Strano allineamento cosmico in spettrali nebulose planetarie di bizzarre stelle estinte

“La cosa più incomprensibile dell’Universo è che sia comprensibile”(Albert Einstein). Bizzarre stelle estinte a forma di farfalla tendono ad essere misteriosamente allineati nell’Universo. Astronomi dell’Eso, grazie al New Technology Telescope, e della Nasa/Esa, grazie al Telescopio Spaziale Hubble, esplorando più di 100 nebulose planetarie nel rigonfiamento galattico della nostra Via Lattea, hanno rilevato lo strano […]

“La cosa più incomprensibile dell’Universo è che sia comprensibile”(Albert Einstein). Bizzarre stelle estinte a forma di farfalla tendono ad essere misteriosamente allineati nell’Universo. Astronomi dell’Eso, grazie al New Technology Telescope, e della Nasa/Esa, grazie al Telescopio Spaziale Hubble, esplorando più di 100 nebulose planetarie nel rigonfiamento galattico della nostra Via Lattea, hanno rilevato lo strano comportamento tra i membri di questa numerosa famiglia di astri passati a miglior vita con i loro gas. Una scoperta sorprendente date le loro diverse storie e proprietà fisiche. Negli stadi finali della vita di un astro come il Sole gli strati esterni vengono espulsi nel sistema solare e nello spazio circostante, formando oggetti noti come nebulose planetarie, con un’ampia casistica di forme suggestive. Ogni civiltà extraterrestre su quei lontani mondi probabilmente si è estinta da secoli. Un particolare tipo di queste nebulose, note come nebulose planetarie bipolari (nulla a che fare con la patologia psichiatrica molto comune tra i guerrafondai, i mercanti di armi di distruzione di massa e i dittatori che sterminano il proprio popolo) creano strutture spettrali a forma di clessidra o di farfalla intorno alla stella madre. Le nebulose si formano in luoghi diversi e hanno caratteristiche peculiari. Né le singole nebulose né le stelle che le hanno formate di solito interagiscono con altre nebulose planetarie. In realtà un nuovo studio degli astronomi dell’Università di Manchester (UK) mostra sorprendenti analogie per alcune di esse: molte sono allineate nello stesso modo in cielo, con l’asse maggiore della nebulosa planetaria bipolare che passa tra le ali della farfalla e l’asse minore che attraversa la sua forma. “Questa è una scoperta davvero sorprendente e, se confermata, molto importante – rivela Bryan Rees dell’Università di Manchester, uno dei due autori dell’articolo “Alignment of the Angular Momentum Vectors of Planetary Nebulae in the Galactic Bulge”, pubblicato dalla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society – molte di queste spettrali farfalle sembrano avere l’asse maggiore allineato lungo il piano della Galassia: usando immagini di Hubble e del NTT possiamo riprendere questi oggetti molto bene e studiarli così in gran dettaglio”. Gli astronomi hanno osservato 130 nebulose planetarie nel rigonfiamento centrale della Via Lattea, ne hanno identificate tre diversi tipi osservando con attenzione il loro aspetto. Le forme delle nebulose planetarie sono divise in tre categorie convenzionali: ellittiche, con o senza una struttura interna allineata e bipolari. “Mentre per due di queste popolazioni l’orientamento in cielo era assolutamente casuale, come previsto, abbiamo trovato per la terza, le nebulose bipolari, una sorprendente tendenza ad un allineamento particolare – fa notare Albert Zijlstra dell’Università di Manchester – se l’allineamento in sé è una sorpresa, osservarlo nell’affollata regione centrale della Galassia è ancora più inatteso”. Si ritiene che le nebulose planetarie siano scolpite dalla rotazione del sistema stellare da cui si sono formate. Questa rotazione dipende a sua volta dalle proprietà del sistema solare alieno. Se è un sistema binario con due stelle in