Caso Tafuri Lupinacci Giovanna: lettera aperta della madre alla telefonista anonima

De Luca Antonia, mamma di Tafuri Lupinacci Giovanna trovata morta il  09.09.2011 nel canale Giaron, in località San Martino Buon Albergo, lancia un appello alla telefonista anonima che diceva di aver visto trascinare Giovanna e in una lettera aperta scrive: “Sono una madre disperata che non riesce a darsi pace per la morte della propria figlia. […]

De Luca Antonia, mamma di Tafuri Lupinacci Giovanna trovata morta il  09.09.2011 nel canale Giaron, in località San Martino Buon Albergo, lancia un appello alla telefonista anonima che diceva di aver visto trascinare Giovanna e in una lettera aperta scrive: “Sono una madre disperata che non riesce a darsi pace per la morte della propria figlia.
Tafuri Lupinacci Giovanna viveva a Verona con la propria famiglia, in via Comacchio, in zona Borgo Roma. Uscita da casa la sera del 26 agosto 2011 non vi ha fatto più ritorno: il suo corpo è stato trovato privo di vita dopo 15 giorni incagliato nelle griglie del canale Giaron, in località San Martino Buon Albergo.
Dal giorno del suo ritrovamento ho iniziato personalmente una battaglia, contro l’indifferenza ed a volte anche contro la giustizia, al fine di trovare i responsabili di una morte che, troppo frettolosamente, è stata archiviata come suicidio. Ho cercato in tutti i modi di indicare alla magistratura elementi da cui partire per nuove indagini, ho fornito indizi e moventi, ma ogni mia richiesta è stata vana. Ogni mia istanza è stata rigettata.
Il 10 maggio 2013, dopo quasi due anni di assoluto silenzio, una donna con l’accento settentrionale mi ha chiamato sul telefono fisso dicendomi di aver sentito delle urla e di aver visto, poco dopo, delle persone che tenevano mia figlia e, facendola strisciare per terra, la caricavano in macchina e la portavano via.
Sentendo quelle parole ho pianto molto ma al contempo pensavo che qualcosa, finalmente, si stesse muovendo. Non sapevo cosa dire a quella donna, ma nonostante le mie preghiere di rivolgersi ai Carabinieri, la stessa ha chiuso la telefonata rimanendo anonima.
Naturalmente ho esposto immediatamente i fatti alla Procura di Verona, certa che la verità sarebbe arrivata presto. Ma anche questa volta la mia Procura ha rigettato la mia richiesta di riapertura indagine ritenendo falso il contenuto del mio racconto. Secondo i magistrati mi sarei inventato tutto.
Sono disperata, non so più come venire a capo di questa vicenda. So che mia figlia è stata uccisa ma non ho la possibilità di dimostrarlo. Di una sola cosa però sono certa: finché avrò un briciolo di voce griderò al mondo la mia voglia di giustizia e di verità.
É per questo che oggi scrivo questa lettera.
La scrivo affinché le amiche di mia figlia trovino la forza di rivolgersi alla magistratura per comunicare ciò che avrebbero voluto riferire e non l’hanno fatto ritenendolo insignificante. Ma è rivolta anche a quanti hanno visto o sentito qualcosa e non hanno avuto il coraggio o la voglia di fornire la propria testimonianza, nella convinzione che tale gesto sarebbe stato superfluo e, soprattutto, a quella donna che spinta dalla sua coscienza mi ha chiamato per dare conferma a quella che per me era già una certezza. Vorrei che si liberasse da quel peso che la affligge e raccontasse tutto ai magistrati, affinché siano presi i colpevoli e sia fatta piena giustizia”.

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