Famiglie di esocomete aliene intorno alla vicina stella di Beta Pictoris

“Questa elegantissima compagine del Sole, dei pianeti e delle comete non poté nascere senza il disegno e la potenza di un Ente intelligente e potente”(Isaac Newton). È l’astro chiomato dell’Anno Domini 2014. Il nucleo della cometa “marziana” C/2013 Siding SpringA1, Domenica 19 Ottobre 2014 alle ore universali 18:28, nello sfiorare il pianeta Marte alla velocità […]

Artist’s impression of exocomets around Beta Pictoris“Questa elegantissima compagine del Sole, dei pianeti e delle comete non poté nascere senza il disegno e la potenza di un Ente intelligente e potente”(Isaac Newton). È l’astro chiomato dell’Anno Domini 2014. Il nucleo della cometa “marziana” C/2013 Siding SpringA1, Domenica 19 Ottobre 2014 alle ore universali 18:28, nello sfiorare il pianeta Marte alla velocità di 56 Km al secondo, dalla quota di 139.500 Km (i gas e le polveri si sono avvicinati all’atmosfera esterna), quasi un terzo della distanza tra la Terra e la Luna, lancia il classico avviso di sicurezza ai naviganti terrestri. Quasi tutte le sonde automatiche, i rover e i telescopi attivi (ben 16 strumenti della Nasa e dell’Esa) hanno immortalato il fenomeno, davvero raro, che pare riproporsi una volta ogni milione di anni. Cinque sonde, tre americane, una europea e una indiana, per la prima volta hanno osservato da vicino una cometa proveniente direttamente dalla Nube di Oort, ossia dal passato ancestrale del nostro Sistema Solare, dove la materia grezza e le terre rare che servono per costruire gli smartphone e i tablet (reperibili a caro prezzo sulla Terra sfruttando gli Africani e tutti i popoli indigeni destinati a subire una sorte non dissimile da quella dei “Na-vì” su Pandora, Avatar docet!) abbondano in quantità incommensurabili che l’immaginazione fatica a fantasticare. Siamo, ancora una volta, i fortunati spettatori della misteriosa “visita” astrale gravitazionale di un frammento cometario di appena 400 metri di diametro, molto più piccolo delle più rosee previsioni. Scoperta il 3 Gennaio 2013 da Robert H. McNaught sull’Osservatorio di Siding Spring in Australia, in tre immagini acquisite attraverso l’uso di rilevatori “ccd” montati sul telescopio Schmidt Uppsala, uno specchio parabolico di 50 cm di diametro, la cometa C/2013A1 Siding Spring appariva come un oggetto di magnitudine 18,4-18,6. Sono state poi individuate delle immagini di pre-scoperta. Le prime quattro, trovate subito dopo, erano risalenti all’8 Dicembre 2012, acquisite nel corso del Catalina Sky Survey impegnato come il Siding Spring Survey nella ricerca di oggetti potenzialmente pericolosi per la Terra, con un telescopio Schmidt dotato di uno specchio parabolico di 68 cm di diametro. In altre due immagini del 4 Ottobre 2012, la cometa appariva come un oggetto di magnitudine 19,7-20 al telescopio Pan-STARRS 1 con configurazione ottica Ritchey-Chrétien di 1,8 metri di diametro, dalla sommità del vulcano Haleakalā, sull’isola di Maui nelle Hawaii (Usa). Al momento della scoperta, la cometa si trovava a 7,2 Unità Astronomiche dal Sole. La visione del “flyby” della Siding Spring, a distanza di sicurezza anche per le sonde marziane, ci ricorda che decine di milioni di comete simili orbitano i vasti freddi spazi siderali là fuori, nel nostro Sistema Solare e in tutti gli altri. Oggetti di tutte le dimensioni che possono “invadere” lo spazio terrestre in qualsiasi momento con pochi mesi di preavviso, liberando la loro energia cinetica che è uguale a 0.5 moltiplicato per la massa e la velocità. La Terra è priva di difese dagli impatti cosmici (http://mars.nasa.gov/comets/sidingspring/). Lo strumento HARPS installato all’Osservatorio Europeo Australe dell’ESO a La Silla in Cile, è stato usato per ottenere il più completo censimento mai realizzato delle comete aliene in orbita intorno a una stella diversa dal Sole. Un gruppo di astronomi francesi ha studiato quasi 500 esocomete in orbita intorno all’astro Beta Pictoris, scoprendo che queste appartengono a due famiglie distinte di comete extramondo: le esocomete più vecchie, passate più di una volta vicino alla loro stella, e le esocomete più giovani che probabilmente derivano dalla frammentazione recente di uno o più oggetti più grandi. I nuovi risultati vengono pubblicati dalla rivista Nature il 23 Ottobre 2014. Beta Pictoris è una stella giovane, distante circa 63 anni luce dal Sole. Ha