AIDS: esperti, fine della malattia ancora lontana

Esperti mondiali riuniti a Melbourne fino al 25 luglio. L’obiettivo prefissato e’ che tutti i pazienti possano raggiungere una carica virale non rilevabile entro il 2020, ma anche che vengano interamente finanziati sia i programmi di monitoraggio della carica virale sia le terapie anti-HIV. Slogano della conferenza: “Stepping up the Pace”, “accelerare il ritmo”. E’ […]

aidsEsperti mondiali riuniti a Melbourne fino al 25 luglio. L’obiettivo prefissato e’ che tutti i pazienti possano raggiungere una carica virale non rilevabile entro il 2020, ma anche che vengano interamente finanziati sia i programmi di monitoraggio della carica virale sia le terapie anti-HIV. Slogano della conferenza: “Stepping up the Pace”, “accelerare il ritmo”. E’ proprio questo, infatti, l’appello degli attivisti presenti alla Conferenza: che tutti i pazienti possano raggiungere una carica virale non rilevabile entro il 2020, ma anche che vengano interamente finanziati sia i programmi di monitoraggio della carica virale che le terapie anti-HIV.

Dal primo bollettino pubblicato da LILA Onlus si evince che “per tenere sotto controllo l’HIV a livello globale e’ necessario tornare a concentrarsi sulle popolazioni chiave e sulla distribuzione geografica dell’epidemia”. Nel corso della conferenza, il professor Salim Abdool Karim ha sottolineato come soltanto il 29% delle persone con Hiv abbia attualmente accesso agli antiretrovirali e abbia raggiunto livelli di carica virale non rilevabili. Secondo i suoi dati, la “fine dell’Aids” resta per ora un’ambizione, mentre l’obbiettivo piu’ realistico nell’immediato sarebbe quello di riuscire, attraverso gli attuali metodi di prevenzione biomedica, a tenere sotto controllo l’epidemia, abbassando i tassi di trasmissione e di mortalita’ in paesi dove l’HIV e’ ancora la principale causa di morte. Agli sforzi per prevenire e trattare l’HIV devono inoltre seguire iniziative mirate sui fattori strutturali che alimentano l’epidemia nelle popolazioni chiave, come stigma, barriere legali e disparita’ di genere.

Due rapporti di Medici Senza Frontiere mostrano come i costi elevati e la distanza dai centri sanitari siano ancora l’ostacolo principale per l’accesso ai farmaci antiretrovirali e, al contrario, come i modelli di cura comunitari possano costituire un’ottima alternativa. Nel distretto di Gutu, nella zona rurale dello Zimbabwe, l’introduzione del gruppo comunitario ART avrebbe “cambiato in meglio la vita delle persone affette da HIV” – dichiara MSF, riportando una serie di storie esemplari, come quella di Arnon Chipondoro, 68 anni.
“Arnon negli ultimi tre anni e’ uscito furtivamente da casa alle 4 del mattino per intraprendere un lungo viaggio nella boscaglia sotto il cielo stellato. Lo ha fatto con discrezione, poiche’ se i vicini avessero visto che vi si recava con troppa frequenza, avrebbero cominciato a spettegolare sul fatto che avesse l’HIV. Quando non pioveva, raggiungeva la clinica alle 7 di mattina… davanti a lui in fila c’erano solo le persone che avevano dormito sul portico dalla sera prima. Usciva da li’ entro mezzogiorno per poi correre a casa e arrivare prima dell’imbrunire”.”E questo era solo per prendere i farmaci, niente di piu’. Non vedevamo neanche il medico perche’ la gente come noi, che sta reagendo bene al trattamento, non ha bisogno di un check-up dopo ogni visita”, aggiunge la sua amica Varaidzo Chipunza, appartenente anch’essa al Community ART Group (Cag) di Arnon.”Ma ora e’ diverso. La procedura e’ stata migliorata: quando arriviamo in clinica le nostre cartelle sono gia’ pronte e non dobbiamo fare la fila”.

All’interno di un Cag e’ solo un membro del gruppo a recarsi in clinica e prendere la scorta di farmaci per tutti.Cio’ significa che oggi Arnon deve intraprendere il viaggio verso la clinica solo una volta l’anno, quando tutti i membri del Cag si recano insieme in clinica per la visita ambulatoriale annuale e per controllare che il trattamento funzioni correttamente. Le altre volte i suoi farmaci salvavita gli vengono consegnati nel suo villaggio, quasi alla porta di casa, da un altro membro del gruppo Cag. Non dovra’ perdere un’intera giornata di lavoro nei campi, che vuol dire non dover scegliere tra la sua salute a lungo termine e la sua sopravvivenza economica a breve termine. Vuol dire anche essere parte di un gruppo che lo sosterra’ qualora dovesse avere dei problemi con gli effetti collaterali delle pillole e al quale potra’ parlare di come si vive con l’HIV. “Il gruppo Cag gli ha tolto dalle spalle il peso del suo segreto”. (Dire -www.dire.it)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *