Attenti alla Supernova! Preziose supernovae morenti in stupende galassie salutano la Primavera

Lo studio degli astronomi Eso su una preziosa supernova molto brillante esplosa nel 1999 a circa 35 milioni di anni luce dalla Terra, nella costellazione di Eridano, nella galassia a spirale NGC1637, saluta la Primavera AD 2013 nell’emisfero boreale e l’Autunno nell’australe. Nel 1999 l’aspetto sereno di questa galassia fu turbato dalla comparsa di una […]

Lo studio degli astronomi Eso su una preziosa supernova molto brillante esplosa nel 1999 a circa 35 milioni di anni luce dalla Terra, nella costellazione di Eridano, nella galassia a spirale NGC1637, saluta la Primavera AD 2013 nell’emisfero boreale e l’Autunno nell’australe. Nel 1999 l’aspetto sereno di questa galassia fu turbato dalla comparsa di una “nuova stella” molto brillante. Gli astronomi che studiano le conseguenze di questa esplosione con il Very Large Telescope dell’Osservatorio australe europeo Eso, sul Paranal in Cile, hanno fornito una visione stupenda di questa galassia relativamente vicina. Le supernove sono tra gli eventi più violenti in Natura: esse mostrano la morte abbagliante delle stelle di grande massa che esplodendo possono offuscare la luce combinata dei miliardi di stelle della galassia ospite. La maggior parte dell’energia di una supernova viene emessa sotto forma di neutrini e radiazioni. Nel 1999 l’Osservatorio Lick in California registrò la scoperta della supernova nella galassia NGC1637, identificata utilizzando uno strumento costruito appositamente per ricercare questi oggetti cosmici, rari e importanti, grazie al Telescopio Automatico Katzman sul Monte Hamilton (Usa). Osservazioni più dettagliate furono richieste in seguito per confermare la scoperta e studiare meglio l’oggetto. La supernova, chiamata SN1999em, è stata osservata in più occasioni. Dopo l’esplosione spettacolare nel 1999, la luminosità della deflagrazione stellare è stata seguita attentamente dai ricercatori, che ne hanno constatato la diminuzione relativamente tranquilla negli anni. La stella che sarebbe diventata la SN1999em era molto massiccia prima della morte, più di otto volte la massa del nostro Sole. Alla fine della vita, esaurito il combustibile nucleare in grado di controbilanciare il peso dell’astro, il nucleo della stella è collassato, creando un’esplosione catastrofica in grado di annientare qualsiasi forma di vita aliena extraterrestre nel raggio di centinaia di anni luce. La SN1990em è una supernova a collasso nucleare, classificata più precisamente come tipo “IIp”, dove la “p” significa “plateau”, per indicare, secondo gli astronomi, che queste supernove rimangono brillanti, con luminosità costante, per un periodo relativamente lungo dopo il massimo. Durante le successive osservazioni di SN1999em gli scienziati hanno ottenuto molte immagini dell’oggetto con il VLT, che sono state combinate per realizzare un ritratto molto nitido della galassia ospite. La struttura a spirale è visibile come un percorso ben tracciato di giovani stelle bluastre, nubi incandescenti di gas e striature scure di polvere opaca. Anche se a prima vista la galassia NGC1637 sembra un oggetto abbastanza simmetrico, ha pur tuttavia delle caratteristiche interessanti. Per questo gli astronomi la chiamano anche galassia asimmetrica: il braccio in alto a sinistra del nucleo è molto più lungo e meno avvolto di quello più corto e compatto in basso a sinistra, che sembra essere drammaticamente interrotto a metà. L’immagine risulta disseminata di stelle, molto più vicine, e galassie, molto più distanti, che per caso, dal nostro punto di vista, si trovano nella stessa direzione. Ma l’Eso è fiera di mostrare anche altri gioielli. In una regione remota delle Ande cilene, l’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array (Alma) è stato inaugurato il 13 Marzo 2013 con una cerimonia ufficiale, in contemporanea all’elezione di Papa Bergoglio, il nuovo Vescovo di Roma, che ha assunto il