circa 20 milioni di anni ed è circondata da un enorme disco di material, un sistema planetario giovane e molto attivo in cui gas e polveri sono prodotti dall’evaporazione delle esocomete e dalla collisione degli esoasteroidi. “Beta Pictoris è un oggetto molto interessante – rivela Flavien Kiefer (IAP/CNRS/UPMC), autore principale del nuovo studio “Two families of exocomets in the Beta Pictoris system” – le osservazioni dettagliate delle sue esocomete ci hanno fornito molte informazioni che aiutano a comprendere quali processi si svolgono in questo tipo di sistemi planetari giovani”. Per quasi 30 anni gli astronomi hanno visto piccoli cambiamenti nella luce di Beta Pictoris che si pensava fossero causati dal passaggio delle comete di fronte alla stella. Le comete sono corpi piccoli, di pochi chilometri di diametro, delle montagnole ricche di ogni ben di Dio (acqua, ossigeno, molecole complesse e terre rare utili per l’Informatica), contengono molto ghiaccio che evapora quando si avvicinano alla stella, producendo gigantesche code di gas e polveri che assorbono parte della luce che le attraversa. La fioca luminosità delle esocomete viene sommersa dalla luce della stella brillante e perciò esse non sono visibili direttamente da Terra. Per studiare le esocomete di Beta Pictoris, l’equipe dell’ESO (composta da F.Kiefer (Institut d’astrophysique de Paris [IAP], CNRS, Université Pierre & Marie Curie-Paris 6, Parigi, Francia), A. Lecavelier des Etangs (IAP), J. Boissier (Institut de radioastronomie millimétrique, Saint Martin d’Hères, Francia), A. Vidal-Madjar (IAP), H. Beust (Institut de planétologie et d’astrophysique de Grenoble [IPAG], CNRS, Université Joseph Fourier-Grenoble 1, Grenoble, Francia), A.-M. Lagrange (IPAG), G. Hébrard (IAP) e R. Ferlet (IAP)) ha analizzato più di mille osservazioni ottenute tra il 2003 e il 2011 da HARPS accoppiato alle ottiche del telescopio da 3,6 metri di La Silla. I ricercatori hanno selezionato un campione di 493 diverse esocomete: alcune sono state osservate più volte e per qualche ora. Un’analisi attenta ha fornito le misure della velocità e della dimensione della nube di gas. Sono anche state dedotte alcune delle proprietà orbitali di queste esocomete, come la dimensione, l’orientamento dell’orbita e la distanza dalla stella. L’analisi di alcune centinaia di esocomete in un solo sistema esoplanetario è davvero unica, la prima in assoluto per l’ESO, e ha svelato la presenza di due distinte famiglie di esocomete: una di astri chiomati d’argento vecchi, le cui orbite sono controllate da un pianeta massiccio, e una seconda famiglia, probabilmente proveniente dalla rottura recente di un oggetto più grande. Diverse famiglie di comete sono presenti anche nel nostro Sistema Solare. Un pianeta gigante, Beta Pictoris b, è stato scoperto in orbita a circa un miliardo di chilometri dalla stella e viene regolarmente studiato grazie alle immagini ad alta risoluzione ottenute con l’ottica adattiva. Le esocomete della prima famiglia hanno orbite molto diverse e mostrano un’attività debole con bassi tassi di produzione di gas e polvere. Ciò suggerisce che queste comete aliene abbiano esaurito le loro riserve di ghiaccio durante i numerosi passaggi vicino a Beta Pictoris. Inoltre, l’eccentricità e l’orientazione delle orbite di queste esocomete sono esattamente come quelle predette per le comete intrappolate in risonanza orbitale con un pianeta massiccio nei paraggi. Le proprietà delle comete della prima famiglia indicano che questo pianeta in risonanza deve trovarsi a circa 700 milioni di chilometri dalla stella, ossia vicino alla posizione in cui è stato effettivamente scoperto Beta Pictoris b. Le eso-comete della seconda famiglia sono molto più attive e percorrono orbite quasi identiche. Ciò le rende simili alle comete della Famiglia di Kreutz (comete radenti) nel Sistema Solare, o ai frammenti della cometa Shoemaker-Levy 9 caduta su Giove nel Luglio del 1994. E suggerisce che i membri della seconda famiglia abbiano tutti la stessa origine, probabilmente dalla rottura di un oggetto più grande i cui frammenti orbitano in una posizione che lambisce la stella Beta Pictoris. “Per la prima volta uno studio statistico ha determinato la fisica e le orbite di un grande numero di esocomete – osserva Flavien Kiefer – questo lavoro offre una nuova visuale dei meccanismi all’opera nel Sistema Solare appena dopo la sua formazione 4,5 miliardi