Esopianeta alieno HD95086b più leggero e freddo di sempre scoperto dagli astronomi ESO del Very Large Telescope

È l’esopianeta alieno più leggero e freddo di sempre scoperto dagli astronomi dell’ESO grazie al Very Large Telescope sul Paranal in Cile. Dagli splendidi cieli dell’Osservatorio europeo australe, un team di ricercatori guidati da Julien Rameau con le potenti ottiche del VLT ha fotografato un oggetto debole in movimento vicino a una stella brillante nella […]

È l’esopianeta alieno più leggero e freddo di sempre scoperto dagli astronomi dell’ESO grazie al Very Large Telescope sul Paranal in Cile. Dagli splendidi cieli dell’Osservatorio europeo australe, un team di ricercatori guidati da Julien Rameau con le potenti ottiche del VLT ha fotografato un oggetto debole in movimento vicino a una stella brillante nella costellazione australe della Carena. Ha una massa stimata di circa quattro o cinque volte quella di Giove e secondo gli scienziati sarebbe il primo esomondo più leggero osservato direttamente al di fuori del nostro Sistema Solare. La scoperta è un contributo importante alla nostra comprensione della formazione ed evoluzione dei sistemi planetari. La nuova immagine del VLT mostra l’esopianeta HD95086b vicino alla sua stella madre opportunamente occultata. Le osservazioni sono state effettuate da NACO, lo strumento per l’ottica adattiva del VLT in luce infrarossa, usando una tecnica chiamata “imaging differenziale” che migliora il contrasto tra il pianeta alieno e l’abbagliante stella ospite rimossa artificialmente durante il processo di elaborazione per migliorare la visibilità del debole esomondo. La posizione dell’astro è chiaramente indicata. L’esopianeta si trova in basso a sinistra. Il cerchio blu indica la dimensione dell’orbita di Nettuno nel nostro Sistema Solare. La stella HD95086 ha proprietà simili a Beta Pictoris e HR 8799 intorno a cui sono stati trovati, osservati e fotografati pianeti giganti, a separazioni tra le 8 e le 68 Unità Astronomiche dalla loro stella madre. Sono tutti giovani astri più massicci del Sole e circondati da un disco di detriti. Anche se sono già stati individuati indirettamente quasi mille esopianeti, la maggior parte dei quali con metodi come la velocità radiale o il transito, e molti altri candidati attendono una conferma ufficiale, solo una dozzina di esomondi sono stati osservati e fotografati direttamente (http://en.wikipedia.org/wiki/List_of_extrasolar_planets_directly_imaged) dagli astronomi terrestri. Tutti gli altri, compresi quelli del Telescopio Spaziale Keplero della Nasa, sono stati trovati con metodi indiretti che potevano rivelare gli effetti del pianeta alieno sulla stella madre: il calo di luminosità prodotto quando l’esomondo passa davanti al suo astro (il metodo dei transiti) o l’oscillazione causata dall’attrazione gravitazione degli esopianeti nel corso della loro orbita (il metodo delle velocità radiali). Nove anni dopo che il Very Large Telescope dell’Eso ha catturato la prima immagine di un esopianeta, il compagno planetario della nana bruna 2M1207, la stessa squadra di astronomi ha ritratto quello che è probabilmente il più leggero di questi oggetti finora scoperto dalla Terra e dallo spazio. L’esopianeta Fomalhaut-b potrebbe avere una massa più bassa, ma la sua luminosità sembra contaminata dalla luce riflessa dalla povere circostante, rendendo incerta la determinazione della sua massa. La stessa equipe dell’Eso ha anche osservato un esomondo intorno alla stella Beta Pictoris così come molti altri. “Ottenere direttamente l’immagine di un pianeta è una tecnica molto impegnativa che richiede gli strumenti più avanzati sia da terra sia dallo spazio – rivela Julien Rameau dell’Institut de Planetologie et d’Astrophysique di Grenoble in Francia, primo autore dell’articolo “Discovery of a probable 4-5 Jupiter-mass exoplanet to HD95086 by direct-imaging”, pubblicato dalla rivista Astrophysical Journal Letters che annuncia la scoperta – solo pochi pianeti sono stati osservati direttamente finora, rendendo ogni singola scoperta una tappa fondamentale sulla strada della comprensione dei pianeti giganti e della loro formazione”. L’equipe di ricerca dell’Eso è composta da J. Rameau (Institut de Planetologie et d’Astrophysique de Grenoble, Francia [IPAG]), G. Chauvin (IPAG), A.