rotazione attorno al comune centro di gravità e/o con esopianeti in orbita, le condizioni gravitazionali possono influenzare la forma della bolla di gas che si gonfia. Chissà come sarà la nebulosa planetaria futura del nostro Sistema Solare tra 5 miliardi di anni quando il Sole morirà! Le forme delle nebulose bipolari sono tra la più estreme, probabilmente dovute ai getti che soffiano via materia dal sistema binario perpendicolarmente all’orbita. “L’allineamento che vediamo in queste nebulose bipolari ci suggerisce qualcosa di bizzarro sui sistemi stellari all’interno del rigonfiamento centrale – spiega Rees – per allinearsi nel modo che vediamo, il sistema di stelle che forma queste nebulose dovrebbe ruotare in modo perpendicolare alla nube interstellare da cui si è formato, il che è molto strano”. Se le proprietà dei progenitori condizionano la forma delle nebulose, queste nuove scoperte suggeriscono un fattore ancora più misterioso. Insieme a queste caratteristiche astrali complesse si trovano quelle bizzarre della Via Lattea: l’intero rigonfiamento centrale che ruota attorno al centro galattico, potrebbe avere un’influenza maggiore di quanto si pensasse su tutta la Galassia tramite i suoi campi magnetici. Gli astronomi suggeriscono che l’andamento ordinato delle nebulose planetarie potrebbe essere causato dalla presenza di forti campi magnetici durante la formazione del rigonfiamento. Poiché le nebulose di questo tipo, più vicine al nostro Sistema Solare, non si allineano nello stesso modo ordinato, questi campi dovrebbero essere molto più forti di quello che si osserva oggi nell’Universo locale. Si sa molto poco sull’origine e le caratteristiche dei campi magnetici presenti nella nostra Galassia quando era giovane, perciò non è chiaro se siano cresciuti o decaduti nel corso del tempo. “Possiamo imparare molto dallo studio di questi oggetti – rivela Zijlstra – se veramente si comportano in modo inaspettato, ciò ha conseguenze non solo per il passato delle singole stelle, ma per quello di tutta la Galassia”. Arrivano i primi veri risultati importanti del telescopio spaziale nucleare NuStar della Nasa lanciato lo scorso anno, proprio per svelare questi ed altri misteri. Tra Luglio e Agosto sono state scattate immagini di alcuni fenomeni di radiazione X molto intensi, tra cui i segreti dei buchi neri supermassicci e dei potenti blazar. È in orbita da un anno NuStar che osserva l’Universo a raggi X ad alta energia. Il satellite monitora costantemente i fenomeni più turbolenti ed energetici del Cosmo, come i buchi neri, alcuni anche molto lontani dalla Terra, che sono anche quelli più luminosi e potenti in termini di radiazioni e di consumo del gas circostante. Uno dei tanti tipi analizzati da NuStar è il blazar: un buco nero attivo e supermassiccio in cui getti di materia e radiazione vengono espulsi ad altissima velocità da zone molte vicine al buco nero centrale in direzione della Terra. Ecco perché li osserviamo, per fortuna a distanza di sicurezza, altrimenti saremmo fritti! Gli astronomi possono utilizzare questi dati per comprendere meglio le svariate possibilità di utilizzo di NuStar e progettare future osservazioni. “La prima opportunità ci sarà questo Autunno 2013, quando il satellite si unirà al telescopio spaziale XMM-Newton” – rivela Karl Forster del Caltech (Usa). Il telescopio a raggi X XMM-Newton dell’Esa, come anche il Chandra della Nasa, sono di aiuto per l’attività di NuStar perché, mentre i primi due osservano oggetti con raggi X a bassa energia, NuSTAR è il primo telescopio spaziale capace di catturare la luce dei raggi X ad alta energia, permettendo di realizzare immagini molto più dettagliate rispetto al passato. I ricercatori potranno comparare i diversi dati grazie all’High Energy Astrophysics