Tumore della prostata: arriva in Italia enzalutamide

È la forma di tumore più diffusa tra i maschi adulti e rappresenta il 20% di tutti i tumori tra gli uomini di età superiore ai 50 anni, ma è rimasto a lungo relativamente orfano di farmaci efficaci. Adesso, per il carcinoma prostatico è disponibile anche in Italia una nuova opzione terapeutica, altamente efficace nel […]

prostata
È la forma di tumore più diffusa tra i maschi adulti e rappresenta il 20% di tutti i tumori tra gli uomini di età superiore ai 50 anni, ma è rimasto a lungo relativamente orfano di farmaci efficaci. Adesso, per il carcinoma prostatico è disponibile anche in Italia una nuova opzione terapeutica, altamente efficace nel trattamento della forma metastatica: l’AIFA ha dato il via libera a enzalutamide, farmaco messo a punto da Astellas Pharma, indicato per i pazienti affetti da carcinoma della prostata avanzato resistente alla castrazione dopo fallimento della chemioterapia.
Enzalutamide è un agente ormonale di ultima generazione che inibisce in modo selettivo il recettore degli androgeni (testosterone), “motore” del carcinoma prostatico, migliorando in modo significativo la sopravvivenza, con un impatto positivo sulla qualità di vita grazie al buon profilo di tollerabilità, sicurezza e maneggevolezza. Il farmaco, a somministrazione orale, è dispensato dal Servizio sanitario, in fascia “H”, dietro ricetta non rinnovabile dei Centri ospedalieri o degli specialisti.
Il tumore della prostata è una patologia peculiare dell’età avanzata, al punto da essere considerato l’orologio biologico “cattivo” del processo d’invecchiamento. La fascia d’età maggiormente colpita è quella over 70, ma nell’ultimo decennio sono in aumento i casi registrati tra i 60 e i 70 anni; complessivamente ogni anno in Italia le nuove diagnosi sono circa 42.000 con 8.000 decessi. Oggi grazie ai trattamenti chirurgici e farmacologici, la sopravvivenza dei pazienti è di circa l’88% a 5 anni dalla diagnosi. Ma oltre il 40% degli uomini colpiti da un cancro prostatico sviluppa metastasi e di questi un numero elevato diventa resistente alla castrazione, ossia al trattamento di deprivazione androgenica.
«Circa il 10-20% dei casi viene diagnosticato nella fase già avanzata: questo dipende in parte dalla natura del tumore, le cui alterazioni, nella parte più esterna della ghiandola prostatica, non danno segni della patologia se non quando il tumore è molto cresciuto, in parte dalla carenza di indagini diagnostiche – afferma Paolo Marchetti, Professore ordinario di Oncologia alla Sapienza Università di Roma e Direttore dell’U.O.C. di Oncologia Medica dell’Azienda Ospedaliera Sant’Andrea di Roma – anche nel trattamento della forma metastatica resistente alla castrazione si stanno però aprendo nuove prospettive terapeutiche basate su farmaci non solo chemioterapici e che rispettano, anche e soprattutto, la qualità di vita dei pazienti».
Il trattamento del tumore prostatico comprende diverse opzioni, quali la chirurgia, la radioterapia, l’ablazione focale, l’ormonoterapia e la chemioterapia. Il tipo di terapia dipende dalle caratteristiche del paziente e dal grado di aggressività della malattia stessa.
«Nel caso di pazienti affetti da malattia più aggressiva e metastatica alla diagnosi, le opzioni terapeutiche comprendono trattamenti sistemici quali la chemioterapia e la terapia ormonale, e l’utilizzo di nuovi farmaci antiandrogeni – afferma Francesco Montorsi, Professore ordinario di Urologia presso l’Università Vita-Salute del San Raffaele di Milano – la terapia ormonale, uno dei cardini del trattamento farmacologico del tumore della prostata, fa leva sul ruolo che gli androgeni, in particolare il testosterone, giocano nella crescita, lo sviluppo e la proliferazione del tumore prostatico».
Enzalutamide rappresenta un passo in avanti nel trattamento del carcinoma prostatico metastatico resistente alla chemioterapia perché blocca in maniera potente e duratura nel tempo il recettore degli androgeni. A differenza di altre terapie farmacologiche antiandrogene, che riducono ma non azzerano i livelli circolanti di testosterone, enzalutamide si lega in maniera potente e prolungata al recettore degli androgeni, ripristinando un controllo sulla cellula tumorale prostatica e inducendone in alcuni casi la morte.
