Sanremo 2013: Antony, leader del gruppo Antony and the Johnsons, si racconta

Ospite della terza serata del 63° Festival di Sanremo, Antony – leader del gruppo Antony and the Johnsons – si racconta. Antony, che genere di musica italiana conosce e le piace? L’artista che conosco meglio è Franco Battiato. Ho lavorato con lui e abbiamo anche trascorso del tempo insieme in Sicilia, è il mio più […]

Ospite della terza serata del 63° Festival di Sanremo, Antony – leader del gruppo Antony and the Johnsons – si racconta.

Antony, che genere di musica italiana conosce e le piace?

L’artista che conosco meglio è Franco Battiato. Ho lavorato con lui e abbiamo anche trascorso del tempo insieme in Sicilia, è il mio più caro amico italiano. Ma mi sembra un po’ sciocco fare delle graduatorie… ci sono una serie di artisti pop storici che conosco. In Italia trovo che ci sia un gusto musicale interessante ed eclettico e vi sono molti musicisti diversi e anche molto eccentrici. Credo che in Italia si amino molto i cantanti eccentrici e probabilmente questo è uno dei motivi per cui io piaccio in Italia. Ci sono molta passione e molto colore nel mondo della musica italiana. Ah, mi piace Mina.

Pensa di avere qualcosa di simile a Battiato?

Non credo. Lo ammiro, ma io mi concentro su altre cose, perché Battiato ha sempre un punto di vista filosofico, un punto di vista davvero ampio. L’ho visto cantare dal vivo e ti tocca il cuore perché sprigiona un calore davvero profondo. E poi è strana questa sua voce molto giovane, che mi tocca profondamente. È palese che tutti in Italia lo amano.

Io come cantante non ho questo tipo di esperienza… non sono amato da così tante persone. Diciamo che il mio viaggio artistico si snoda attraverso una serie di culture musicali diverse ed io.. è come se fossi un colore dentro queste culture, però non sono un elemento centrale di nessuna di esse. Da un certo punto di vista è come se Battiato esprimesse ciò che c’è di più prezioso nel cuore della gente, e lui stesso è come se fosse il cuore, il tesoro della sua nazione. Il mio è invece il ruolo dell’outsider…

Ma c’è una grande profondità anche nel suo pensiero…

Io mi sto sempre più concentrando sulla natura. Quello che siamo noi come specie rispetto alla natura… E anche in quanto transgender, io concentro in modo particolare la mia attenzione sulla possibilità di riottenere quanto di più profondo e primigenio c’è nella mia anima: arrivare a un livello di maggiore consapevolezza o trovare muovi modi di capire le cose, trovare i valori della vita. Mi è stato insegnato, per esempio, che dell’anima fa parte anche il tuo modo di comportarti e, da cattolico, mi è stato insegnato che si sta qui sulla terrà solo per un breve lasso di tempo e poi, se fai il bravo, vai in paradiso. Ma io come transgender non sarei stato tra le persone che potranno entrare in paradiso. Ero giovanissimo e da allora ho dovuto cominciare un viaggio lunghissimo: capire cosa pensassi davvero del paradiso e cosa mi sarebbe successo se avessi deciso di non accettare più i dogmi della dottrina. Ho dovuto quindi iniziare a forgiare le mie idee, le mie convinzioni su ciò che per me sarebbe stato il mio mondo fisico e il mio mondo spirituale. E ho iniziato pensare soluzioni a ciò che, oggi, emerge in modo eclatante: che noi abbiamo una vita limitatissima su questo pianeta e il nostro comportamento è simile a quello dei virus: consumiamo la terra, non rispettiamo la biodiversità in modo indiscriminato e distruggiamo l’equilibrio di casa nostra… del luogo in cui viviamo.

Per questo pensa che il futuro del mondo debba essere “femminile”?

Si, è la mia speranza. Abbiamo creato un sistema dove è il maschio che governa il mondo, ma è un sistema che si rifà alla notte dei tempi, un sistema nel quale si chiedeva ai propri figli di proteggerci dai mali del mondo, di farci sopravvivere da vecchi, mentre il ruolo delle donne era quello di avere e crescere i figli, di creare uno spazio quasi sacro intorno a se stesse, mentre l’uomo aveva il compito di uscire da questo spazio per proteggere, per procurare sostentamento per tutti e per combattere contro le tribù vicine o per cacciare. I nostri mariti, i nostri fratelli, i nostri figli hanno agito in modo talmente “nobile” per migliaia d’anni da garantire la sopravvivenza, la sopravvivenza della specie. Ma adesso sono gli strumenti impiegati dall’uomo dall’età preistorica in poi che ci proteggono. Quei valori che noi abbiamo creato come specie e che ci hanno permesso di sopravvivere in un clima di ostilità adesso sono gli stessi valori che minacciano la nostra sopravvivenza.

Cosa c’è nel futuro della sua musica?

Oggi, per me è inverno… vedremo cosa accadrà. Di certo so che stasera canterò “You were my sister” con il piano e l’orchestra sinfonica. Un pezzo molto rappresentativo del mio modo di sentire, oggi.

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