di anni fa”. I segreti della Gravità interstellare sono stati svelati da alcuni astronomi grazie al telescopio APEX usato per sondare un enorme ammasso di galassie che “si sta formando” nell’Universo primordiale. È stato così scoperto che gran parte della formazione stellare avviene non solo nascosta dalla polvere, ma anche in luoghi inaspettati. È la prima volta in cui è stato possibile completare un censimento della formazione stellare in un oggetto come questo. Gli ammassi di galassie sono gli oggetti più grandi dell’Universo tenuti insieme dalla forza di Gravità che non è quella del film Gravity. Ma il loro processo di formazione non è ancora ben compreso. La galassia Spiderweb (Tela di Ragno), dall’impronunciabile nome ufficiale MRC1138-262, e i suoi dintorni sono stati studiati per vent’anni non dall’Uomo Ragno ma dagli astronomi europei dell’ESO. Si pensa che questo sia uno dei migliori esempi di proto-ammasso colto durante il processo di formazione, più di dieci miliardi di anni fa. La galassia Tela di Ragno contiene un buco nero supermassiccio ma è anche una potente sorgente di onde radio, cosa che ha portato gli astronomi a notarla per la prima volta. Questa regione astrale è stata osservata intensivamente da svariati telescopi dell’ESO sin dalla metà degli Anni Novanta del secolo scorso. Il redshift (la distanza) della radiogalassia Tela di Ragno è stato misurato per la prima volta a La Silla con il sensore FORS del Very Large Telescope in modalità Visitor, scoprendone la natura di proto-amnmasso. Successivamente è stata osservata con i sensori ISAAC, SINFONI, VIMOS e HAWK-I. I dati LABOCA di APEX integrano quelli ottici e nel vicino infrarosso ottenuti dai telescopi dell’ESO. L’equipe ha usato anche un’immagine di 12 ore con il VLA per un’identificazione incrociata delle sorgenti LABOCA nelle immagini ottiche. Helmut Dannerbauer dell’Università di Vienna (Austria) e il suo gruppo sospettavano che la storia fosse ben lungi dall’essere completa. Era cruciale sondare il lato oscuro della formazione stellare per scoprire quale frazione della formazione stellare in atto nell’ammasso della galassia Tela di Ragno fosse nascosta alla vista dalla polvere. L’equipe ha usato la camera LABOCA sul telescopio APEX, in Cile, per raccogliere 40 ore di osservazioni dell’ammasso della Tela di Ragno a lunghezze d’onda millimetriche, cioè sufficientemente lunghe per oltrepassare quasi ovunque la cortina di nubi interstellari di polvere. LABOCA con il suo ampio campo di vista è lo strumento perfetto per questo tipo di indagini. “È una delle osservazioni più profonde mai realizzate con APEX – rivela Carlos De Breuck, responsabile scientifico del progetto APEX all’ESO, coautore dello studio presentato nell’articolo “An excess of dusty starbursts related to the Spiderweb galaxy”, di Dannerbauer, Kurk, De Breuck et al., pubblicato on-line dalla rivista Astronomy & Astrophysics – e spinge ai suoi limiti la tecnologia così come la capacità di resistenza del personale che lavora al sito di APEX in alta quota, a 5050 metri sopra il livello del mare”. Le osservazioni con APEX hanno svelato che esiste un numero di sorgenti nell’area della Tela di Ragno circa quattro volte superiore alle zone circostanti di cielo; confrontando con attenzione i nuovi dati con osservazioni complementari ad altre lunghezza d’onda, gli scienziati dell’ESO sono stati in grado di confermare che molte di queste sorgenti erano alla stessa distanza dell’ammasso di galassie e dovevano perciò far parte dell’ammasso in formazione. APEX è una collaborazione tra il Max Planck Institut für Radioastronomie (MPIfR), l’Osservatorio spaziale di Onsala (OSO) e l’ESO. La gestione di APEX a Chajnantor è affidata all’ESO. L’equipe è composta da H. Dannerbauer (Università di Vienna, Austria), J.D. Kurk (Max-Planck-Institut für extraterrestrische Physik, Garching, Germania), C. De Breuck (ESO, Garching, Germania), D. Wylezalek (ESO, Garching, Germania), J.S. Santos (INAF–Osservatorio Astrofisico di Arcetri, Firenze, Italia), Y. Koyama (National Astronomical Observatory of Japan, Tokyo, Giappone [NAOJ]; Institute of Space Astronomical Science, Kanagawa, Giappone), N. Seymour (CSIRO Astronomy and Space Science, Epping, Australia), M. Tanaka (NAOJ; Kavli Institute for the Physics and Mathematics of the Universe, The University of Tokyo, Giappone), N. Hatch (University of Nottingham, Regno Unito), B. Altieri (Herschel Science Centre, European Space Astronomy Centre, Villanueva de la Cañada, Spagna [HSC]), D. Coia (HSC), A. Galametz (INAF–Osservatorio di Roma, Italia), T. Kodama (NAOJ), G. Miley (Leiden Observatory, Paesi Bassi), H. Röttgering (Leiden Observatory), M. Sanchez-Portal (HSC), I. Valtchanov (HSC), B. Venemans (Max-Planck Institut für Astronomie, Heidelberg, Germania) e B. Ziegler (Università di Vienna). “Le nuove osservazioni con APEX aggiungono il tassello finale necessario per un completo censimento di tutti gli abitanti di questa megalopoli stellare – osserva Helmut Dannerbauer – queste galassie sono viste durante il processo di formazione e così, un po’ come un cantiere sulla Terra, sono piene di polvere”. Ma una sorpresa attendeva l’equipe quando ha osservato dove stesse avvenendo la nuova formazione stellare. Si aspettavano infatti di trovare queste regioni di formazione nei grandi filamenti che collegano le galassie. Invece, l’hanno pescata concentrata per la maggior parte in una singola regione che non è nemmeno centrata sulla galassia Tela di Ragno nel proto-ammasso. Si pensa che queste galassie “starburst” con molta polvere si evolvano successivamente in galassie ellittiche come quelle che si vedono oggi negli ammassi galattici a noi più vicini. “Volevamo trovare la formazione stellare nascosta nell’ammasso della Tela di Ragno – spiega Helmut Dannerbauer – e ci siamo riusciti, ma nel farlo abbiamo trovato un altro mistero: non era dove ci aspettavamo! Questa megalopoli si sta sviluppando in modo asimmetrico”. Servono dunque nuove osservazioni e il supertelescopio ALMA, con le sue 66 antenne rivolte verso le profondità dello spazio, è lo strumento ideale per continuare su questa strada, studiando le regioni polverose in maggior dettaglio. Magari a caccia di Civiltà aliene viventi o estinte. La nuova bellissima immagine, ottenuta con il WFI (Wide Field Imager) montato sul telescopio da 2,2 m dell’MPG/ESO all’Osservatorio dell’ESO a La Silla in Cile, è punteggiata da stelle blu che appartengono a uno dei più ricchi ammassi aperti attualmente conosciuti, Messier11, noto anche come NGC 6705 o Ammasso dell’Anitra Selvatica. Non “selvaggia” come la politica dei Warlords e degli sfruttatori di esseri umani! [1] Il soprannome evocativo di NGC6705 nasce nel Diciannovesimo Secolo: osservando l’ammasso con un piccolo telescopio si nota che le stelle più brillanti formano un triangolo aperto in cielo, proprio come una formazione di anatre in volo. Messier11 è un ammasso aperto, a volte indicato come ammasso galattico, distante circa 6mila anni luce dalla Terra nella costellazione dello Scudo. Scoperto dall’astronomo tedesco Gottfried Kirch nel 1681 sull’Osservatorio di Berlino, appariva come una macchia indistinta al telescopio. Fu solo nel 1733 che per la prima volta la macchia fu risolta in stelle dal reverendo William Derham, in Inghilterra, mentre Charles Messier lo incluse nel suo famoso Catalogo nel 1764. Messier era un cacciatore di comete e realizzò il Catalogo perchè frustrato dall’osservare continuamente oggetti diffusi, ma fissi, che sembravano comete: ossia, oggetti che ora sappiamo essere ammassi, galassie e nebulose molto più distanti. Egli volle avere un registro di questi oggetti per evitare di osservarli per sbaglio e confonderli con possibili nuove comete. Questo particolare ammasso stellare fu incluso come l’undicesimo elemento della famosa Lista. Da cui il nome Messier11. Gli ammassi aperti si trovano di solito nei bracci delle galassie a spirale o nelle regioni più dense delle galassie irregolari dov’è ancora attiva la formazione stellare. Messier11 è uno dei più ricchi e compatti ammassi aperti: misura circa 20 anni luce di diametro e ospita quasi 3mila stelle. Gli ammassi aperti sono diversi dagli ammassi globulari che tendono a essere molto densi, legati strettamente dalla forza Gravità, e contengono centinaia di migliaia di stelle molto vecchie, alcune anziane quasi quanto l’Universo stesso. Ghiotte regioni di studio per la caccia agli Alieni veri. Studiare un ammasso aperto è un ottimo modo per verificare le teorie di evoluzione stellare, poichè le stelle si formano tutte dalla stessa nube di gas e polvere, risultando molto simili tra di loro. In effetti hanno più o meno tutte la stessa età, la stessa composizione chimica e la stessa distanza dalla Terra. Tuttavia, ogni stella nell’ammasso ha una massa diversa e gli