-M. Lagrange (IPAG), A. Boccaletti (Observatoire de Paris, Francia; University Pierre et Marie Curie Paris 6 and University Denis Diderot Paris 7, Meudon, Francia), S. P. Quanz (Institute for Astronomy, ETH Zurich, Svizzera), M. Bonnefoy (Max Planck Instiute für Astronomy, Heidelberg, Germania [MPIA]), J. H. Girard (ESO, Santiago, Cile), P. Delorme (IPAG), S. Desidera (INAF – Osservatorio Astronomico di Padova, Italia), H. Klahr (MPIA), C. Mordasini (MPIA), C. Dumas (ESO, Santiago, Cile), M. Bonavita (INAF-Osservatorio Astronomico di Padova, Italia), Tiffany Meshkat (Leiden Observatory, Paesi Bassi), Vanessa Bailey (Univ. of Arizona, USA) e Matthew Kenworthy (Leiden Observatory, Paesi Bassi). In queste nuove osservazioni del VLT il probabile pianeta si mostra come un puntino debole ma ben definito vicino alla stella HD95086. Un’osservazione successiva mostra anche che si muove lentamente con la stella in cielo. Questo suggerisce che l’esomondo, designato HD95086b, sia in orbita intorno alla stella. La sua luminosità indica che la massa prevista sia all’incirca solo quattro o cinque volte quella di Giove. L’equipe ha usato lo strumento di ottica adattiva NACO, montato su uno dei quattro Unit Telescope da 8,2 metri di diametro del VLT, che consente agli astronomi di rimuovere la maggior parte degli effetti di distorsione dell’atmosfera terrestre per ottenere immagini quasi spaziali. Il pianeta appena scoperto è in orbita intorno alla sua giovane stella HD95086 a una distanza di circa 56 volte la distanza dalla Terra al Sole (U.A.), il doppio della tratta tra il Sole e Nettuno. L’astro alieno è poco più massiccio del Sole ed è circondato da un disco di polveri. Queste proprietà hanno permesso agli astronomi dell’Eso di identificarlo come un candidato ideale per ospitare giovani pianeti massicci. Il sistema solare alieno si trova a circa 300 anni luce dalla Terra. La giovinezza della stella, tra 10 e 17 milioni di anni appena, suggerisce che questo nuovo esopianeta si sia probabilmente formato all’interno del disco di gas e polveri che circonda l’astro. “La sua posizione attuale solleva domande sul suo processo di formazione – fa notare Anne-Marie Lagrange co-autrice della scoperta nel team Eso – potrebbe essere cresciuto accumulando le rocce che formano il nucleo solido e, a mano a mano, catturando il gas dall’ambiente per formare un’atmosfera pesante, oppure è iniziato da un grumo di gas nato da un’instabilità gravitazionale nel disco. Anche le interazioni tra il pianeta e il disco stesso o con altri pianeti potrebbero aver spostato il pianeta da dove si è formato”. Il che ha profonde implicazioni per la conoscenza del nostro (singolare?) Sistema Solare. “La luminosità della stella – spiega Gaël Chauvin del team di ricerca Eso – indica che la temperatura superficiale di HD95086b dovrebbe essere di circa 700 gradi Celsius, abbastanza freddo perché il vapor acqueo e forse il metano possano esistere nell’atmosfera. Sarà molto interessante studiare questo oggetto con il prossimo strumento SPHERE che verrà installato sul VLT. Si potrebbe forse anche scoprire pianeti interni nel sistema, se esistono”. SPHERE è uno strumento di ottica adattiva di seconda generazione che verrà installato al VLT verso la fine del 2013. In verità, sono 3646 i pianeti alieni di tutte le taglie scoperti finora là fuori dall’Anno Domini 1992. Sono stati confermati 865 esomondi ai quali si aggiungono 2781 pianeti candidati (http://planetquest.jpl.nasa.gov/). Le Esoterre del Telescopio Spaziale Keplero, senza contare le esolune ancora da scoprire, sono forse abitabili come la Terra. Lo sapremo solo con l’esplorazione umana diretta in situ a bordo di vere astronavi interstellari come la USS Enterprise di Star Trek. I telescopi spaziali assai poco possono fare: né fuochino nè fuochetto né fuoco. L’ultima scoperta del satellite Kepler della Nasa, annunciata sulla rivista “Science”, riguarda i pianeti più simili alla Terra finora scoperti. Simili per dimensioni e stella madre attorno alla quale orbitano. Simili per la distanza dal loro astro progenitore. Ma la certezza che su quei pianeti ci sia quello che più ci interessa trovare, un’atmosfera e dell’acqua allo stato liquido come sulla Terra, magari con una civiltà umana primitiva o più evoluta, ancora non c’è. Il sistema solare alieno studiato da William Borucki e colleghi, ruota attorno alla stella Kepler-62 che è, più o meno, il 70 percento del