nome di Papa Francesco, il primo Romano Pontefice gesuita sudamericano, argentino. Il titolo dell’articolo “Habemus Alma” scritto per l’occasione da chi vi parla, è stato ufficialmente apprezzato dagli astronomi dell’Eso. L’evento cileno segna il completamento di tutti i sistemi principali che governano il radiotelescopio gigante e il passaggio formale da progetto in costruzione ad Osservatorio funzionante a pieno titolo. Alma è frutto di una collaborazione tra Europa, America del Nord e Asia orientale in cooperazione con la Repubblica del Cile. I tre partner internazionali di Alma hanno accolto il 13 Marzo 2013 più di 500 persone all’Osservatorio nel deserto cileno di Atacama per celebrare il successo del progetto. L’ospite d’onore è stato il Presidente del Cile, Sebastián Piñera. Tra gli ospiti illustri presenti alla celebrazione: Karlheinz Töchterle, Ministro Federale della Scienza e Ricerca (Austria), Petr Fiala, Ministro dell’Istruzione, Gioventù e Sport (Repubblica Ceca), Nuno Crato, Ministro dell’Istruzione e della Scienza (Portogallo), Roger Genet, Direttore Generale della Ricerca e dell’Innovazione (Francia), Nora van der Wenden, Direttore per la Ricerca e la Politica Scientifica (Olanda), Bruno Moor, Capo della Divisione per la cooperazione internazionale nella Ricerca e Innovazione (Svizzera), Beatriz Barbuy, rappresentante del Brasile, Anne Glover, Capo Consigliere Scientifico del Presidente della Commissione Europea e gli ambasciatori in Cile di Austria, Belgio, Francia, Italia, Germania, Giappone, Olanda, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Svezia, Svizzera e Stati Uniti d’America. “Una delle molte risorse naturali del Cile – ha dichiarato il Presidente del Cile, Sebastián Piñera – è lo spettacolare cielo notturno. Credo che la scienza abbia dato un contributo fondamentale allo sviluppo del Cile negli ultimi anni. Sono molto orgoglioso delle nostre collaborazioni internazionali in astronomia, di cui Alma è il più recente e più grande risultato”. Alla cerimonia, trasmessa in diretta via Internet, erano presenti anche alcuni rappresentanti dei partner internazionali di Alma: il Direttore Generale dell’Eso, Tim de Zeeuw, il Direttore della National Science Foundation degli Stati Uniti, Subra Suresh, e il Vice Ministro senior del Ministero della Pubblica Istruzione, Cultura, Sport, Scienza e Tecnologia del Giappone, Teru Fukui, insieme al Direttore di Alma, Thijs de Graauw. Dirigenti, personale di Alma e rappresentanti delle vicine comunità. “Grazie agli sforzi ed alle innumerevoli ore di lavoro di scienziati e tecnici della comunità di Alma in tutto il mondo – ha dichiarato Thijs de Graauw – l’Osservatorio ha già dimostrato di essere il telescopio millimetrico/submillimetrico più avanzato in funzione, facendo impallidire tutto quello che abbiamo avuto finora. Siamo ansiosi di far sfruttare agli astronomi tutta la potenza di questo incredibile strumento, uno degli esempi delle grandi conquiste che diventano possibili quando le istituzioni e le nazioni uniscono i loro sforzi; questa è la strategia che sta alla base di tutto il programma dell’Eso: applicando questa strategia su scala mondiale, attraverso la partnership in questo grande progetto, diamo agli astronomi degli Stati Membri dell’Eso l’opportunità di svolgere ricerche uniche, possibili solo con Alma”. A 5000 metri sul livello del mare, è stato recentemente completato il montaggio delle antenne di Alma, con l’ultimo lotto di sette antenne, sul totale finale di 66, che sono in fase di verifica prima di entrare in servizio. Il telescopio ha già fornito una veduta senza precedenti del Cosmo, utilizzando solo parte della schiera completa di antenne. Alma è in grado di osservare l’Universo in una luce che non è visibile all’occhio umano, per mostrare dettagli mai visti prima sulla nascita delle stelle, le galassie bambine nell’Universo primordiale, gli esopianeti alieni in coalescenza intorno ad astri lontani. Alma scoprirà e misurerà