Affondi e ritiri

La Commissione europea definisce “costruttiva” la risposta del governo agli appunti sulla legge di stabilità, ma chiarisce con il portavoce del commissario Jyrki Katainen, che con il nostro Paese “le discussioni rimangono aperte”, come a dire che valuterà nei fatti e passo dopo passo, se risulterà applicato quanto precisato in una lettera al commissario dal […]

Senato - Fiducia governo RenziLa Commissione europea definisce “costruttiva” la risposta del governo agli appunti sulla legge di stabilità, ma chiarisce con il portavoce del commissario Jyrki Katainen, che con il nostro Paese “le discussioni rimangono aperte”, come a dire che valuterà nei fatti e passo dopo passo, se risulterà applicato quanto precisato in una lettera al commissario dal nostro ministro dell’economia Pier Carlo Padoan, che quantifica in 4,5 miliardi di euro il costo delle misure per rispondere alla richiesta della Ue di tagliare dello 0,3% del Pil nel 2015 e per fare questo spiega che 3,3 miliardi arriveranno dal Fondo per il taglio delle tasse, 500 milioni dalla riduzione delle quota di risorse domestiche allocate per i fondi di cofinanziamento per la coesione europea ed esentati dai tetti del patto di stabilità domestico che si applica alle regioni e 730 milioni invece saranno recuperati da un’estensione del regime di reverse charge al settore al dettaglio.
Mentre nella stessa lettera Padoan precisa che l’Italia “ha deciso di utilizzare la flessibilità offerta dalla legislazione europea e nazionale per realizzare un ambizioso pacchetto di riforme con l’intenzione di rilanciare la crescita potenziale”, perché non possiamo permetterci il quarto default consecutivo, la Francia non cede di un passo e dichiara, in una missiva sempre indirizzata al commissario europeo, che sono impossibili altri sforzi, affermando che:” La debole attività in tutta Europa e la bassa inflazione che nessuno aveva previsto ha creato una situazione che non consente di aggiungere sforzi supplementari rispetto agli attuali 21 mld di tagli alle spese per il 2015”.
Pare comunque, secondo indiscrezioni de Le Figarò che il ministro francese della Finanze Michel Sapin cerchi comunque la strada della diplomazia, affermando: “Taglieremo il deficit di altri 3,6 miliardi di euro”, mentre anche da Londra, per voce del premier inglese David Cameron, si ribadisce il secco no al pagamento di due miliardi di euro entro il primo dicembre per il ricalcolo del Pil.
Quindi la più ubbidiente fra le meno probe Nazioni d’Europa è l’Italia, che nella lettera di Padoan corregge il deficit strutturale di 3 decimi “finanziando simultaneamente lo sforzo straordinario per effettuare quelle riforme strutturali lungamente attese che presentano costi aggiuntivi nel breve periodo” e fra queste annovera gli “ulteriori aggiustamenti nel mercato del lavoro e nella giustizia civile, attesi all’inizio del prossimo anno”, concludendo con l’affermazione che il debito pubblico italiano segue “un percorso al ribasso” anche “grazie all’ambizioso piano di privatizzazioni, pari a una media annua dello 0,7% del Pil”.
Furioso è soprattutto Cameron, che già al termine del Consiglio europeo, aveva ricordato che l’economia britannica ora funziona meglio di quelle di molti altri Paesi e si era detto d’accordo “con ogni singola parola” del presidente del Consiglio italiano quando denuncia che l’Europa è dominata dai burocrati: “Ha ragione Renzi – ha detto – è un’arma letale”. Un’affermazione smorzata da Renzi stesso, secondo il quale il problema dell’Europa non sono gl extra-costi sul bilancio Ue ma “la tecnocrazia e la burocrazia”, sottolineando però di non aver mai parlato di “arma letale”, come invece in precedenza aveva riferito il premier inglese.
Tre giorni fa, dopo il Consiglio europeo, Cameron aveva incontrato il premier olandese Rutte, per parlare della questione, dato che anche i Paesi Bassi hanno ricevuto una richiesta di 642,7 milioni e a pagare dovrà essere anche la Grecia, con un contributo di 89,4 milioni, mentre sconti sarebbero previsti , oltre che per Germania e Francia, per Belgio (170,5 milioni), Danimarca (321,4)e Spagna (168,9).
