Il telescopio Apex dell’Eso osserva dal Cile un nastro di fuoco nei cieli della Nube Molecolare di Orione

Un nastro infuocato solca i cieli della Nube Molecolare di Orione. La nuova straordinaria immagine di nubi cosmiche nella costellazione di Orione, osservate dal telescopio APEX (Atacama Pathfinder Experiment) dell’Eso in Cile, svela per la prima volta il bagliore arancione dovuto alla debole luce dei grani di polvere interstellare fredda, a lunghezze d’onda troppo lunghe […]

Un nastro infuocato solca i cieli della Nube Molecolare di Orione. La nuova straordinaria immagine di nubi cosmiche nella costellazione di Orione, osservate dal telescopio APEX (Atacama Pathfinder Experiment) dell’Eso in Cile, svela per la prima volta il bagliore arancione dovuto alla debole luce dei grani di polvere interstellare fredda, a lunghezze d’onda troppo lunghe per poter essere viste dall’occhio umano. Le nubi di gas e polvere interstellare sono la materia prima da cui si formano le stelle e i pianeti. Ma questi minuscoli grani di polvere bloccano la nostra visuale su ciò che si trova all’interno e dietro alle nubi, nel visibile, rendendo difficile osservare la nascita degli astri. Questo è il motivo per cui gli astronomi devono usare strumenti in grado di vedere la luce oltre il visibile. Nella banda submillimetrica i grani di polvere non bloccano la luce ma risplendono a causa della loro temperatura di qualche decina di gradi sopra lo Zero Assoluto. Gli oggetti più caldi emettono la maggior parte della radiazione a lunghezze d’onda corte. Quelli più freddi a lunghezze d’onda maggiori. Di conseguenza stelle molto calde, con temperature superficiali di 20mila gradi Kelvin, appaiono blu; mentre quelle più fredde, con temperature di circa 3mila gradi Kelvin, appaiono rosse. Anche con un binocolo astronomico come l’USM 15×70, è possibile osservare chiaramente i diversi colori degli astri. Una nube di polvere alla temperatura di dieci gradi Kelvin produce l’emissione con un picco a lunghezze d’onda ancora maggiori, intorno ai 0,3 millimetri, nella zona dello spettro a cui è più sensibile il telescopio Apex dell’Osservatorio europeo australe. Con la sua camera submillimetrica “Laboca”, grazie alla favorevole altitudine di 5mila metri sul livello del mare nella piana di Chajnantor nelle Ande cilene, Apex è lo strumento ideale per questo tipo di osservazioni. La nuova spettacolare fotografia mostra parte di un complesso più grande noto come Nube Molecolare di Orione, nella costellazione omonima. Un crogiuolo di nebulose brillanti, di stelle giovani e calde e di nubi molecolari fredde: questa regione si estende per centinaia di anni luce, distante circa 1350 anni luce dalla Terra. Il bagliore prodotto dalle nubi di polvere fredda submillimetrica, è di colore arancio, sovrapposto a una fotografia scattata nella più familiare luce visibile. La grande nube brillante è la ben nota Nebulosa di Orione, chiamata Messier 42. È facilmente visibile a occhio nudo come la “stella” leggermente sfuocata nel centro della Spada di Orione. La Nebulosa è la zona più brillante di un’enorme incubatrice stellare in cui nascono nuovi astri e pianeti. È il sito di massiccia formazione stellare più vicino alla Terra. Le nubi di polvere formano bellissimi filamenti, piani e bolle come risultato di processi estremamente violenti come il collasso gravitazionale e gli effetti dei forti venti stellari che sono flussi di gas espulsi dall’atmosfera degli astri, sufficientemente potenti da modellare le nubi circostanti nelle forme contorte che osserviamo dalla Terra. Gli astronomi dell’Eso hanno usato questi e altri dati di Apex, insieme alle immagini dell’Osservatorio Spaziale Herschel dell’Esa, per cercare protostelle, la fase iniziale nel loro processo di formazione, nella regione di Orione. Gli scienziati sono stati finora in grado di identificare 15 oggetti che appaiono molto più brillanti a lunghezze d’onda lunghe: ragion per cui quelle appena scoperte sono probabilmente le più giovani protostelle mai trovate. La ricerca di protostelle in questa regione è descritta nell’articolo “A Herschel and APEX Census of the Reddest Sources in Orion: Searching for the Youngest Protostars” di A. Stutz et al., per la rivista Astrophysical Journal. Le osservazioni con Apex sono state condotte da Thomas Stanke (Eso), Tom Megeath (University of Toledo, Usa), e Amelia Stutz (Max Planck