la distribuzione delle molecole, molte essenziali per la vita così come oggi la conosciamo, che si formano nello spazio interstellare. L’Osservatorio Alma è stato concepito come tre progetti separati in Europa, Stati Uniti d’America e Giappone, negli Anni ‘80 del secolo scorso, successivamente confluiti in un unica grande impresa negli Anni ‘90. La costruzione di Alma è iniziata nel 2003. Il costo totale di Alma è di circa 1,4 miliardi di dollari Usa, a cui l’Eso ha contribuito per il 37,5 per cento. Le antenne della schiera di Alma, 54 paraboliche da 12 metri e dodici più piccole da 7 metri, lavorano insieme come un singolo radiotelescopio. Ogni antenna raccoglie la radiazione proveniente dallo spazio e la focalizza su un ricevitore. I segnali delle varie antenne sono poi riuniti e analizzati da un supercomputer specializzato: il Correlatore di Alma, il più grande e complesso elaboratore elettronico di alta quota sulla Terra. Le 66 antenne di Alma possono essere disposte in diverse configurazioni: la massima distanza può variare dai 150 metri ai 16 chilometri. In occasione dell’inaugurazione i partner di Alma (Eso, National Radio Astronomy Observatory e National Astronomical Observatory del Giappone) hanno pubblicano un filmato di 16 minuti dal titolo: “Alma – alla ricerca delle nostre origini cosmiche”, un libro di fotografie, un libretto sull’etno-astronomia della zona e due opuscoli sul progetto. Non tutte le stelle progenitrici di supernovae fanno la stessa fine. Più di quattro secoli fa, nell’Anno Domini 1604, Keplero identificò un nuovo astro apparso nel cielo all’improvviso e brillante più di tutte le altre stelle, scomparso alla vista dopo alcuni mesi. Quell’evento, certamente inspiegabile all’epoca, era in realtà associato all’esplosione di una stella (supernova) lontana, l’ultima che sia avvenuta nella nostra Galassia, la Via Lattea. Un fenomeno che, grazie ai più avanzati strumenti a disposizione degli astrofisici, ha ancora oggi molto da svelare. Gli ultimi studi condotti sui resti gassosi radioattivi di quella gigantesca esplosione, una nube di gas e polveri in espansione, condotti con le osservazioni nei raggi X del telescopio spaziale Chandra della Nasa hanno permesso di ricostruire come si sia prodotta la supernova di Keplero. Secondo Mark Burkley, della North Carolina State University, a capo del team coinvolto nello studio, l’esplosione della SN1604 è stata innescata in un sistema stellare binario in cui un astro era una nana bianca e l’altro una gigante rossa, dando vita a quella che viene chiamata una Supernova di tipo Ia. Viene così confermato uno dei due possibili scenari oggi più accreditati per l’innesco di questi fenomeni. Si riteneva, infatti, che l’esplosione fosse avvenuta in seguito alla fusione di due nane bianche. “Non possiamo certo dire che sia così per tutte le supernovae di tipo Ia, ma la nostra analisi per quella di Keplero ci fa ritenere che sia stata innescata da una nana bianca che ha strappato materia da una compagna – ha detto Burkley – capire come avvengano queste esplosioni è fondamentale per migliorare i processi per la misura delle distanze cosmiche in cui vengono utilizzati questi  oggetti  celesti”. Gli scienziati hanno analizzato le immagini nei raggi X del Telescopio Spaziale Chandra per evidenziare una struttura discoidale in prossimità del centro del resto della supernova, interpretata come il risultato della collisione tra il materiale espulso dalla supernova e quello presente attorno alla gigante rossa prima dell’esplosione. Anche se non viene esclusa la possibilità che quello osservato possa essere semplicemente il pulviscolo associato alla catastrofica esplosione del 1604. A rafforzare l’ipotesi che il disco sia legato alla compagna della stella esplosa ci sarebbero altri due indizi: il primo è dato dalla presenza in esso di tracce significative di magnesio, elemento chimico che non viene prodotto in maniera così massiccia in un evento di tipo Ia; il secondo