Dal 2009 diminuita la mortalità infantile

Parte oggi la campagna Every One di Save the children per fermare la mortalità infantile, ovvero la morte ogni anno nel mondo di oltre 6 milioni di bambini con meno di 5 anni, per malattie banali e curabili come morbillo, diarrea, polmonite, complicazioni neonatali. A Roma per l’occasione, nella splendida cornice di Piazza del Popolo, […]

Parte oggi la campagna Every One di Save the children per fermare la mortalità infantile, ovvero la morte ogni anno nel mondo di oltre 6 milioni di bambini con meno di 5 anni, per malattie banali e curabili come morbillo, diarrea, polmonite, complicazioni neonatali. A Roma per l’occasione, nella splendida cornice di Piazza del Popolo, è stato inaugurato il nuovo Villaggio Every One: un grande spazio di circa 170 mq per raccontare, attraverso installazioni interattive ed esperienze sensoriali ludico-educative, il lavoro degli operatori di Save the Children sul campo e le semplici soluzioni che possono salvare la vita a milioni di bambini.

Ma non solo. In occasione del lancio dell’iniziativa in questione l’organizzazione ha reso anche noto il rapporto “Mondi dispari. Ridurre le disuguaglianze per combattere la mortalità infantile”. Dunque, come emerge dall’approfondita analisi grande protagonista sullo scenario della mortalita’ infantile e’ la disuguaglianza, non solo quella tra paesi del nord e del sud del mondo ma anche tra quintile piu’ ricco e piu’ povero di uno stesso paese o ancora tra zone urbane e rurali.

 

Nel 2000, si legge nel rapporto, i “leader mondiali con gli obiettivi di sviluppo del millennio si sono impegnati a costruire un mondo piu’ equo per tutti, abbattendo la distanza tra paesi ricchi e paesi in via di sviluppo, proponendosi tra l’altro di dimezzare la poverta’ estrema, ridurre la mortalita’ infantile e materna, assicurare l’istruzione elementare universale, entro il 2015. Al momento pero’, secondo gli attuali andamenti e nonostante i progressi, questi obiettivi saranno solo parzialmente raggiunti”. Ad esempio, “nonostante la mortalita’ infantile sia scesa da 9 a circa 6 milioni di bambini all’anno dal 2009 ad oggi- sottolinea Save the children- non si e’ assistito ad un decremento uniforme del fenomeno, equamente distribuito in tutti i paesi e per tutte le popolazioni”.

Il decremento, leggendo le cifre del rapporto, non ha riguardato ad esempio la mortalita’ neonatale: “sul totale di decessi infantili (sotto i 5 anni) la proporzione di bambini morti nei primi 28 giorni di vita e’ aumentata, raggiungendo oltre i 3 milioni”.

Attualmente oltre un miliardo di persone in tutto il mondo non hanno accesso all’assistenza sanitaria e i bambini che vivono in condizioni sociali, culturali ed economiche piu’ svantaggiate vanno incontro a maggiori probabilita’ di morire prima dei 5 anni. Nell’Asia Meridionale, ad esempio, gia’ colpita da un tasso di mortalita’ altissimo, i bambini nati in famiglie che appartengono al quintile di reddito piu’ povero ha piu’ del doppio delle probabilita’ di morire rispetto ai loro coetanei nati in famiglie piu’ benestanti.

La disuguaglianza, tuttavia, non esiste solo tra nord e sud del mondo, ma anche all’interno dello stesso paese. Ad esempio, in alcuni dei paesi in cui lavora Save the Children con progetti di salute materno-infantile (India, Pakistan, Nepal e Uganda), l’assistenza al parto in aree rurali viene fornita approssimativamente alla meta’ delle donne assistite nelle zone urbane, mentre solo il 40% delle donne che non vivono nei grandi centri urbani effettua visite antenatali. Il divario e’ decisamente maggiore in Etiopia, dove si registra solo i 5% di donne assistite nelle zona rurali contro il 52% nei grandi centri urbani.

In Africa Subsahariana nell’arco di un decennio, dal 2000 al 2010, la percentuale di parti assistiti da operatori sanitari qualificati e’ aumentato di un solo punto (dal 44 al 45%). Come risultato, ogni anno si stimano circa 287.000 morti materne nel mondo, di cui 2.200 avvengono nei paesi sviluppati e oltre 284.000, nei paesi in via di sviluppo. Tutto questo e’ ovviamente correlato anche allo scarso numero di operatori sanitari disponibili: se in Norvegia si ha in media un medico ogni 53 pazienti e nel Regno Unito 1 ogni 77, in Guinea e in Niger, ci sono rispettivamente un medico ogni 7.143 e 6.667 pazienti.

Mettendo a confronto le tre determinanti (reddito, istruzione materna e ambiente) che concorrono a determinare una maggiore o minore probabilita’ di vita di un bambino, dal rapporto affiora che le “disuguaglianze piu’ alte si riscontrano tra diversi livelli di istruzione: ben il 30% della popolazione e il 55% delle donne del Pakistan, ad esempio, terzo paese al mondo per numero di decessi neonatali, pari a 202 mila annui, sono analfabeti”. Inoltre il benessere economico del Paese, spesso si accompagna solo parzialmente ad un miglioramento delle condizioni di vita e di salute per donne e bambini. “In India, dove dal 2004 al 2012 il Pil e’ piu’ che raddoppiato, non segue una pari riduzione del tasso di mortalita’ infantile che in otto anni si abbassa solo da 58 a 46 decessi su 1.000 nati vivi nell’arco, e anzi aumenta nel 2010 nonostante un netto aumento del Pil”.

Di fronte a questo stato di cose, e’ ben chiaro che la mortalita’ materna e infantile non puo’ essere combattuta efficacemente ne’ sconfitta se non si affrontano le questioni legate alle disuguaglianze sociali, economiche e culturali. Pertanto “due sono le sfide principali da vincere- ha dichiarato con fermezza Valerio Neri, direttore generale di Save the Children Italia- Raggiungere tutti i bambini, in particolare i piu’ poveri fra i poveri, e intensificare gli interventi di salute sui neonati. Ancora oggi, infatti, 1 milione di bambini muore nel primo giorno di vita”. Per vincere queste importanti battaglie, pero’, “serve un impegno focalizzato- ha concluso Claudio Tesauro, presidente dell’organizzazione- sui gruppi di popolazione piu’ vulnerabili. Fondamentale in questo quadro e’ l’apporto dei Paesi grandi donatori e il rispetto degli impegni presi”.

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