Institute for Astronomy, Heidelberg, Germania). Apex è una collaborazione tra il Max Planck Institute for Radio Astronomy (MPIfR), l’Onsala Space Observatory (Oso) e l’Eso. Le operazioni di Apex a Chajnantor sono affidate all’Eso che nella stessa piana, il 29 Aprile 2013, ha inaugurato la dodicesima antenna di 7 metri di diametro, sviluppata da scienziati nipponici, dell’Atacama Compact Array (ACA), il sotto-sistema di 16 antenne del grande radiotelescopio Alma dell’Eso, ora completo e pienamente operativo per svelare i segreti dell’Universo. Alma, nel suo insieme, è format da 66 antenne interconnesse. Il Giappone è responsabile dello sviluppo di 16 antenne (4 da 12 metri e 12 da 7 metri), dei sensori superfreddi per le tre bande di frequenza installati in tutti i 66 radiotelescopi, e del supercomputer Correlator chiamato a unificare i segnali catturati dalle 16 antenne nipponiche. L’Atacama Compact Array è molto importante nel Progetto Alma, in quanto le 16 antenne sono in grado di osservare oggetti cosmici dalle grandi dimensioni angolari, come le nubi molecolari e le vicine galassie, incrementando così la risoluzione del radiotelescopio ALMA nel suo complesso. L’ultima antenna di 7 metri è stata trasportata dall’Operation Support Facility di Alma (OSF) a 2.900 metri di quota, alle ore 10:30 locali del 29 Aprile 2013. Dopo sei ore di viaggio, l’antenna è stata collocata nella sua corretta posizione presso l’AOS, tre anni e mezzo dopo la prima antenna. Il professor Satoru Iguchi, East Asia Alma Project Manager e docente al National Astronomical Observatory del Giappone (NAOJ), ha definito nella costruzione di Alma una “meravigliosa pietra miliare il completamento del sotto-sistema ACA” ora finalmente operativo “grazie al contributo del NAOJ Alma Team guidato da Norikazu Mizuno”(East Asia ALMA System Engineering and System Integration Manager) e “dello staff del Joint Alma Observatory (JAO). Ora le antenne ACA mostreranno la loro piena capacità, consentendo al radiotelescopio Alma di produrre immagini radio di altissima risoluzione per comprendere i segreti della nascita e dell’evoluzione dei sistemi planetari, delle stelle, delle galassie e delle origini della vita”. I responsabili del Progetto Alma hanno deciso di chiamare l’Atacama Compact Array (ACA) con il nome “Morita Array” in onore del professor Koh-ichiro Morita, un grande scienziato, una delle autorità mondiali nel campo dei telescopi ad “apertura sintetica”. Morita-san lasciò la Terra il 7 Maggio 2012 a Santiago del Cile. È la prima volta che un sistema di telescopi viene intitolato alla memoria di un astronomo giapponese. Koh-ichiro Morita fu tra i promotori e realizzatori del Nobeyama Millimeter Array negli anni Ottanta del secolo scorso. Nel Duemila si unì al Team Alma dell’Eso in Cile. Decisivo fu il suo contributo alla configurazione delle 16 antenne che compongono il sotto-sistema ACA di Alma, per potenziarne le “performance” nell’alta risoluzione e nella qualità delle immagini alle lunghezze d’onda millimetriche e submillimetriche. Nel 2010, in qualità di membro del JAO in Cile, Morita-san fu a capo del team di scienziati mondiali nella verifica e nella valutazione dei sistemi di Alma, “svolgendo un ruolo centrale nella realizzazione del più grande e complesso progetto radioastronomico internazionale, grazie al decisivo contributo della scienza nipponica”, come rivela Masahiko Hayashi, Direttore Generale del NAOJ. Fu Morita-san a studiare la migliore configurazione delle 66 antenne grazie ad ACA, determinando il corretto rapporto tra il numero e il diametro dei singoli radiotelescopi con la potenza di calcolo del supercomputer di Alma. In Italia il Sardinia Radio Telescope (SRT) esordisce con un importante successo, cogliendo al volo l’opportunità di osservare processi fisici estremi in una Magnetar, una sottoclasse di stelle di neutroni con campi magnetici oltre 100 volte superiori a quelli tipici osservati nelle normali pulsar già straordinariamente elevati, autentiche fucine del Martello di Thor evidentemente forgiato dagli abitanti di Asgard nella supermateria stellare neutronica. PSR J1745-2900 è una nuova Magnetar, osservata recentemente dal satellite Swift come “flares” ai raggi X provenienti dalla direzione della sorgente Sagittarius A* (SgrA*) nel centro della nostra Galassia e poi confermata come Magnetar dal telescopio spaziale nucleare NuSTAR della