Science Archive Research Center, un importante Archivio di dati della Nasa per le ricerche sulla lunghezza d’onda dei raggi X ad alta energia. Evidentemente se non osserviamo Alieni ed astronavi ET, qualcosa non quadra! In questo Archivio cosmico, degno della Biblioteca Jedi di Coruscant, sono presenti anche tutti i dati raccolti dai telescopi Chandra, Fermi, Swift, Cosmic Background Explorer (COBE), Wilkinson Microwave Anisotropy Probe (WMAP) e molti altri. Dov’è ET? NuStar è il frutto del lavoro di molti partner tra cui l’Italia con l’Agenzia Spaziale Italiana e l’Inaf. Sarà il primo telescopio spaziale a creare immagini di sorgenti X alle più alte energie. A proposito di Extraterrestri, in direzione della costellazione di Ercole, ben visibile in queste sere di Settembre, si trova il famoso ammasso globulare di stelle denominato M13. Fu verso quella zona di cielo che nel 1974 venne inviato dal radiotelescopio di Arecibo un messaggio pensato per essere captato e interpretato da civiltà extraterrestri secondo i nostri modesti parametri. Alzando lo sguardo al cielo in queste sere potete provare a cercare la costellazione di Ercole e lì, con l’aiuto di un buon binocolo astronomico come l’USM 15×70, a individuare l’ammasso Messier13. Quest’oggetto celeste che con un piccolo strumento appare come un dischetto lattiginoso, è in realtà un  gigantesco agglomerato di forma sferica che contiene alcune centinaia di migliaia di stelle antichissime, con un’età di almeno 10 miliardi di anni. M13 si trova a una distanza di circa 25mila anni luce dalla Terra, ai confini della nostra Galassia. L’ammasso in Ercole è stato il primo, simbolico, destinatario di un messaggio radio deliberatamente inviato dagli scienziati per comunicare con probabili civiltà intelligenti extraterrestri. Era il 16 Novembre 1974 quando, dal radiotelescopio di Arecibo, appena aggiornato con la strumentazione di nuova generazione, venne inviata verso M13 una sequenza di impulsi in codice binario. L’idea, scaturita dalla mente del celebre astronomo Frank Drake, l’autore dell’equazione per stimare il numero delle possibili civiltà intelligenti nell’Universo, era quella di inviare nello spazio una serie di informazioni e immagini stilizzate sulla nostra civiltà terrestre. Con la speranza che, violando la nostra privacy e denunciando la nostra esistenza là fuori, prima o poi il messaggio possa essere raccolto e decifrato da qualche civiltà aliena. Sull’efficacia del messaggio e sulla degradazione del segnale radio nel Cosmo, si è molto dibattuto. L’esperimento è stato più una prova tecnica di trasmissione che uno speranzoso inizio di dialogo interstellare con qualcuno. Non solo per la distanza che ci “inchioda” ad aspettare almeno 50mila anni per una risposta radio, quanto anche per un banale problema di “puntamento”: quale stella e quale sistema solare alieno sono stati “centrati” da Drake in M13? Tra 25mila anni, ovvero il tempo che il segnale radio impiegherà a percorrere, dal nostro punto di vista terrestre, la distanza che ci separa da M13, l’ammasso si sarà spostato dalla posizione che ha ora e quindi, semplicemente, il messaggio di Arecibo mancherà il suo bersaglio per finire altrove! Magari informando alieni cattivi. Al Fermilab preferiscono dare la caccia all’energia oscura con un progetto quinquennale, per mappare l’emisfero australe in alta risoluzione. La Dark Energy Survey, disponibile on line, si aggiorna in tempo reale (www.darkenergysurvey.org/dark-energy-camera-mosaic) consentendo agli astrofisici di tutto il mondo l’acquisizione dei dati grazie alla collaborazione di 25 Istituzioni di sei Paesi. Il progetto è partito il 31 Agosto 2013. Per centinaia di notti verrà tenuta costantemente sotto osservazione una porzione di cielo di 5mila gradi