astri più massicci evolvono anche più rapidamente delle loro compagne di massa più piccola perché consumano l’Idrogeno più velocemente. In questo modo si possono confrontare direttamente i diversi stadi evolutivi all’interno dello stesso ammasso. Una stella di 10 milioni di anni con una massa pari a quella del Sole evolve in modo diverso da un’altra stella della stessa età ma di massa pari alla metà. Gli ammassi aperti sono quanto gli astronomi posseggano di più vicino alle condizioni di laboratorio universale. Poichè le stelle di un ammasso aperto sono legate le une alle altre in modo molto debole, le singole stelle possono essere facilmente espulse dal gruppo principale a causa degli effetti della Gravità degli oggetti celesti vicini. NGC6705 ha almeno 250 milioni di anni e tra alcuni milioni di anni probabilmente la formazione dell’Anitra Selvatica si disperderà e l’ammasso si spezzerà e mescolerà con l’ambiente circostante. Dunque, le sonde e i rover marziani sono sopravvissuti al passaggio ravvicinato della cometa Siding Spring che ora sfreccia a tutta velocità verso l’ignoto. Tutte le sette missioni, gli orbiter MAVEN, Odissey, MRO, Mars Express, MOM e i robot Curiosity e Opportunity, hanno comunicato ai centri di comando sulla Terra di non aver subito danni. Molte di loro, però, sono riuscite a cogliere al volo il momento più unico che raro del primo passaggio nel nostro Sistema solare di C/2013A1 proveniente dalla Nube di Oort, la regione sferica che circonda il nostro Sistema Solare da cui proviene la maggior parte delle comete. La Siding Spring viene studiata per cercare di ottenere qualche indizio in più sui primi giorni del nostro Sistema planetario formatosi 4,6 miliardi di anni fa. Il rover Opportunity della missione Mars Exploration della Nasa ha catturato diverse immagini della cometa che è passata molto più vicino a Marte rispetto a qualsiasi altra cometa abbia mai fatto con la Terra e qualunque altro pianeta. Le immagini della cometa Siding Spring scattate con la Pancam prima dell’alba marziana di Domenica 19 Ottobre 2014 (sulla Terra, in Italia, erano le ore 20:27) sono incredibili. I ricercatori hanno usato la Pancam per ottenere una serie di immagini con differenti tempi di posa da circa due ore e mezza prima del massimo avvicinamento del nucleo cometario. La sonda Mars Reconnaissance Orbiter (MRO) non si è fatta sfuggire l’occasione di fotografare la cometa dell’anno, per cercare di estrapolare più informazioni utili sul suo nucleo. Sono le immagini a più alta risoluzione mai acquisite di una cometa proveniente dalla Nube di Oort. Questi scatti, inviati sulla Terra dalla camera HiRISE, hanno una scala di 138 metri per pixel. Precedenti osservazioni avevano fatto ipotizzare che il nucleo di C/2013A1 fosse grande circa un chilometro. HiRISE mostra solo due o tre pixel che ritraggono la palla luminosa suggerendo una dimensione inferiore. Buone notizie anche dalla sonda Mars Odissey della Nasa, ancora in attività dopo ben 13 anni, il 24 Ottobre 2014. Si tratta della missione automatica su Marte più longeva e quella che più di tutte si è occupata della mappatura accurata di ogni centimetro del Pianeta Rosso studiato dall’astronomo Vincenzo Cerulli. Durante il flyby, come previsto, la sonda ha interrotto le comunicazioni con la Terra mentre osservava da vicino la cometa Siding Spring. Il 5 Agosto 2014 la Odissey aveva eseguito una manovra correggendo la sua posizione sull’orbita di Marte per avere una migliore protezione durante il passaggio ravvicinato dell’astro chiomato. Gli scienziati della Nasa avevano previsto, infatti, un potenziale rischio per tutte le sonde e i rover a causa delle particelle di polvere trasportate nella coda della cometa, autentiche pallottole esplosive! La sonda ha utilizzato lo strumento Thermal Emission Imaging System (THEMIS) per effettuare le sue rilevazioni. Le prime immagini arriveranno fra alcune ore. Gli esperti stanno utilizzando anche il Neutron Spectrometer and High Energy Neutron detector per controllare eventuale cambiamenti nell’atmosfera marziana dopo il passaggio della coda cometario di polveri e gas ancestrali, molti dei quali venefici. Anche i dati di MAVEN sono tuttora in fase di elaborazione e saranno disponibili tra breve. Lo sonda, arrivata su un’orbita marziana il 21 Settembre 2014, ha attivato lo spettrografo ultravioletto (Imaging Ultraviolet Spectrograph, IUVS) che ha effettuato dei