«Il recettore degli androgeni è il motore del carcinoma prostatico, ossia il principale oncogene responsabile dell’aggressività della neoplasia. Tale molecola prima si lega al testosterone, successivamente il complesso testosterone-recettore migra nel nucleo delle cellule, si lega al DNA e lo stimola a sintetizzare le proteine responsabili della crescita tumorale – spiega Alfredo Berruti, Professore associato di Oncologia Medica all’Università degli Studi di Brescia, Azienda Ospedaliera “Spedali Civili” – enzalutamide azzera la funzione stimolante del recettore agendo a più livelli: inibisce il legame recettore-testosterone, inibisce la traslocazione del segnale dal citoplasma all’interno del nucleo e, da ultimo, inibisce la stimolazione del DNA ad opera del recettore e del suo ligando».
Lo studio AFFIRM ha dimostrato che enzalutamide è in grado di contrastare la crescita del tumore e delle metastasi, migliorando in maniera statisticamente significativa la sopravvivenza globale (4,8 mesi) rispetto al placebo (18,4 vs 13,6 mesi), con miglioramento della sopravvivenza libera da progressione radiografica, in pazienti che si dimostravano non più responsivi all’ormonoterapia tradizionale e alla chemioterapia.
Buono il profilo di sicurezza e tollerabilità: il farmaco ha migliorato la qualità di vita dei pazienti rispetto al placebo (43% vs 18%), secondo il punteggio del questionario somministrato durante il trial. Nei pazienti con metastasi ossee, a forte rischio di complicanze scheletriche come fratture e compressioni del midollo spinale, enzalutamide ha prodotto una significativa riduzione del rischio di sviluppare questi eventi rispetto al placebo. Enzalutamide non richiede l’aggiunta di steroidi e non presenta effetti collaterali importanti quali quelli cardiovascolari.
La nuova opportunità terapeutica per il trattamento del tumore della prostata è il frutto della ricerca di Astellas Pharma, una delle prime 20 aziende farmaceutiche a livello mondiale, che ha già lanciato con successo prodotti innovativi in aree terapeutiche importanti quali Urologia, Trapianti, Dermatologia, Cardiologia, Antinfettivi e Terapia del Dolore e che adesso, con enzalutamide, estende anche all’Oncologia il suo impegno orientato a migliorare la qualità di vita dei pazienti.
Intervista al professor Marchetti
In Europa il tumore della prostata è il tipo di neoplasia più diffusa nella popolazione maschile dopo i tumori cutanei. Quali sono le caratteristiche di questo tumore? Come si manifesta? Quali sono l’incidenza e i principali fattori di rischio?
Il tumore della prostata è una neoplasia tipica dell’età più avanzata: potremmo definirla quasi una sorta di orologio biologico in negativo del fisiologico processo d’invecchiamento. Numerosi studi autoptici condotti in soggetti sopra gli 80 anni, deceduti per cause non neoplastiche, rivelano la presenza di focolai tumorali prostatici. Questo sta a significare che la ghiandola prostatica è un organo molto incline alla trasformazione neoplastica a causa dell’invecchiamento: purtroppo, se in molte persone la patologia non si manifesta clinicamente, alcuni soggetti sviluppano il tumore. Classicamente, la fascia d’età più colpita è quella dopo i 70 anni; tuttavia nell’ultimo decennio, sia per un miglioramento delle indagini diagnostiche che della diagnosi precoce, assistiamo alla comparsa di tumori della prostata in età precedente, tra i 60 e i 70 anni e, seppure rarissimo, qualche caso prima dei 60 anni. Il tumore della prostata è caratteristicamente ormono-sensibile agli androgeni, tant’è vero che la malattia regredisce asportando i testicoli o somministrando farmaci che riducono i livelli di testosterone. Per quanto riguarda i sintomi, la patologia si manifesta con difficoltà a urinare e sangue nelle urine, quasi sempre quando è già in fase avanzata. Si tratta della neoplasia più frequente tra i maschi adulti, rappresentando il 20% di tutti i tumori diagnosticati a partire dai 50 anni di età nell’uomo. Ogni anno si registrano 42.000 nuovi casi e 8.000 decessi e questi numeri sono in aumento anche a motivo della diagnosi precoce più frequente e per il cambiamento degli stili di vita. Il primo fattore di rischio è l’invecchiamento, seguito dalla dieta troppo ricca di grassi e dalla scarsa attività fisica. Bisogna comunque tener presente che un 5-10% dei tumori prostatici è genetico-ereditario, con maggiore frequenza tra i più giovani; mentre la familiarità è presente nel 25% di casi. Fattori protettivi, da non sottovalutare, sono le vitamine D, A e gli antiossidanti.

