L’Italia dei sogni a Milano: i diversi volti dell’emigrazione italiana

Si è parlato dell’Abruzzo, a Milano: delle ferite provocate dal terremoto; della forza incrollabile; della voglia di raddrizzarsi, del coraggio, della costanza, della capacità di progettare per risorgere degli abitanti stufi del messìa che non arriva, delle promesse mancate. E nel discorso sull’Abruzzo e sugli emigrati nel mondo ha fatto capolino la Puglia. Ci ha […]

l'italia dei sogniSi è parlato dell’Abruzzo, a Milano: delle ferite provocate dal terremoto; della forza incrollabile; della voglia di raddrizzarsi, del coraggio, della costanza, della capacità di progettare per risorgere degli abitanti stufi del messìa che non arriva, delle promesse mancate. E nel discorso sull’Abruzzo e sugli emigrati nel mondo ha fatto capolino la Puglia. Ci ha pensato il professor Francesco Lenoci, uno dei protagonisti dell’evento, ricordando che le due regioni sono come sorelle, tra l’altro legate a suo tempo anche dalla transumanza, con le ingiustizie, i soprusi, le sofferenze, le imboscate dei briganti che il trasferimento del bestiame comportava.

A mandare in scena l’Abruzzo, il pomeriggio del 6 giugno scorso, nell’auditorium del Creval, in via Feltre a Milano, con la sua storia, i personaggi più notevoli, la loro creatività, il loro spirito d’iniziativa, è stata un’occasione speciale: il volume di Goffredo Palmerini, “L’Italia dei sogni”. E’ possibile ancora sognare? Certo, ma i sogni bisogna tirarli fuori del cassetto, farli diventare disegni da realizzare, non a metà, non in cantieri che non finiscono mai, che succhiano e disperdono risorse, mentre in tivù e nelle piazze tengono banco i duelli dialettici, le sceneggiate di tanti che gettano fumo negli occhi.

E’ stato, quello di Lenoci, docente all’Università Cattolica di Milano e vicepresidente dell’Associazione regionale Pugliesi di Lombardia, l’intervento più lungo e dettagliato. L’oratore si è subito inoltrato nel libro, ha colto gli impulsi di alcuni settori pur nei disastri disseminati dal sisma e lanciato un messaggio di fiducia. E ha detto che L’Aquila deve curare le sue glorie come un vaso da fiori alla finestra. “La cura delle glorie è un grande, inesauribile valore, che va trasmesso ai bambini, ai giovani…Tradizione, diceva Gustav Mahler, non è culto delle ceneri, ma custodia del fuoco, come sapeva don Peppe Scipioni che alle ’Tre Marie’, ristorante storico aquilano chiuso da qualche anno, applicava, oltre al principio della professionalità, quello della semplicità”, dono che il Papa ha chiesto per sé e per la Chiesa a San Francesco pregando recentemente sulla sua tomba ad Assisi. Lenoci ha aggiunto che a L’Aquila devono tornare il sorriso, il coraggio, la speranza che don Tonino Bello voleva offrire a tutto il prossimo. Poi ha affrontato il tema del legame tra L’Aquila e Martina Franca. “Quale? Il Teatro”. Al Festival della Valle d’Itria per due volte è andata in scena l’opera da camera in un atto “Nur” dell’aquilano Marco Taralli, la cui trama si svolge in un ospedale da campo improvvisato sul prato che fronteggia la Basilica di Collemaggio all’indomani della catastrofe del 2009. “Nur”, che in arabo vuol dire luce, “ha portato luce alla rassegna della città dei trulli”.