rilevamenti utili a definire la composizione della Siding Spring prima e dopo il suo passaggio. La sonda MAVEN ha iniziato le osservazioni due giorni prima del flyby ed è ancora focalizzata sulla C/2013A1 per verificare l’eventuale interazione tra la coda della cometa e l’atmosfera superiore di Marte. Perché tanto terrore alla Halloween? La Siding Spring ha sfiorato il Pianeta Rosso all’impressionante velocità di oltre 200mila chilometri all’ora, a una distanza da record. A spaventare i responsabili delle cinque sonde automatiche spedite lassù a suon di miliardi di euro-dollari, evidentemente “sottratti” alla conquista umana di Marte che altrimenti sarebbe già avvenuta, a 100 anni dalla Relatività di Einstein, era il rischio del ferale colpo di coda cometario, degno della Terra di Mezzo di Tolkien! L’eventualità che i minuscoli ma velocissimi frammenti di polvere della chioma, pallottole vaganti a 56 Km al secondo, potessero investire i preziosi strumenti. Rischio che ha raggiunto l’acmè circa 100 minuti dopo il flyby. Per scongiurare il pericolo, le tre Agenzie spaziali pubbliche avevano provveduto per tempo a mettere i loro cinque gioielli al riparo, utilizzando come scudo proprio il Pianeta Rosso, cioè delle orbite di sicurezza. Al tempo stesso, era un’opportunità rarissima e irrinunciabile l’osservazione di un flyby del genere: un evento che capita una volta ogni milione di anni. Per raccogliere materiale di prima mano da un’inviata dal passato remoto del Sistema Solare, un vero e proprio fossile spaziale, non c’erano alternative valide. La Siding Spring è infatti al suo primo passaggio così ravvicinato rispetto al Sole. Arriva direttamente dalla Nube di Oort, recando con sé tracce inedite di com’era il Sistema Solare oltre quattro miliardi di anni fa. Così, compatibilmente con la situazione di pericolo, le cinque sonde non hanno perso l’occasione per fare incetta di dati preziosissimi. La raccolta è ancora in corso. A breve i primi risultati. Lanciato il 25 Settembre 2014, il Balloon Observation Platform for Planetary Science (BOPPS) della Nasa, è un pallone stratosferico progettato per studiare una serie di oggetti del nostro Sistema Solare, compresa la cometa in questione proveniente dalla Nube di Oort. BOOPS è rimasto sospeso in aria per sole 24 ore. Durante questa fase le comete visibili erano la Pan-STARRS e la Siding Spring. La missione è in grado di rilevare potenzialmente anche altri oggetti planetari, tra cui gli asteroidi Cerere e Vesta e i remoti pianeti Nettuno e Urano. Oltre a portare a casa dati scientifici importanti “BOPPS – osserva Tibor Kremic del Glenn Research Center della Nasa a Cleveland in Ohio (Usa) – può anche dare prova di un nuovo modo molto conveniente di fare scienza”. BOPPS è ben equipaggiato con un telescopio di 0,8 metri e due fotocamere, una a raggi infrarossi e l’altra combinata (ultravioletta/ luce visibile) per osservare oggetti a un’altitudine di circa 120mila metri di quota. Progetti del genere sono decisamente molto utili agli scienziati perché è possibile effettuare osservazioni da una zona del cielo che è quasi interamente libera da interferenze atmosferiche. Gli strumenti a bordo della mongolfiera BOPPS sono in grado di rilevare diversi elementi, tra cui l’anidride carbonica e l’acqua, su asteroidi e comete lontani. È un risultato non sempre facile da ottenere da terra per i disturbi prodotti dall’atmosfera. BOPPS può anche scattare immagini ad altissima risoluzione di pianeti, stelle e altri oggetti cosmici. La gondola è stata costruita da APL a Laurel (Maryland, Usa). Pesa 2358 chili e misura 6,7 metri di altezza e 2,4 metri di larghezza. “Ciò che possono offrire le missioni in mongolfiera come BOPPS va oltre rispetto a quello che si ottiene con ricerche standard da qualsiasi altro osservatorio – spiega Andy Cheng, il principal investigator di BOPPS al Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory (APL) – i dati possono aiutarci a rispondere ad alcune delle domande più importanti sul nostro Sistema Solare”. BOPPS non è il primo tentativo di studiare “in economia” le comete. Nel 2013 la Nasa ha lanciato BRISSON (Balloon Rapid Response for ISON), dotato di un telescopio da 80 cm, che è salito a 37 Km sopra la superficie della Terra, più o meno la stessa quota dalla quale vengono fatti precipitare gli iPad opportunamente imbottiti, per osservare lo sfrigolio della frizzante cometa