Quali sono generalmente l’evoluzione e la prognosi della patologia? Cosa si intende per “forma metastatica resistente alla castrazione”?
Lasciato a se stesso, il tumore della prostata evolve e metastatizza portando ad exitus. Oggi però, grazie ai trattamenti chirurgici e farmacologici, la sopravvivenza dei pazienti è di circa l’88% a 5 anni dalla diagnosi, con una prognosi che possiamo definire favorevole se la neoplasia viene diagnosticata precocemente e trattata in maniera integrata. La forma metastatica resistente alla castrazione, intesa come tumore resistente alla deprivazione degli androgeni, concetto fondamentale emerso di recente, è più complessa, ma si riesce a superare tale ostacolo grazie alle nuove prospettive terapeutiche basate su farmaci non solo chemioterapici e che rispettano, anche e soprattutto, la qualità di vita del paziente.

Uno dei problemi del tumore della prostata è il ritardo della diagnosi, che in circa il 10-20% dei casi arriva nella fase già avanzata: quali sono i fattori che ostacolano un riconoscimento tempestivo della malattia?
Il motivo principale per cui il tumore della prostata viene di solito diagnosticato tardivamente risiede nella natura del tumore stesso: questo cancro infatti origina e cresce nella parte più esterna della ghiandola prostatica, il cosiddetto mantello, e le alterazioni che innesca non danno segni della loro presenza se non quando il tumore è molto cresciuto. Altro ostacolo alla diagnosi tempestiva è proprio la carenza di indagini diagnostiche che segue un gradiente Nord-Sud nel Paese. Inoltre lo stesso dosaggio del PSA può rivelarsi uno strumento diagnostico ingannevole, in quanto spesso evidenzia forme tumorali che magari non avrebbero mai dato problemi. Ecco perché lo screening va sempre eseguito in accordo con il proprio medico curante e i risultati devono essere interpretati con molta cautela.
Come si sviluppa la collaborazione tra urologo e oncologo? Che importanza ha l’approccio multidisciplinare, sia nella fase che precede la diagnosi sia nel successivo percorso di cura?
La collaborazione tra le diverse figure specialistiche deve iniziare subito, dal momento in cui si ha il sospetto di neoplasia prostatica. Parlare di approccio multidisciplinare può dare l’idea che il paziente sia una sorta di pacco postale, trasferito da uno specialista all’altro a seconda del momento e dellla necessità. Così non deve essere. Quel che interessa noi medici è una collaborazione interdisciplinare stretta all’interno di un gruppo competente che includa tutte le figure specialistiche necessarie e in grado di offrire la valutazione e il trattamento migliori.

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