nostro Sole sia in termini di raggio sia di massa. Attorno all’astro, la sonda Kepler ha osservato cinque esopianeti rocciosi con dimensioni che variano da metà al doppio della Terra. Più interessanti sono gli esomondi più esterni, designati come Kepler-62e e Kepler-62f. Il primo è ai limiti della cosiddetta “zona verde” abitabile, dove la radiazione proveniente dalla stella in termini teorici sarebbe sufficiente a consentire la vita così come la conosciamo. Perché abbastanza bassa da consentire la presenza di acqua allo stato liquido. Kepler-62f è grande 1,41 volte la Terra: potrebbe essere roccioso come il nostro mondo. Assieme, sono i due migliori candidati trovati finora ad avere teoricamente fiumi, laghi, mari, aria respirabile per una forma di vita simile alla nostra! Ma il Telescopio Spaziale Kepler non è in grado di confermarlo perché la stella è lontana 1200 anni luce: troppi per poter anche solo pensare di confermare la presenza o l’assenza di un’atmosfera e di acqua. Per poter fare lo storico annuncio presidenziale, bisognerà attendere di analizzare direttamente la luce di questi esopianeti e delle loro esolune con telescopi spaziali e terrestri molto più potenti. “È certo un grosso passo in avanti nella ricerca di pianeti abitabili – rivela Raffaele Gratton dell’Osservatorio Astronomico Inaf di Padova – il satellite Kepler sta raggiungendo tutti gli obiettivi che si era proposto, che pure erano decisamente ambiziosi” quando fu lanciato nel 2009. Infatti, come dimostra anche questo studio, Kepler e tutte le sonde simili non potranno mai arrivare a includere lo studio diretto dell’atmosfera degli esopianeti scoperti. Kepler non può dire se un pianeta alieno è davvero abitabile oppure no. I dati di Kepler possono essere utilizzati per studiare la struttura degli esopianeti ma non la loro atmosfera: questo è uno studio che, grazie all’Eso, stiamo appena iniziando a fare sui più vicini esomondi al di fuori del nostro Sistema Solare. Studiare l’atmosfera di pianeti extrasolari lontani parecchi anni luce, richiede grandi sforzi scientifici, politici, economici e tecnologici: bisogna arrivarci al più presto ma per passi intermedi, senza perdere la speranza. Anche perché qui sulla Terra non abbiamo navette di salvataggio per l’umanità in caso di catastrofico impatto cosmico di livello estintivo, da asteroide o cometa. Ecco perché siamo messi peggio che sul Titanic. Anche se scoprissimo un’altra Terra là fuori, a pochi anni luce, dovremmo pur sempre accontentarci di contemplarla nelle nostre ultime ore di esistenza. Ben poco altro potremmo fare, all’attuale stadio tecnologico. E, invece, la ricerca spaziale dovrebbe correre parallela allo sviluppo di tecnologie in grado di consentire all’umanità il grande balzo! Dove sono i Maiorana, i Leonardo, gli Einstein e i Fermi del XXI Secolo? La prima e fondamentale tappa è quella di sapere se là fuori ci sono abbastanza pianeti alieni per giustificare un investimento di questo tipo. Questo era il compito di Kepler che è stato coronato dal più grande successo. Gli scienziati stanno già cercando esopianeti attorno alle stelle più vicine alla Terra, come su Alpha Centauri grazie all’Eso. Trovare singoli candidati potenziali è già possibile. Serve però più apertura ottica, più segnale, più potenza di luce! Questo è il lavoro della prossima generazione di telescopi spaziali come TESS (Transiting Exoplanet Survey Sat- ellite, NDR) e JWSS della Nasa, ma anche del grande Telescopio Estremamente Grande dell’Eso, entro i prossimi dieci anni. Solo allora potremo passare alla terza fase: studiare direttamente l’atmosfera di tutti gli esopianeti, anche quelli più lontani, in gran dettaglio. L’Extremely Large Telescope (E-ELT) potrà farlo benissimo dal Cile grazie all’Eso. Nel frattempo bisogna inventare, anche privatamente, le prime vere astronavi interplanetarie con motori a fusione nucleare e ad annichilazione materia-antimateria controllata, con software e hardware perfettamente integrati. Le tre super-Terre di Kepler (62e, 62f e 69c) sono una grande speranza. Il sistema Kepler-62 ha cinque mondi alieni: 62b, 62c, 62d, 62e e 62f. Il sistema Kepler-69 ha due mondi alieni, 69b e 69c. Numeri che un giorno forse avranno i nomi dei primi esploratori che arditamente li visiteranno. Mondi con stelle più fredde e piccole sono in grado di sviluppare ecosistemi incredibili. La