è che una struttura  molto simile per estensione e posizione, riconducibile a brandelli di stella espulsi da venti stellari piuttosto che da veri e propri resti di supernova, pare sia stata osservata da un altro telescopio spaziale, Spitzer, nell’infrarosso. Mistero risolto per l’origine della supernova di Keplero? Questo studio rafforza l’ipotesi che per le supernovae di tipo Ia possano esistere differenti processi d’innesco ma solleva il dubbio che la stessa supernova presa in esame sia tutt’altro che standard. Altre simulazioni ed analisi di dati raccolti da Chandra suggerirebbero infatti che quella del 1604 è stata un’esplosione di supernova di eccezionale potenza. “Potremmo capire quanto di normale o di anormale ci sia nella supernova di Keplero – ha dichiarato Stephen Reynolds, coautore dello studio recentemente pubblicato sulla rivista Astrophysical Journal – se potessimo scoprire ed analizzare la radiazione prodotta nell’esplosione che sia stata riflessa da qualche nube interstellare e che abbia impiegato qualche centinaio di anni per tornare sulla Terra: un’eco di luce”. Ci sono poi altri resti di supernova di appena 2500 anni. Si tratta di G306.3-0.9, l’oggetto appena individuato dal satellite Swift della Nasa, che diventa uno dei più giovani “relitti” di gas e polveri, innescati dall’esplosione di una supernova, identificati nella nostra Galassia. Gli astronomi stimano che l’evento di una supernova si verifichi una o due volte in un secolo nella nostra Via Lattea. Tuttavia sono in forte ritardo, per noi terrestri! Grazie a Dio. L’espansione dell’onda d’urto e il calore dei detriti stellari che si disperdono lentamente (in questo caso nel corso di centinaia di migliaia di anni) per poi mescolarsi e fondersi con il gas stellare, sarebbero letali per la Terra se un evento di supernova si verificasse nella nostra più immediata periferia galattica. I giovani resti di supernova sono un’ottima occasione per studiare le caratteristiche della stella morente e la dinamica della sua esplosione, perché ne portano ancora i segni, presto destinati a disperdersi. I resti di supernova emettono energia in tutto lo spettro elettromagnetico, dalle onde radio ai raggi gamma, e importanti indizi si possono trovare in ogni banda di energia. I raggi X rivelano il movimento dei detriti in espansione, il loro contenuto chimico e la loro interazione con l’ambiente interstellare. “Gli astronomi hanno già catalogato più di 300 resti di supernova nella Galassia – ha fatto notare Mark Reynolds, un ricercatore dell’Università del Michigan – la nostra analisi indica che G306.3-0.9 ha probabilmente un età di 2.500 anni, che lo rende uno dei 20 più giovani resti di supernova individuati”. Reynolds conduce l’indagine “Swift Galactic Plane Survey” che punta a mappare una striscia di cielo dell’ampiezza di due gradi lungo il piano centrale della Via Lattea, nella luce X e ultravioletta. La scansione, iniziata nel 2011, sarà completata nell’Estate 2013. “L’indagine Swift sfrutta le immagini ai raggi infrarossi precedentemente compilate dal Telescopio Sspaziale Spitzer della Nasa e la estende alle energie più alte” – ha dichiarato Michael Siegel, ricercatore associato al “Swift Mission Operations Center” dello State College in Pennsylvania, gestito dalla Penn State University – le immagini ad infrarossi e raggi X  si completano a vicenda, perché la luce a queste lunghezze d’onda penetra le nubi di polvere nel piano galattico, mentre i raggi ultravioletti vengono in gran parte assorbiti”. Il 22 Febbraio 2011, Swift  si è concentrato su un settore di cielo vicino al confine meridionale della costellazione del Centauro. Anche se nulla di insolito è apparso nell’esposizione ai raggi ultravioletti, l’indagine ai raggi X ha rivelato un corpo esteso, semi-circolare che ricordava un resto di supernova. Una ricerca sui dati d’archivio ha rivelato che nella stessa regione era stato avvistato qualcosa anche nelle immagini a infrarossi del Telescopio