Panico, ansia e sistema digirente: quali connessioni?

“Un paziente con colon irritabile su dieci soffre di depressionea e quattro su dieci sono colpiti da ansia“. Lo dicono i primi dati di uno studio della Associazione italiana dei gastroenterologi ed endoscopisti digestivi ospedalieri (Aigo) su oltre 500 pazienti affetti da questa sindrome e in cura presso 26 centri Aigo. Si conferma, quindi, quanto […]

ansia-e-depressione“Un paziente con colon irritabile su dieci soffre di depressionea e quattro su dieci sono colpiti da ansia“. Lo dicono i primi dati di uno studio della Associazione italiana dei gastroenterologi ed endoscopisti digestivi ospedalieri (Aigo) su oltre 500 pazienti affetti da questa sindrome e in cura presso 26 centri Aigo. Si conferma, quindi, quanto questa malattia “abbia gravi ripercussioni sulla qualità di vita delle persone affette. Inoltre, emerge come ad ammalarsi di sindrome di colon irritabile siano in prevalenza donne, il 73%, con un’età media di circa 40 anni“.

Come spiega Marco Soncini, coordinatore dello studio e consigliere nazionale Aigo, “Lo studio analizza la situazione sia dei pazienti appena diagnosticati (49,9% dei casi osservati) sia di quelli in cura già da tempo (51,1%). Si dovrebbe presumere che chi è già in terapia dovrebbe avere una qualità di vita migliore ma purtroppo non è così: infatti non emergono tra queste due categorie differenze di rilievo circa il modo in cui ogni paziente valuta la sua situazione. Ciò indica che le terapie oggi disponibili non sono soddisfacenti perchè non riescono a ridurre le loro difficoltà, controllando i sintomi della malattia”.

Per Antonio Balzano, presidente Aigo, “Coerentemente con gli scopi dell’Associazione, lo studio Aigo, oltre a stabilire quanto la sindrome del colon irritabile pesi sulla qualità della vita delle persone, è importante perché intende verificare anche se le terapie prescritte per il controllo di questo disturbo siano conformi con quanto raccomandano le linee guida, che definiscono a livello internazionali gli strumenti più adeguati per contrastarlo. Ciò per verificare che ai pazienti siano sempre assicurate le migliori cure”.

Secondo i dati dello studio, “oltre la metà dei pazienti segnala che la sindrome li condiziona obbligandoli a cambiamenti di abitudini sia nella vita privata sia in quella lavorativa e relazionale; per cercare di misurare l’intensità dei sintomi, i ricercatori hanno chiesto ai pazienti di indicare le difficoltà che provano utilizzando una scala visuale, cioè di indicare graficamente il livello del loro disagio riempiendo una porzione più o meno ampia di una barra lunga 10 centimetri. L’estremo a sinistra della retta rappresenta l’assenza del sintomo mentre l’altra estremità indica il massimo livello percepito. Emerge quanto la patologia sia grave poichè in media i pazienti hanno valutato il livello del loro dolore con una intensità pari a circa 5/10 ed una percezione del gofiore intestinale di poco superiore (5.5/10)”.

Purtroppo “gli alimenti in grado di peggiorare la situazione non sono comuni a tutti i pazienti, è quindi necessario per il paziente effettuare un lavoro di inserimento o esclusione di cibi dalla dieta per rilevare quelli effettivamente causa di reazioni; tra gli alimenti a potenziale rischio vi sono: latte, dolcificanti (sorbitolo, fruttosio etc.), frutta (in particolare pesche, pere e prugne), verdura (cavoli, carciofi, spinaci, cipolla, rucola, cetrioli, sedano), spezie, caffè, the, Coca Cola e bevande contenenti caffeina, bibite gasate”.

Inoltre, “è possibile indicare alcuni consigli per i pazienti: mangiare ad orari regolari e senza fretta,  evacuare sempre alla stessa ora (preferibile al mattino dopo la colazione, quando interviene un riflesso fisiologico), praticare una moderata ma costante attività fisica, evitare l’uso eccessivo di farmaci, lassativi in particolare, evitare alcolici e cibi troppo speziati”

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