quadrati. L’obiettivo dichiarato è di studiare l’espansione accelerata dell’Universo, la forza di Gravità e i misteri dell’energia oscura, la Costante cosmologica ritenuta responsabile dell’accelerazione. La Dark Energy Survey, grazie al lavoro di oltre 200 scienziati e ricercatori, dimostra che in siamo in piena età Copernicana della Cosmologia nonostante la crisi economica politicamente indotta. Lo studio dell’Universo lontano non è un romantico hobby. È la chiave di volta per dominare le energie del Cosmo e per la nostra stessa sopravvivenza: materia, spazio, tempo, energia sono fondamentalmente intrecciati. Nell’infinitamente piccolo e grande. La ricerca del Fermilab è possibile grazie alla Dark Energy Camera, una fotocamera digitale di 570 megapixel costruita al Fermilab di Batavia (Illinois, Usa) accoppiata al Victor M. Blanco Telescope di 4 metri di diametro sul National Science Foundation’s Cerro Tololo Inter-American Observatory sulle Ande cilene. La fotocamera, grazie alle sue luminose cinque lenti, fornisce immagini brillanti dell’intera volta celeste australe. Se ET esiste, è molto probabile che osservi questa faccia della Terra definita dagli Occidentali “la fine del mondo”, la patria di Papa Francesco. La Dark Energy Camera è la più potente di sempre, capace di raccogliere sistematicamente la luce di oltre 100mila galassie fino a otto miliardi di anni luce dalla Terra con un singolo scatto! La Dark Energy Survey è un’importante pietra miliare della Cosmologia. In cinque anni gli scienziati otterranno immagini a colori in alta risoluzione di 300 milioni di galassie, di 100mila ammassi di galassie, scoprendo 4mila supernovae. Molti di questi oggetti sono nati quando l’Universo era di mezza età. Tutti i dati saranno analizzati e raccolti presso il National Center for Supercomputing Applications (NCSA) dell’Università dell’Illinois a Urbana, per essere resi disponibili a tutti. Senza segreti e misteri perchè così lavora la libera Scienza. Le osservazioni non forniranno direttamente le immagini reali dell’energia oscura, impossibile da vedere con gli attuali sensori fatti di materia ordinaria. Tuttavia dallo studio dell’espansione dell’Universo e della struttura a larga scala dello spaziotempo, la ricerca offrirà agli studiosi le misure più precise di sempre per caratterizzare le proprietà dell’energia oscura. Un po’ come il raggio laser che attraversa una nuvola di polvere o gas illuminando le particelle altrimenti invisibili. Quattro sono i metodi proposti dal Fermilab per svelare la presenza e la natura dell’energia oscura che oggi è molto più misteriosa della materia oscura studiata dal Laboratorio Nazionale del Gran Sasso dell’Infn dall’esperimento del Senatore Premio Nobel Carlo Rubbia. Il primo metodo è il conteggio degli ammassi di galassie: se la forza di gravità le tiene insieme unite, l’energia oscura antigravitazionale tende a disperderle. La competizione gravità-energia oscura è decisiva. Il secondo metodo è la misura delle supernovae: quando una stella di grossa massa esplode, illumina l’intera galassia ospite; misurando la luce che giunge sulla Terra, si calcola la distanza e l’informazione può essere usata per determinare quanto in fretta l’Universo si è espanso nel lasso di tempo intercorso dall’esplosione stellare. Il terzo metodo è lo studio della deflessione della luce nel Cosmo: quando i fotoni di lontane galassie incontrano la materia oscura gravitazionale interposta, tendono a deviare dal loro percorso rispetto alla nostra visuale terrestre, causando il tipico fenomeno previsto da Einstein della lente gravitazionale con la luce che appare distorta al telescopio: misurando la luce di 200 milioni di galassie sarà possibile rilevare il conflitto cosmico spaziotemporale in corso tra la gravità e