Dopo il saluto del padrone di casa, Enzo Rocca, Vice Direttore Generale del Credito Valtellinese, e un circostanziato intervento di Francesca Pompa, presidente di One Group, editrice del volume, la parola è passata all’autore, giornalista e scrittore, componente del Consiglio Regionale Abruzzesi nel Mondo. Palmerini ha ricordato che esiste un’Italia migliore dentro e fuori dei confini nazionali. “Un’Italia con valori straordinari”. Lui conosce bene entrambe e le delinea da cronista egregio. Degli emigrati conosce le vicende, i successi di molti e le delusioni di altri, le aspirazioni e le rassegnazioni, la dignità dei primi e dei secondi. E’ vicino agli italiani lontani. Va a visitarli nei suoi continui viaggi in Argentina, Australia, Brasile, Nord America…Paesi in cui si è incontrato con sindaci, governanti, personalità della cultura e gente comune, fatta in buona parte di discendenti dei contadini italiani che partirono nella seconda metà dell’Ottocento, costretti dalle trasformazioni che aggravarono la povertà nelle campagne. Tra il 1876 e il 1976 s’imbarcarono 27 milioni di persone.

Palmerini dunque sa dove e come vivono, questi nostri fratelli. In ogni viaggio discute con loro, si fa raccontare le loro vicende, rilevando il contributo che essi hanno dato ai Paesi d’adozione, diventati grandi anche grazie a loro, all’impegno che hanno saputo esprimere e alle energie che hanno impiegato. Non sono stati tutti fortunati, non tutti hanno raggiunto il livello di chi ha fondato l’impero delle noccioline americane. C’è chi vive ancora nelle difficoltà, pur avendo dimostrato, come gli altri, bravura, tenacia, onestà, imponendosi alla fine comunque alla stima. Alla fine, perché non dimentichiamo né i sacrifici né le offese, i pregiudizi, le infamie, gli odi razziali, le umiliazioni, addirittura i linciaggi in molti casi e in alcuni luoghi, come in Louisiana; l’emarginazione in Australia, dove le donne del luogo venivano incitate a non avere rapporti sentimentali con gli italiani…

“L’Italia dei sogni” è un libro ricco di fatti, emozioni, figure… Come Dan Fante, poeta, scrittore, commediografo a New York, dove ha fatto tutti i mestieri, dal muratore al tassista, prima di raggiungere la celebrità. Figlio del grande John Fante, radici a Torricella Peligna, da dove fu il nonno Nicola il primo della famiglia a prendere il bastimento, rimane sempre legato alle sue radici. Nel Mediamuseum di Pescara è custodita la macchina con la quale John Fante – tra i più grandi scrittori del Novecento – scrisse il suo ultimo romanzo. L’ha regalata suo figlio Dan, che ne ha seguito le orme. Altro personaggio: Mario Fratti, il drammaturgo aquilano che dal ’63 vive nella Grande Mela, dove ha insegnato alla Columbia University, mentre le sue opere trionfavano a Broadway e nei teatri di mezzo mondo.

E Angelo Semeraro, poeta con la passione dell’archeologia. Di origini pugliesi da parte di padre, nato a Sulmona per caso, scelse Paganica come terra d’elezione. Un libro che si legge con avidità, questo di Palmerini, che sa raccontare senza enfasi, con uno stile agile, spontaneo, fresco, efficace. Giunti all’ultima pagina, possiamo dire di conoscere di più e meglio l’Abruzzo e il mondo dei nostri emigranti, gli ostacoli che dovettero superare prima di essere accettati come brava gente. ”Poi, lentamente, molte cose sono andate cambiando. I bistrattati immigrati di un tempo sono in gran parte diventati ammirati cittadini delle loro nuove patrie…”.

Nella sua presentazione di quest’opera Salvatore Bizzarro, docente di letteratura italiana e latinoamericana al Colorado College, osserva che con “riguardo e amore professionale Palmerini […] rende un grande tributo alla sua città, L’Aquila, al suo Abruzzo, alla sua Italia, con un orgoglio già messo in evidenza in altri libri”. E il giornalista e scrittore Errico Centofanti, nella prefazione, ricorda che il lavoro di Goffredo adempie a una funzione di straordinario spessore anche con la diffusione di notizie con il circuito mondiale di contatti “da lui costruito con appassionata meticolosità”. Grande, Palmerini, 66 anni, informatissimo, appassionato indagatore di un pianeta che tanti preferiscono ignorare.

Franco Presicci

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