nell’infrarosso, nella luce visibile e nel vicino ultravioletto. Il grande pallone gonfiato con gas Elio, come BOPPS, è stato lanciato dal Columbia Scientific Balloon Flight Facility di Fort Sumner, nel New Mexico (Usa). Marte è più gettonato che mai. La Guerra dei Mondi è stata scatenata dai terrestri. Nel giro di pochi anni il Pianeta Rosso è stato pacificamente invaso da ben 5 Orbiter oltre alla coppia di rover di superficie della Nasa, Curiosity e Opportunity, che stanno rivoluzionando la Planetologia. Alle sonde Mars Odyssey (Nasa), Mars Express (Esa) e Mars Reconnaissance Orbiter (Nasa) si affiancano, infatti, la sonda indiana MOM (Mars Orbiter Mission) e l’Orbiter americano MAVEN (Mars Atmosphere and Volatile EvolutioN) sempre della Nasa, il cui Principal Investigator, Bruce Jakosky, conferma che la sonda sembra quasi essere stata progettata per mappare la composizione della cometa Siding Spring. La sonda MAVEN si è unita alla flotta aliena terrestre in orbita su Marte, dopo 10 mesi di navigazione gravitazionale interplanetaria. Molti di meno se ad alimentare i suoi motori fosse stata la propulsione offerta dal Carlo Rubbia Nuclear Engine! MAVEN si occupa principalmente dello studio dell’atmosfera di Marte. La sonda verrà impiegata anche come ripetitore di segnale per comunicare con i rover attualmente attivi sul suolo marziano, perché MRO e Odissey hanno superato il periodo di vita operativa originariamente previsto e presto perderanno il controllo di Curiosity e Opportunity. La sonda MAVEN, costata 671 milioni di dollari, è stata lanciata il 18 Novembre 2013 dal centro spaziale di Cape Canaveral, a bordo del potente razzo Atlas V. Lo spettrografo ultravioletto montato su MAVEN è uno degli strumenti-chiave per effettuare dei rilevamenti utili a definire la composizione della Siding Spring. È innovativo e unico nel suo genere all’interno della piccola flotta di Orbiter di invasione marziana. L’atmosfera di Marte è quindi sotto la lente d’ingrandimento anche per verificare l’eventuale interazione tra la coda della cometa e gli strati superiori del Pianeta Rosso. I detrattori del volo umano interstellare, pubblico o privato che sia, frutto cioè della totale liberalizzazione e privatizzazione dell’impresa spaziale, tirano sempre in ballo l’altissima velocità dei frammenti microscopici letali, potenzialmente in grado di mettere fuori uso satelliti, astronavi e astronauti, per derubricare il Futuro dell’Umanità nello spazio a una mera puntata di Star Trek. Pena il rischio d’impatti devastanti! Manovre mediatiche che i poteri oscuri, nemici della Libertà d’impresa pioneristica, stanno compiendo proprio sotto il nostro naso, condannando così l’Umanità all’estinzione certa, rapida e indolore. L’avventura vissuta dalle cinque sonde su Marte, dimostra che i problemi possono essere risolti grazie alla Scienza e alla Tecnologia. La missione Mangalyaan, l’Orbiter marziano dell’Agenzia spaziale indiana, è l’altro chiaro messaggio da brivido! La Nasa è corsa ai ripari, riprogrammando le rotte dei suoi satelliti per non incrociare i temutissimi detriti cometari. Il 2 Luglio 2014 è stato il turno del Mars Reconnaissance Orbiter, ulteriormente riposizionato il 27 Agosto. Il 5 Agosto è stata modificata la rotta di Mars Odyssey. Il 9 Ottobre, 10 giorni prima del flyby, la stessa sorte è toccata alla MAVEN. Nessun rischio per i due rover in attività sul suolo marziano, Curiosity e Opportunity. La pur rarefatta atmosfera di Marte è, infatti, sufficientemente densa per scongiurate l’impatto di micro-meteoriti cometari destinati a disintegrarsi come nel film Mission To Mars di Brian De Palma. Tutti in posizione, dunque, e non solo per proteggere la carrozzeria. Il flyby, visto da Marte, è di grande interesse scientifico e tecnologico, visto che la prossima missione umana internazionale dovrà affrontare e risolvere problemi simili e più gravi, in tempo reale, con o senza l’assistenza “ritardata” della Terra! I sensori delle sonde e dei rover sono quindi all’erta per raccogliere quante più informazioni possibili indotte dal passaggio della cometa sull’atmosfera marziana. Lo scorso Maggio il satellite Swift della Nasa ha scattato una serie di immagini della Siding Spring ai raggi ultravioletti, le prime a rivelare il tasso di liberazione di acqua nello spazio, per stimare meglio le sue dimensioni, durante il suo primo passaggio attraverso il Sistema Solare interno. Infatti la