Studiare è inutile, lo pensa uno studente su 3 in Europa

Uno studente su 3 in Europa non crede nell’utilità dei propri studi. È quanto rivela un’indagine demoscopia condotta da Deloitte e presentata oggi alla Camera dei deputati durante il ‘Deloitte strategy council 2015’. Secondo lo studio, un terzo dei ragazzi dell’Unione non si assumerebbe se fosse un imprenditore e non conferma una correlazione positiva scuola-felicità. […]

Uno studente su 3 in Europa non crede nell’utilità dei propri studi. È quanto rivela un’indagine demoscopia condotta da Deloitte e presentata oggi alla Camera dei deputati durante il ‘Deloitte strategy council 2015’. Secondo lo studio, un terzo dei ragazzi dell’Unione non si assumerebbe se fosse un imprenditore e non conferma una correlazione positiva scuola-felicità. Uno su 4 invece non sa cosa fare da grande e il 50% (contro il 32% in Italia) non saprebbe indicare i percorsi universitari con maggiori sbocchi occupazionali. A questo proposito, nel nostro Paese, non sono di grande aiuto i genitori: il 40% di loro infatti, non saprebbe suggerire ai figli quale indirizzo scegliere per avere maggiori opportunità occupazionali anche e soprattutto perchè solo un genitore su 5 conosce quali sono i lavori più richiesti ad oggi e per oltre un genitore su 3 (a livello europeo) gli insegnanti non sono più da considerarsi un’istituzione. In definitiva, la scuola è ancora importante per i ragazzi: secondo lo studio ben il 98% di loro lo considera un luogo utile per per la vita. Tuttavia non un ambiente ideale dove coltivare i propri sogni.

La qualità dell’istruzione è percepita come buona ma peggiorata nel tempo. Di chi le colpe? In primis delleinfrastrutture (per il 40% degli intervistati). Poi c’è il ‘rimpallo’ delle responsabilità. Gli insegnanti criticano il comportamento dei genitori verso di loro (il 62% degli intervistati); i genitori criticano la preparazione e la motivazione degli insegnanti (il 50%) e gli studenti (il 41%) lamentano la mancanza di partnership tra scuola e imprese (gli unici a porre l’accento su questo aspetto). E ancora i genitori contro gli insegnanti. Un terzo di essi non considera i docenti come un’istituzione. Tuttavia nè l’una, nè l’altra categoria sembra mettersi in discussione: i secondi, per l’83% in Italia (95% in Europa) sono soddisfatti del proprio lavoro e del rapporto con gli studenti, si sentono capaci nell’utilizzo delle tecnologie e sono convinti (per il 73%) di poter giocare un ruolo attivo nello sviluppo dei ragazzi. Infine l’aspetto economico. L’indagine Deloitte rivela che l’istruzione pesa sul bilancio di quasi 9 famiglie su 10 e non va meglio con le borse di studio: solo il 16% del campione interpellato dichiara di conoscerne l’esistenza e i meccanismi di funzionamento. Tutti elementi che mettono in luce “l’esigenza di cambiamento che la scuola deve raccogliere e che sta raccogliendo”, ha detto il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini durante il suo intervento al convegno. “Nel secolo passato- ha sottolineato- la scuola è stata impostata su alcune basi ‘rigide’, puntando molto sui licei e in particolare sul liceo classico, perchè le esigenze del tempo lo richiedevano. E i risultati si sono visti, soprattutto per quel che riguarda l’alfabetizzazione del popolo italiano dopo i dati preoccupanti fino agli anni 60. Oggi i tempi sono cambiati e gli elementi che dobbiamo introdurre per far recuperare fiducia al settore sono soprattutto tre: flessibilità, innovazione e trasparenza”. In sintesi, “dobbiamo creare una società in grado di abituarsi al cambiamento. Su questi aspetti- ha concluso il ministro- la legge 107 su ‘La Buona Scuola’ contiene elementi fondamentali come l’alternanza scuola-lavoro, come il portale ‘Scuola in chiaro’, come l’autovalutazione e, ovviamente, come il piano assunzionale che dà certezze e garanzie ai lavoratori”.

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