Spaziale Spitzer e nei dati radio dal Synthesis Telescope Molonglo Observatory in Australia. Per approfondire, i ricercatori hanno allora eseguito una scansione di 83 minuti con il Chandra X-ray Observatory, arricchita dalle osservazioni radio aggiuntive dal Australia Telescope Compact Array. “La fantastica sensibilità di ATCA ci ha permesso di vedere quello che, a lunghezze d’onda radio, risulta essere il più debole resto di supernova che abbiamo mai visto nella nostra Galassia” – ha fatto notare Cleo Loi dell’Università di Sydney che ha condotto le analisi delle osservazioni radio. Così utilizzando una distanza stimata di 26.000 anni-luce per G306.3-0.9, gli scienziati hanno stabilito che l’onda d’urto dell’esplosione è corsa attraverso lo spazio a circa 1,5 milioni mph (2,4 milioni di Km/h). Le osservazioni di Chandra rivelano la presenza di ferro, neon, silicio e zolfo a temperature che superano i 50 milioni di gradi F. Ossia, 28 milioni di gradi Celsius. “Non abbiamo ancora informazioni sufficienti per determinare il tipo di supernova – ha dichiarato Jamie Kennea, coautore della ricerca presso il Swift MOC – ma abbiamo programmato un’ulteriore osservazione al Chandra per migliorare l’immagine: non vediamo nessuna prova convincente che l’esplosione abbia formato una stella di neutroni, ma ci auguriamo di capirlo in futuro”. Benché le Supernovae di tipo Ia siano le esplosioni stellari più energetiche e uniforme esistenti nell’Universo, esse presentano tra loro caratteristiche spettrali diverse. Come rivela uno studio di Xiaofeng Wang pubblicato su Science. Il team di ricercatori ha esaminato 188 supernovae di tipo Ia, giungendo alla conclusione che la diversità nello spettro dipende dal loro luogo d’origine. I ricercatori infatti hanno scoperto che le supernovae che si espandono ad una velocità più elevata sono generalmente concentrate nella zona più interna e luminosa della galassia che le ospita. Non solo. Fanno anche parte di galassie generalmente più grandi e più luminose di quelle abitate dalle loro “cugine” che hanno una normale velocità di espansione. Messi insieme questi dati, gli scienziati hanno scoperto che le supernovae di tipo Ia in rapida espansione, provengono probabilmente da popolazioni di stelle più giovani e ricche di metallic (elementi più pesanti dell’Idrogeno) rispetto alle supernovae normali. Questo sembra convincere alcuni ricercatori ad affermare che la presenza di  supernovae ad alta velocità di espansione  potrebbe essere limitata a galassie con evoluzione chimica sostanziale. “Un lavoro molto interessante – ha dichiarato Stefano Benetti dell’Inaf – Osservatorio Astronomico di Padova – lo studio ha il pregio di aver accertato numericamente alcune associazioni che da tempo si ipotizzavano, in particolare il fatto che le supernovae ad alta velocità di espansione tendessero ad esplodere in regioni di più alta formazione stellare. Tutti gli ultimi lavori sono il coronamento di sforzi osservativi-interpretativi iniziati più di 25 anni fa (grosso modo nel 1988) specialmente con i lavori di David Branch (Oklahoma University) e quelli svolti ad Asiago (uno mio nel  1989; Barbon et al. nel 1990) sulla diversità delle supernovae Ia.  In tutti questi anni è stato profuso un enorme lavoro di raccolta di dati sempre più perfezionati che permettono ora di intravedere, grazie allo studio sistematico delle piccole differenze riscontrabili negli spettri di queste supernovae, quale sistema progenitore stia alla base di queste esplosioni termonucleari, che ricordiamo sono dei potenti metri per determinare le distanze cosmiche e quindi la geometria, la forma dell’Universo. Chiaramente più conosciamo il funzionamento di questi metri campione più confidenza avremmo sulle distanze con essi determinate e le conseguenti implicazioni cosmologiche, che ricordiamo hanno portato al Nobel tre colleghi, due anni or sono”. Attenti alla Supernova!

Nicola Facciolini

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