l’energia oscura, svelando anche la materia oscura responsabile. Il quarto metodo è di tipo acustico e prevede l’uso delle onde per creare una mappa a larga scala dell’espansione: quando l’Universo era giovane appena 400mila anni, il disaccoppiamento di luce e materia produsse onde soniche che viaggiavano a due terzi la velocità della luce. Queste onde lasciarono un’impronta indelebile sulla struttura dello spaziotempo e su come le galassie sono distribuite nell’Universo. La misura delle posizioni di 300 milioni di galassie cercherà quest’impronta ancestrale e la userà per descrivere il meccanismo dell’espansione nello spazio e nel tempo. La Dark Energy Survey è possibile grazie all’U.S. Department of Energy Office of Science, al National Science Foundation, con la collaborazione di agenzie e istituzioni di Regno Unito, Spagna, Brasile, Germania e Svizzera. ET forse si è estinto lassù da migliaia di anni, sulla stella HIP 102152, a 250 anni luce dalla Terra, che ha qualcosa di molto speciale e interessante da rivelare. Chissà! Vale forse davvero la pena di inventare e costruire una nave interstellare come la Prometheus della Weyland Corporation con il Motore Nucleare Interstellare di Carlo Rubbia per indagare direttamente il sistema solare alieno HD 197027, così simile al nostro, studiato da un team internazionale guidato da astronomi brasiliani dell’ESO. Grazie al Very Large Telescope dell’Osservatorio europeo australe gli scienziati carioca sono riusciti a identificare e caratterizzare il più vecchio gemello del Sole di sempre finora noto. La stella HIP 102152 è più simile al Sole di qualsiasi altro gemello solare, tranne che per i suoi circa quattro miliardi di anni in più del nostro luminare di mezza età. Questo gemello più vecchio, ma quasi identico, offre l’opportunità senza precedenti di osservare direttamente un sistema solare più maturo per capire quale sarà il nostro destino nell’Universo. Il VLT mostra per la prima volta un chiaro legame tra l’età della stella e il suo contenuto di Litio, molto importante per lo sviluppo della vita intelligente (è caldamente consigliato a quanti tra i terrestri, dopo aver provocato direttamente e indirettamente migliaia di morti anche con le armi chimiche, sono così vicini alla III Guerra Mondiale!) suggerendo inoltre che l’astro HIP 102152 possa ospitare pianeti rocciosi di tipo terrestre, esocomete ed esoasteroidi. Forse con civiltà aliene extraterrestri fiorenti o estinte. E tutto questo non merita l’investimento della modica cifra (rispetto alle spese per gli armamenti) di qualche miliardo di Euro, grazie alla Liberalizzazione dell’Impresa Spaziale Privata, per inventare e costruire una vera nave interstellare a propulsione fotonica aneutronica, magari soltanto per qualche ricerca eso-archeologica in situ come suggerisce il kolossal Prometheus di Ridley Scott? Gli astronomi osservano il Sole con un telescopio da 400 anni grazie all’invenzione del Telescopio e del Metodo Scientifico da parte del padre della scienza moderna, Galileo Galilei. Una frazione piccolissima dell’età del Sole che ora è di più di quattro miliardi di anni. È estremamente complesso lo studio della storia e dell’evoluzione futura della nostra stella, ma gli astrofisici possono farlo cercando quelle rare stelle quasi esattamente uguali alla nostra che si trovano in fasi diverse della loro lunga vita. Gli astronomi carioca hanno identificato ora un astro che è essenzialmente un gemello identico al Sole, con circa 4 miliardi di anni in più di saggezza. Non si tratta della strana versione del Paradosso dei Gemelli che terrorizza i terrestri nell’errata interpretazione tecnologica della Relatività di Albert Einstein nei viaggi quasi alla velocità della luce. Molti continuano a parlare e discutere in tutte le