioni confinanti hanno sempre maggiori difficoltà a far fronte alla situazione.
E proprio su questo si è soffermato anche Brahimi: “Il futuro della Siria sarà opera del suo popolo e di nessun altro, ma il sostegno internazionale è indispensabile e urgente”.
Per il nuovo rappresentante Onu in Siria, “l’azione sarà efficace solo se tutte le forze andranno nella stessa direzione”.
Nel frattempo gli eccidi si moltiplicano nel Paese. Solo ieri sono stati uccisi 75 civili fra cui 23 bambini, con il bilancio più grave (52 morti) al Aleppo.
Secondo gli attivisti, dieci persone, tra le quali sette bambini, sono rimaste uccise nella distruzione della loro casa provocata dai bombardamenti governativi nel quartiere di Marjeh e il Centro per la documentazione delle violazioni (Vdc), che ha diffuso solo il numero delle vittime identificate, parla di 38 morti in tutto il Paese, 16 ad Aleppo, confermando la morte di cinque bambini nella casa di Marjeh. Bombardamenti intensi, aggiunge il Vdc, sono avvenuti anche sui quartieri di Hanano e Hidariyeh, mentre una fonte locale ha riferito all’ANSA che bombe sono piovute anche sul quartiere di Nairab.
Bisogna che l’ONU e gli altri paesi, si decidano a far cessare la strage e far si che alle parole seguano i fatti, altrimenti della Siria e dei siriano non resterà proprio nulla.

Carlo Di Stanislao

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