montagnola d’argento sta vivendo la sua prima forte esperienza con le altissime temperature del Sole. La Siding Spring è una vera e propria miniera d’oro perché contiene alcuni tra i più antichi materiali che gli scienziati da decenni cercano nell’Universo. Il nucleo della cometa è un denso agglomerato di gas ghiacciati mescolati con polveri. Quella che in gergo viene definita: palla di neve sporca. Polveri e gas vengono risucchiati dalla cometa durante tutto il viaggio nel Sistema Solare. Ciò che attiva la cometa è la trasformazione di materiale congelato da ghiaccio solido a gas, un processo chiamato sublimazione. Mentre la cometa si avvicina al Sole e si riscalda, i gas fuoriescono dal nucleo, portando con sé grandi quantità di polveri che riflettono la luce del Sole e la illuminano. Già a circa due volte e mezzo la distanza della Terra dal Sole (2,5 Unità Astronomiche) la cometa si era riscaldata a tal punto da trasformare l’acqua nel principale gas emesso dal suo nucleo. Poi, tra il 27 e il 29 Maggio 2014, l’Ultraviolet/Optical Telescope del telescopio Swift ha catturato una sequenza di immagini della cometa in viaggio nella costellazione Eridano a una distanza di 368 milioni di chilometri dal Sole. Se il sensore UVOT non può rilevare direttamente le molecole di acqua, può osservare, invece, la luce emessa dai frammenti che si formano quando la radiazione solare ultravioletta rompe acqua. Nello specifico si parla di atomi di Idrogeno e molecole di Idrossile (OH). “Sulla base delle nostre osservazioni, si calcola che, al momento delle osservazioni, la cometa stesse producendo circa 2 miliardi di miliardi di miliardi di molecole d’acqua (equivalenti a circa 49 litri) ogni secondo”, osserva Tony Farnham, un ricercatore senior a UMCP. Già a quel ritmo, la cometa Siding Spring avrebbe potuto riempire una piscina olimpionica in sole 14 ore. Queste cifre sono state fondamentali, per riuscire a stimare le dimensioni preliminari della cometa. Che raggiungerà il suo perielio, cioè il suo massimo avvicinamento al nostro Sole, il 25 Ottobre 2014, ad una distanza di poco più di 200 milioni di chilometri, ben al di fuori dell’orbita terrestre. Pur sempre nei suoi confini esterni di sicurezza! Anche il Telescopio Spaziale Hubble (Nasa/Esa) non ha deluso le aspettative. Come sempre dal 1990. Tra le più belle immagini ricevute dagli astronomi ci sono sicuramente le foto delle comete. Come quelle scattate dal 21 Gennaio 2014 con la Wide Field Camera3. Si tratta naturalmente della C/2013A1, la Siding Spring, una cometa non periodica, il cui passaggio e percorso orbitale non è facilmente prevedibile. La prima immagine mostra la cometa a una distanza di 568 milioni chilometri dalla Terra. Il telescopio Hubble non può vedere il nucleo gelido di Siding Spring a causa della sua piccola dimensione. Il nucleo, infatti, è circondato da una nube di polvere incandescente che misura di appena 19mila chilometri di diametro. Sulla destra, invece, la foto mostra la cometa dopo essere stata analizzata dai computer della Nasa. È stato rimosso l’alone brillante della testa rivelando una coppia di getti opposti che partono dal nucleo. Queste osservazioni consentono agli astronomi di misurare la direzione del polo del nucleo e l’asse di rotazione. Hubble ha osservato la Siding Spring lo scorso 21 Gennaio quando la Terra stava attraversando il suo piano orbitale, il percorso che la cometa compie attorno al Sole. Questo posizionamento dei due corpi ha permesso di determinare la velocità delle polveri della coda. La quantità e l’entità dei grani di polvere sono delle informazioni da non sottovalutare “nel caso di un impatto con Marte o con veicoli spaziali in orbita attorno al Pianeta Rosso”, conferma Jian-Yang Li del Planetary Science Institute di Tucson in Arizona (Usa). La chioma, infatti, avrebbe potuto avvolgere l’intero Pianeta Rosso con la produzione di uno sciame meteorico. Il rischio per i rover e per le sonde era, dunque, molto alto. Quando la cometa Sinding Spring si trovava all’interno del raggio dell’orbita di Giove, gli esperti erano sicuri che non sarebbe diventata mai sufficientemente luminosa da essere visibile ad occhio nudo dalla Terra: “al massimo potrà raggiungere l’ottava magnitudine”! Mai fidarsi delle comete. Sono come i gatti. Imprevedibili. Uomo avvisato, mezzo salvato! È la Gravità.

© Nicola Facciolini

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