sedi di un’anomalia della Relatività che la Natura avrebbe tutti i sacrosanti diritti e motivi di elidere a priori, finanche impedendo all’Uomo di viaggiare nel Cosmo! Nel famoso Paradosso dei Gemelli uno dei fratelli identici parte per un viaggio spaziale a velocità relativistica su una lontana stella e torna più giovane del fratello rimasto sulla Terra. Anche se, per ora, l’ESO non immagina alcun viaggio interstellare, gli astronomi carioca del VLT possono chiaramente vedere due età molto diverse per queste due stelle così simili, come fossero istantanee del Sole riprese in diversi stadi della vita. Provate a farlo con le vostro foto, dei vostri amici e parenti nell’arco di una vita e vi accorgerete delle inevitabili conseguenze: quante somiglianze! “Per decenni gli astronomi hanno cercato stelle gemelle del Sole per capire meglio la nostra sorgente di energia e di vita – rivela Jorge Melendez della Universidade de São Paulo (Brasile), a capo dell’equipe e co-autore del nuovo articolo “High precision abundances of the old solar twin HIP 102152: insights on Li depletion from the oldest Sun” di TalaWanda Monroe et al., pubblicato dalla rivista Astrophysical Journal Letters – ma ne sono stati trovati pochissimi: il primo è stato scoperto solo nel 1997. Ora abbiamo ottenuto spettri di qualità eccezionale dal VLT e possiamo esaminare i gemelli solari con estrema precisione, per rispondere alla domanda se il Sole sia veramente una stella speciale”. L’equipe è composta da TalaWanda R. Monroe, Jorge Meléndez (Universidade de São Paulo, Brasile [USP]), Iván Ramírez (The University of Texas at Austin, USA), David Yong (Australian National University, Australia [ANU]), Maria Bergemann (Max Planck Institute for Astrophysics, Germania), Martin Asplund (ANU), Jacob Bean, Megan Bedell (University of Chicago, USA), Marcelo Tucci Maia (USP), Karin Lind (University of Cambridge, UK), Alan Alves-Brito, Luca Casagrande (ANU), Matthieu Castro, José-Dias do Nascimento (Universidade Federal do Rio Grande do Norte, Brasile), Michael Bazot (Centro de Astrofísica da Universidade de Porto, Portogallo) e Fabrício C. Freitas (USP). Gemello del Sole, analogo solare e stella di tipo solare sono classi di stelle così definite in base alla loro somiglianza con il Sole. I gemelli solari sono gli astri più simili al Sole in quanto a massa, temperatura e abbondanze chimiche. I gemelli solari sono rari, mentre le altre classi, per cui le somiglianze richieste sono meno strette, sono molto più comuni. L’equipe ha studiato due gemelli solari, uno che si pensava fosse più giovane del Sole (la più brillante 18 Scorpii, a 45 anni luce dalla Terra, 1.02 masse solari) e uno più vecchio (HIP 102152 di 0,97 masse solari). Grazie allo spettrografo UVES accoppiato al Very Large Telescope dell’Osservatorio ESO del Paranal, gli astronomi carioca hanno diviso la luce nei suoi colori componenti in modo da studiare in dettaglio la composizione chimica ed altre proprietà astrofisiche, identificando così HIP 102152 (HD 197027) nella costellazione del Capricorno, come il più vecchio gemello solare finora trovato. Si stima che abbia 8,2 miliardi di anni, rispetto ai 4,6 del nostro Sole. D’altra parte è confermato che 18 Scorpii è più giovane del Sole, con un’età di circa 2,9 miliardi di anni. Studiare l’anziano gemello solare HIP 102152 permette agli scienziati di prevedere cosa potrebbe accadere al Sole quanto raggiungerà quell’età. E in questo senso la scoperta è già molto significativa. “Uno dei punti che volevamo chiarire – fa notare Melendez – è se il Sole ha o meno una composizione chimica tipica. E, cosa più importante, perché ha un contenuto di Litio stranamente così basso”. Non siamo soli.

© Nicola Facciolini

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