Nasa. Lunedì 6 Maggio 2013 la Magnetar PSR J1745-2900 è stata individuata nella bada di frequenza radio dal SRT, in Sardegna, con un impulso il cui periodo coincide con quello individuato nei raggi X (T=3.76 sec). La rilevazione è stata eseguita alle 5.30 ore locali da un gruppo di astronomi e tecnici dell’Istituto Nazionale di Astrofisica di Cagliari, impegnati nella fase di validazione scientifica della strumentazione montata sul radiotelescopio italiano, e pubblicata come A-TEL (un breve telegramma astronomico che avvisa la comunità scientifica di una importante scoperta) a nome di tutto il Gruppo di Validazione Scientifica e di Commissioning del SRT. “Si è trattato – rivelaa Nichi D’Amico, Direttore del progetto SRT – di un formidabile gioco di squadra fra chi si è offerto di andare a fare le osservazioni all’alba, in una situazione logistica ancora non perfettamente adeguata, e chi ha avuto la pazienza di operare alcune operazioni di filtraggio sui dati, necessarie per mettere in evidenza senza alcun dubbio il segnale che stavamo cercando”. L’osservazione, effettuata con il ricevitore in banda C alla frequenza centrale di 7.30 GHz, con una larghezza di banda di 730 MHz e un intervallo di campionamento di 40ms, si è confermata cruciale per definire la controparte radio della Magnetar PSR J 1745-2900. Una prima osservazione della PSR J 1745-2900, infatti, era stata eseguita quasi contemporaneamente nei giorni scorsi dal radiotelescopio di Parkes e dal Green Bank Telescope a basse frequenze radio. Le osservazioni, però, indicavano una misura di dispersione praticamente nulla, tipica di segnali interferenti di origine terrestre. Una seconda possibile detection è stata effettuata successivamente dal radiotelescopio di Effelsberg alla frequenza di 8 GHz: l’osservazione sembrava genuina per gli scienziati dell’Inaf, ma, come affermato dagli stessi autori nel loro A-TEL, non si poteva escludere la possibilità che il segnale fosse causato da una interferenza radio terrestre. La detection fatta con il SRT, che presenta un segnale stretto e brillante con alto rapporto segnale-rumore (circa 14) è perciò di fondamentale importanza. La scoperta dell’impulso della PSR J 1745-2900 oltre a mostrare le grandi capacità osservative del SRT già nella fase di test e, quindi, le sue future potenzialità, apre nuovi scenari per la comprensione della struttura e della dinamica della nostra Galassia. La regione in cui è stata trovata (SgrA*) è infatti un’importante sorgente di onde radio, molto luminosa e compatta, situata nel centro della Via Lattea e probabile sede di un buco nero supermassiccio circondato da alcune stelle dalle orbite più esotiche. Se si dimostrasse che la Magnetar orbita attorno al buco nero, la cosa sarebbe di estremo interesse per gli astrofisici. Non è la prima volta che accade e non sarà neanche l’ultima. Il buco nero supermassiccio Sagittarius A* è stato appena colto in flagrante durante uno dei suoi rari “spuntini” a base di gas e polveri. Secondo i dati raccolti il fenomeno dovrebbe ripetersi di nuovo entro la fine dell’anno. Un pasto a base di gas caldo per il buco nero supermassiccio al centro della nostra Via Lattea, che si trova a 26mila anni luce dalla Terra, non è un fenomeno indolore. Lo spuntino è stato registrato dall’osservatorio orbitante Herschel poco prima che finisse la sua attività scientifica. Il gas in questione si aggira attorno ai mille gradi Celsius, di gran lunga più caldo di qualsiasi nube interstellare che non supera qualche decina di gradi sopra lo Zero Assoluto. Il team di ricercatori del Jet Propulsion Laboratory della Nasa ha ipotizzato che le alte temperature potrebbero dipendere da shock a cui è sottoposto il gas nelle regioni centrali della nostra Galassia, come collisioni tra nubi di gas o materiale interstellare in movimento a grandi velocità. Grazie alle osservazioni all’infrarosso di Herschel, altri astronomi hanno notato un’altra nube di gas con una massa pari a quella di diverse Terre che sta spiraleggiando verso il buco nero e, secondo le previsioni, dovrebbe essere inghiottita entro poche settimane. L’osservazione di questi eventi dovrebbe aiutare a comprendere meglio i meccanismi di accrescimento dei buchi neri e i loro potenti getti energetici degni dei “ponti gravitazionali” di Odino, Thor e compagni Marvel.
© Nicola Facciolini

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