vita, una volta attecchita, è capace di tutto. Kepler-69c è il 70 percento più grande della Terra e orbita nella zona abitabile della sua stella come il nostro mondo. Gli astronomi non sono certi della reale composizione di Kepler-69c, ma il suo anno orbitale pari ai nostri 242 giorni indica che siamo di fronte a qualcosa di molto simile al pianeta Venere. È solo questione di tempo prima di fare Bingo! Ma i maledetti giroscopi di Kepler sono come impazziti. Saranno forse proprio loro a segnare la fine definitiva della missione Kepler della Nasa. Già lo scorso anno uno dei quattro dispositivi a bordo del satellite era andato in avaria, sostituito da quello di riserva. Ed ecco arrivare negli ultimi giorni un nuovo problema a uno dei tre rimanenti che potrebbe dargli il colpo di grazia. Questi apparati sono vitali per il corretto funzionamento delle attività del telescopio poiché provvedono al suo perfetto puntamento ed alla stabilità. “Senza questi dispositivi – rivela Enrico Flamini, coordinatore scientifico dell’Agenzia Spaziale Italiana – un telescopio che deve avere un’altissima precisione di puntamento e poter ripetere lo stesso puntamento anche a distanza di molto tempo con la stessa altissima precisione, semplicemente non riesce più a fare il suo lavoro. È chiaro che quando si parla di un guasto, bisogna ragionare sempre in termini di probabilità. Si fa tutto il possibile nel progettare e realizzare missioni spaziali per ridurre al minimo la probabilità di avarie, soprattutto critiche come quella sperimentata da Kepler, ma purtroppo non è mai possibile azzerare questa probabilità”. Ci si interroga sulle ripercussioni immediate per l’attività scientifica della missione. “Questo problema provocherà sicuramente una perdita di accuratezza nella precisione fotometrica, cioè della misura della radiazione proveniente dalle stelle che – spiega Raffaele Gratton, astronomo INAF ed esperto di pianeti extrasolari – sono  monitorate alla ricerca di pianeti orbitanti attorno ad esse”. Un colpo ferale per Kepler che risulterebbe decisivo per i possibili futuri risultati della missione: riuscirebbe sì ancora a trasmetterci dati, ma poco o per nulla utilizzabili dalla comunità scientifica. Eppure Kepler, in quasi quattro anni di vita operativa da poco superata, proprio quella prevista dal progetto iniziale, ha regalato al nostro mondo una nuova visione degli altri mondi che esistono al di fuori del nostro Sistema solare. Una visione neanche lontanamente immaginabile prima della sua entrata in funzione. “Kepler è stato un enorme successo – fa notare Gratton – ha segnato una rivoluzione nella nostra comprensione dei sistemi  planetari e ha completamente realizzato le attese che erano estremamente ambiziose. Al di là del numero di pianeti che ha scoperto, maggiore di quanto era stato anticipato, ci sono delle caratteristiche che hanno questi pianeti che determinano il successo della missione. Intanto è stata fornita una enorme statistica sui pianeti, in particolare quelli con periodi corti. Questo è un dato fondamentale per la nostra comprensione di come si formano ed evolvono i sistemi planetari. Molti dei pianeti scoperti sono di piccole dimensioni e alcuni di questi si trovano nella zona abitabile. Anche questo risultato è importantissimo per capire qual è la probabilità  che esistano pianeti con queste caratteristiche e sui quali eventualmente potrebbero esserci le condizioni per ospitare forme di vita. Ma dobbiamo ricordare che Kepler ha dato un enorme contributo anche sulla comprensione della struttura interna delle stelle, informazioni che vengono dallo studio delle loro pulsazioni, quello che noi chiamiamo astro-sismologia”. Nonostante questi enormi successi, non tutta la mole dei dati finora inviati dalla missione Kepler è stata sfruttata dalla comunità scientifica internazionale. “Noi abbiamo misure estremamente accurate della variazione di luminosità per circa 100.000 stelle e – sottolinea Gratton – per ognuna di queste abbiamo all’incirca un milione di misure, ciascuna delle quali con una precisione estrema. Stiamo parlando quindi di centinaia di miliardi di misure ed estrarre tutte le importanti informazioni che si celano dietro questa enorme mole di dati sarà un lavoro che richiederà ancora anni”. Immaginate le sorprese di Kepler!
© Nicola Facciolini

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