Sociale, la spesa pubblica va in picchiata dell’81% in 7 anni

Per il sociale, la spesa pubblica va in picchiata: dagli 1,7 miliardi di euro l’anno del 2007, il Fondo per le politiche sociali è calato fino a 297,4 milioni nel 2014, circa meno 81% in sette anni. E’ quanto emerge da uno studio del Censis presentato oggi, nell’ambito dell’ultimo degli incontri del ‘Mese del sociale […]

Per il sociale, la spesa pubblica va in picchiata: dagli 1,7 miliardi di euro l’anno del 2007, il Fondo per le politiche sociali è calato fino a 297,4 milioni nel 2014, circa meno 81% in sette anni.

E’ quanto emerge da uno studio del Censis presentato oggi, nell’ambito dell’ultimo degli incontri del ‘Mese del sociale 2015′. Anche il Fondo per la non autosufficienza vede una diminuzione: dai 400 milioni del 2010, si è passati ai 350 di quest’anno, passando peró per il totale annullamento del Fondo nel 2012. Nonostante questo, il peso del finanziamento pubblico per attività non profit, invece, rimane consistente.

Nel campo sanitario, dell’assistenza sociale e della protezione civile il pubblico fornisce il 63% del loro budget complessivo, circa 13,5 miliardi di euro. In tutti i campi il divario tra il Nord e il Sud Italia rimane profondo. Su una spesa sociale dei comuni di oltre 7 miliardi di euro, secondo gli ultimi dati disponibili, la spesa pro capite passa dai 282,5 euro nella Provincia autonoma di Trento ai 25,6 euro della Calabria. Complessivamente, il Sud presenta una spesa sociale per abitante di 50,3 euro, meno di un terzo dei 159,4 euro del Nord-Est. Inoltre, nel Mezzogiorno il peso dei trasferimenti statali rispetto alle risorse proprie dei comuni per il welfare locale è maggiore, così i tagli hanno avuto un impatto diretto sui servizi destinati al sociale.

“Welfare autogestito dalle famiglie”. Con queste parole lo studio del Censis ‘Salvare il sociale’, presentato oggi, definisce il sistema di “adattamento” e di “autoregolazione” delle famiglie italiane, che creano una rete di supporto informale per sopperire agli “ampi spazi di vuoto nella capacità di dare risposte ai bisogni crescenti della popolazione” lasciato dai soggetti, sia pubblici sia privati, incaricati di erogare servizi nel campo del sociale. L’autogestione, spiega il Censis, prevede il ritrovamento di ‘risorse’ all’interno della stessa famiglia (come i nonni o parenti più in generale) o all’esterno, attraverso il ricorso all’aiuto delle badanti. Del 59,4% delle famiglie italiane che nel 2012 hanno dichiarato di aver dato o ricevuto qualche aiuto informale, il 17,3% ha svolto l’attività di ‘tenere i bambini’ e il 9,4% l’ha ricevuta. Altro esempio di supporto informale è la ‘compagnia di persone sole o malate’, svolta dal 15,9% degli intervistati. Altre forme di supporto informale sono l’aiuto economico, nella spesa quotidiana e l’assistenza agli anziani. Un’altra soluzione diffusa è quella delle badanti. Ad oggi, secondo il Censis, sono 700 mila, in gran parte straniere, per una spesa media di 920 euro mensili che gli italiani dichiarano di pagare per questo servizio. Un dato sottostimato, è stato sottolineato, per la forte presenza di irregolarità. Il ruolo della badante incontra pareri ambivalenti: quasi l’80% degli italiani ritiene che abbiano “salvato una generazione di anziani”, ma oltre il 72% pensa che a causa di questo sistema la società italiana si senta “deresponsabilizzata rispetto all’assistenza ai non autosufficienti”.

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