Banche popolari: Cosa c’è dietro la riforma?

In base al decreto varato ieri dal governo, entro 18 mesi le principali banche popolari (quelle con un totale delle attività superiore a 8 miliardi – in tutto sono 10, tra cui Bpm, Ubi Banca e Banco Popolare) dovranno trasformarsi in società per azioni e rispettare, di conseguenza, il principio secondo cui a ogni azione […]

popolari-672x291In base al decreto varato ieri dal governo, entro 18 mesi le principali banche popolari (quelle con un totale delle attività superiore a 8 miliardi – in tutto sono 10, tra cui Bpm, Ubi Banca e Banco Popolare) dovranno trasformarsi in società per azioni e rispettare, di conseguenza, il principio secondo cui a ogni azione corrisponde un voto (oggi, invece, in queste società il voto è capitario, cioè a ogni socio corrisponde un voto indipendentemente dalla quota di azioni posseduta).

Una notizia accolta con entusiasmo dai mercati, con rialzi tra l’8% e il 15% nel giorno in cui si è diffusa la notizia. Due i motivi del rialzo. Primo, i mercati hanno sempre considerato (molto spesso a ragione) le banche popolari meno efficienti rispetto alle “colleghe” strutturate come società per azioni: il peso dei piccoli azionisti, spesso anche dipendenti delle stesse banche, è visto come un freno ai tagli ai costi. Per questo, le banche popolari hanno in Borsa un prezzo “scontato” rispetto alle altre: il rapporto tra prezzo e patrimonio della società viaggia tra 0,4 e 0,6, mentre per titoli come Unicredit è di circa 0,9. Ora, con la trasformazione in società per azioni, non c’è (o non dovrebbe esserci) più motivo per applicare alle banche popolari questo “sconto”.
Secondo motivo del rialzo, è il fatto che la trasformazione in società per azioni facilita le aggregazioni e le fusioni: il mercato scommette su operazioni straordinarie in questo senso.
Tutto bene quindi? Niente affatto. Prima di tutto, c’è ancora da capire se la riforma andrà a buon fine: sono ormai 15 anni che si parla di riformare il sistema delle banche popolari, e finora non si è mai arrivati a un dunque. Temiamo che anche stavolta, tra conversione del decreto in legge e possibili rinvii, possano nascere degli intoppi. In un’ottica di lungo termine le azioni Bpm (0,69 euro), Banco Popolare (11,44 euro) e Ubi Banca (6,33 euro) restano quindi care e da vendere.
Secondo, perché ricorrere a uno strumento “d’urgenza” come il decreto per una riforma così importante? Il sospetto è che il vero scopo sia prima di tutto risolvere (a tue spese) il problema di banche problematiche come Mps e Carige, spingendo le banche popolari ad acquisirle.
Non è secondo noi un caso che Mps, nel giorno della notizia, abbia guadagnato il 4%. Invece di risanare queste banche con un intervento pubblico, rischi insomma di pagare tu: d’altronde, i problemi della stessa Mps (e dei suoi azionisti) erano cominciati con un’acquisizione mal indovinata, quella di Antonveneta.
E una volta pagato questo “dazio” accollandoti la zavorra delle banche in perdita, potrai finalmente goderti i frutti del tuo investimento in una società più efficiente? Macché: la trasformazione delle banche popolari in società per azioni apre la strada alla finanza estera (e in particolare britannica) che da tempo cerca nuovi spazi in Italia, ma che difficilmente può abbordare “prede” delle dimensioni di Intesa e Unicredit. Su questo fronte si aprono quindi le “grandi manovre”; peccato che, spesso, il piccolo investitore ne resti escluso. Anche in un’ottica speculativa, rischi di rimetterci. Stai alla larga.

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