Perdonanza Celestiniana: il messaggio dell’ arcivescovo Petrocchi

L’arcivescovo metropolita dell’Aquila, monsignor Giuseppe Petrocchi a pochi giorni dall’inizio della 719ª edizione della Perdonanza Celestiniana, si rivolge alla sua arcidiocesi così: “Carissimi Confratelli nel Sacerdozio e Figli tutti della Chiesa e della Comunità Civile de l’Aquila, l’annuale celebrazione della Perdonanza, indetta dal santo pontefice Celestino V, c’invita a meditare non soltanto sul gesto straordinario […]

L’arcivescovo metropolita dell’Aquila, monsignor Giuseppe Petrocchi a pochi giorni dall’inizio della 719ª edizione della Perdonanza Celestiniana, si rivolge alla sua arcidiocesi così: “Carissimi Confratelli nel Sacerdozio e Figli tutti della Chiesa e della Comunità Civile de l’Aquila,
l’annuale celebrazione della Perdonanza, indetta dal santo pontefice Celestino V, c’invita a meditare non soltanto sul gesto straordinario del Papa eremita, ma ancor più, sulla grandezza della misericordia di Dio che ci raggiunge sempre, anche quando siamo immeritevoli di tale dono.
Nella più importante testimonianza agiografica sul Santo, quella che è ormai da tutti conosciuta come Vita C, scritta da due compagni di Pietro del Morrone – Bartolomeo da Trasacco e Tommaso da Sulmona – si afferma che Celestino V concesse un grande perdono non soltanto nel giorno della sua coronazione, ma anche nel giorno ottavo di quell’evento solennissimo1. Egli aprì – dicono ancora i due biografi – il tesoro della misericordia, che Cristo gli aveva affidato, e ne dispensò con grande larghezza a tutti coloro che si erano confessati e veramente pentiti: molti, udendo che «il padre delle misericordie aveva aperto il tesoro della misericordia», accorsero da lontano, desiderosi tutti di potersi abbeverare a tale fonte (cf. ibidem, pp. 418-419). Quella celebrazione, secondo il volere dell’anziano Pontefice, avrebbe dovuto ripetersi ogni anno, come puntualmente avviene ormai da più di sette secoli.
Papa Celestino fu dunque – e tale si mostrò al mondo – vero dispensatore della misericordia di Dio. Egli era ben consapevole che l’amore di Dio ci precede, perché «non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati» (1Gv 4,10): infatti, «Egli ci ha amati per primo» (1Gv 4,19).
Siamo ancora oggi depositari di questo inestimabile dono “celestiniano”: infatti, la bolla Inter sanctorum solemnia, con la quale il Papa proclamava il grande perdono, è sempre rimasta a L’Aquila, poiché i nostri predecessori rifiutarono di aderire all’intimazione di Bonifacio VIII che ne richiedeva l’immediata riconsegna. Tale inesauribile fonte di “grazia” costituisce per tutti gli aquilani un privilegio unico, ma anche una grande responsabilità, perché il dono ricevuto si trasformerebbe in condanna qualora non lo valorizzassimo appieno. Cosa fare, allora, per vivere al meglio questa straordinaria opportunità?
Anzitutto, dobbiamo accogliere a piene mani la sovrabbondante elargizione di misericordia che – attraverso la Perdonanza – ci viene fatta : la misericordia di un Dio, diceva Papa Francesco, che «mai si stanca di perdonare» e che purtroppo deve, molte volte, arrendersi di fronte alla nostra pochezza, perché spesso siamo proprio noi che «ci stanchiamo di chiedere perdono»2.
La Parola del Signore ci insegna che solo accogliendo il perdono di Dio saremo, a nostra volta, capaci di misericordia: verso noi stessi e verso gli altri. Infatti solo la grazia, che proviene da Dio (cfr. Rm 5,5), se corrisposta da noi, può generare nel nostro cuore la carità, che ci rende capaci di amare come siamo stati amati (cfr. Gv 13,34).
Dunque: è fondamentale, nella vita cristiana, imparare ad avere misericordia verso noi stessi, perché è proprio nel nostro circuito interiore che spesso si intrecciano nodi difficili da sciogliere, per cui diventiamo giudici spietati di noi stessi, incapaci di amarci perché incapaci di perdonarci.
Nella misura in cui ciascuno di noi apprenderà l’arte di “volersi bene” nel Signore, diventerà pure idoneo ad avere misericordia verso gli altri: è vero, infatti, che «se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri» (1Gv 4,11). Sarà questo amore reciproco a mostrare a tutti l’autenticità del nostro amor verso Dio, poiché «se uno dice: “Io amo Dio” e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1Gv 4,20). Un amore – quello che siamo chiamati a testimoniare – fatto di gesti concreti, poiché il vero cristiano ama non «a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità» (1Gv 3,18). Ciò vuol dire esercizio costante di quella generosità evangelica che ci spinge ad uscire da noi stessi e ci rende pronti a spenderci per gli altri, come Gesù ci ha insegnato (cfr. Gv 13,13-14). Ma tale spirito di servizio esige anche il pieno rispetto delle norme, ecclesiali e civili: infatti il bene va fatto bene, poiché il bene fatto male genera il male. Una carità – quella accesa nei nostri cuori – che deve farsi visibile, sia nelle nostre case come nelle nostre parrocchie, sul posto di lavoro e nei luoghi di riposo, in piazza come in chiesa.
Ci è noto, inoltre, che la carità porta sempre con sé la propria sorella: la comunione. Perché non c’è carità senza comunione, così come non c’è comunione senza carità: per far sprigionare in noi e tra noi la forza evangelica, che rinnova ed edifica, dobbiamo dunque porre il massimo impegno a tenere unite queste due sorelle. Sappiamo pure che, nel corteo delle virtù-ancelle, che accompagnano la carità e la comunione, in prima fila figurano la fedeltà e la misericordia.
In tale prospettiva, dobbiamo meditare attentamente il monito severo dell’Apostolo Giacomo: «il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà avuto misericordia. La misericordia ha sempre la meglio sul giudizio» (Gc 2,13). Infatti, la misericordia costruisce ponti, mentre l’invidia e la cattiveria innalzano muri di diffidenza e scavano i fossati della inimicizia. Carissimi, questa è la mia prima Perdonanza come vescovo di questa Chiesa e cittadino aquilano: una Perdonanza che siamo costretti a vivere al di fuori della celestiniana basilica di Collemaggio, in condizioni dunque di aggravata precarietà. Questa celebrazione, vissuta fuori del perimetro delle mura sacre, diventa però un “indicatore” del cammino che lo Spirito ci esorta a fare: l’invito, cioè ad allargare gli spazi del cuore, proprio quando si restringono i tradizionali “luoghi” liturgici ed assembleari. Se saremo fedeli alla grazia della Perdonanza, anche questa chiusura della monumentale basilica di Collemaggio costituirà un tratto “pasquale” – quindi, sofferto e maturante – del nostro itinerario di santità. La inagibilità di questa bellissima “chiesa fatta di pietre”, ci chiama a lavorare ancora più intensamente, per dilatare e consolidare la “Chiesa-comunione, fatta di persone”.
Possa l’intercessione di san Celestino V, di cui ricorre quest’anno il settimo centenario della canonizzazione (1313-2013), ottenerci tale preziosissimo dono. Con questi sentimenti nel cuore, innalziamo unanimi al Signore la nostra preghiera, affinché la benedizione di Dio scenda largamente su di noi; così anche noi, a nostra volta, potremo diventare benedizione di Dio per quanti incontreremo”.

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