Come riassume Giorgio Dell’Arti, il patto con l’Europa prevedeva che pareggiassimo entrate e uscite entro il 2016, mentre nella legge di stabilità preparata da Renzi e Padoan si annuncia che esso sarà raggiunto un anno dopo, nel 2017. Il patto con l’Europa prevedeva anche un abbattimento del deficit strutturale dello 0,5 per cento l’anno., mentre Renzi-Padoan hanno annunciato invece che questo abbattimento, nel 2015, sarà dello 0,1%. La Ue, nella persona del vice commissario Katainen (un duro), ci ha mandato una lettera in cui manifesta meraviglia (tra le righe) e chiede spiegazioni entro 24 ore.
La risposta è arrivata e, praticamente, a fatto in modo di smorzare i toni, cosa che non è accaduto per la “intoccabile” Francia, che dovrebbe abbattere il suo deficit strutturale dello 0,80 per cento, mentre le è già stato concesso un abbattimento dello 0,50.
Sul fatto inspiegabile ed increscioso, era anche intervenuto Napolitano, che ha detto: “È grave che non si parli delle alte motivazioni che hanno portato alla nascita dell’Unione europea e ci si accapigli tutti – competenti, meno competenti o per nulla competenti – sullo 0,1% dei bilanci” e dopo aver l’austerità, ha concluso affermando: “la crisi è più profonda di quello che si dice, e l’austerità sta minacciando la ripresa”, e pertanto: “ è necessario investire come fanno gli americani”.
Nella rubrica Altri Mondi della Gazzetta dello Sport (evidentemente più attenta di altri giornali che invece dovrebberlo essere maggiormente), leggiamo che anche se Renzi continua a ricordare che l’Italia contribuisce ogni anno alla cassa europea con 20 miliardi e ne riprende indietro una decina; questi versamenti sono proporzionali al Pil e lo scorso settembre il criterio di calcolo del Pil è stato modificato.
Molti non lo ricordano anche se vi fu una vivace polemica poiché si ammetteva, tra l’altro, che nel calcolo del Prodotto Interno Lordo entrassero anche le attività criminali, sicché, in questo modo, il nostro Pil 2011 è cresciuto di 0,9 punti percentuali, vale a dire 15,5 miliardi di euro ed è proprio per questo che l’Unione si sente in diritto di chiedere di più a certi paesi il cui Pil risulta adesso più alto, mentre ad altri, più lungimiranti, è stato concesso uno sconto.
Ancora una volta, guardando ai fatti e non alla loro narrazione,mi rendo conto che Renzi doveva nascere nel 600, figlio di quella cultura barocco-spagnolo-napoletana, che diete vita a figure come Gòngora, Giovan Battista Marino e Giuseppe Battista e come, parimenti a quest’ultimo, appaia soprattutto “scaltro manipolatore di argutezze”.
Insomma per Renzi vale quello che si è detto e scritto sui Luis de Góngora, e cioè che nel linguaggio i concetti debbano essere espressi attraverso lussureggianti e fastosi ornamenti (metafore scintillanti e ardite, latinismi, richiami mitologici peregrini, vocaboli musicali, inversioni di parole), senza nessuna attinenza con la verità ed i fatti.
Come notava il Foglio a Luglio scorso, Il caso di scuola che meglio fotografa la rivoluzione a metà e solo annunciata di Renzi, si trova all’interno del ministero dell’Economia, perché se è vero che Renzi, per la prima volta nella storia recente del paese, è riuscito a imporre non un tecnico puro ma il più politico tra i tecnici (Pier Carlo Padaon) non si può dire che nel sottogoverno del Mef la situazione sia cambiata rispetto al passato. Di renzismo, sotto Padoan, non c’è ombra. Il capo di gabinetto del ministro è Roberto Garofoli (magistrato, ex segretario generale del governo Letta). Il capo della segreteria tecnica è Fabrizio Pagani (ex consigliere economico di Enrico Letta). Il potentissimo capo dell’ufficio del coordinamento legislativo è Carlo Sica (consigliere di stato, già nominato da Enrico Letta al dipartimento per gli Affari giuridici e legislativi della presidenza del Consiglio). Capo dell’ufficio legislativo è Andrea Simi (anti renziano di ferro, temutissimo a Palazzo Chigi). Capo del dipartimento dell’Amministrazione generale del Mef è Luigi Ferrara (ex vice segretario generale della presidenza del Consiglio durante il governo Letta). Direttore generale del Tesoro è Vincenzo La Via (altro tecnico poco incline ad assecondare le volontà di Palazzo Chigi). E a capo della Ragioneria generale dello stato (che Renzi avrebbe voluto spostare a Palazzo Chigi, ma il tentativo non è andato a buon fine) c’è il solito e inossidabile Daniele Franco.
I cambiamenti allora, sono solo annunciati e verniciata, sono iperbolici e di facciata, mentre nella sostanza non cambia proprio nulla.

Carlo Di Stanislao

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