Una passeggiata nell’Aquila di fine Ottocento

Sfogliando le pagine di Days near Rome (letteralmente “giorni vicino Roma”) si ha l’opportunità di fare un viaggio in alcune aree dell’Italia centrale, non eccessivamente distanti dall’Urbe, guidati dalle impressioni di un viaggiatore inglese della seconda metà dell’Ottocento. Il viaggiatore in questione è Augustus J.C. Hare, dove “J.C.” sta per “John Cuthbert”, che intorno al 1874 si reca […]

Sfogliando le pagine di Days near Rome (letteralmente “giorni vicino Roma”) si ha l’opportunità di fare un viaggio in alcune aree dell’Italia centrale, non eccessivamente distanti dall’Urbe, guidati dalle impressioni di un viaggiatore inglese della seconda metà dell’Ottocento. Il viaggiatore in questione è Augustus J.C. Hare, dove “J.C.” sta per “John Cuthbert”, che intorno al 1874 si reca in viaggio a Roma e da lì muove verso numerose località di bassa Umbria, Lazio, Abruzzo interno, Campania settentrionale (con la visita a Monte Cassino, a quel tempo appartenente alla provincia casertana di Terra di Lavoro) e Toscana centrale e meridionale, visitando centri come Subiaco, Viterbo, Narni, Terni, Spoleto, Rieti e quindi L’Aquila, Sulmona e la regione peligna. Da sottolineare la parte dedicata ad Avezzano, e alla Marsica in generale, dove egli ha modo di vedere località che poco più di 40 anni dopo sarebbero state gravemente danneggiate o rase al suolo dal terremoto del 1915; particolarmente rilevante è un’illustrazione nella quale Hare riproduce il castello Orsini di Avezzano nell’integrità della sua struttura prima della distruzione del 1915.

Dalla Marsica il viaggio prosegue nella Ciociaria per poi toccare l’abbazia di Monte Cassino, anch’essa descritta prima della pressoché totale distruzione, dovuta in questo caso a un bombardamento aereo durante la Seconda Guerra Mondiale, e oggi ancora visibile grazie a un’attenta, provvidenziale e sensibile ricostruzione sulla base dell’aspetto precedente. Hare visita poi la regione pontina, all’epoca ancora terra di paludi, per proseguire lungo il litorale laziale e raggiungere le coste ‘etrusche’ della Toscana e la regione maremmana. Nel capitolo dedicato agli Abruzzi, di cui visita la provincia interna, ossia l’Abruzzo Ulteriore II, Hare ricorda che presto la regione sarebbe diventata più facilmente raggiungibile grazie alle nuova linea ferroviaria che si ramifica da Terni; proprio in quegli anni infatti era in corso di realizzazione la ferrovia Sulmona-L’Aquila- Rieti-Terni, iniziata nel 1875 e completata nel 1883. Al tempo del nostro viaggiatore, quindi, bisognava ancora ricorrere alla diligenza e l’autore consiglia di intraprendere questa escursione non prima del mese di aprile, per ragioni logistiche collegate alla neve invernale, ritenendo che il viaggio potrebbe essere ancor più piacevole se si svolgesse nel mese di ottobre. Hare aggiunge che le strade esistenti sono comunque buone, la qualità del cibo è accettabile, gli abitanti sono semplici e sufficientemente ospitali, gentili ed educati con i forestieri. Annota che gli Abruzzi non sono stati ancora travolti da “un’ondata” di Inglesi e Americani e i prezzi si mantengono quindi ad un livello accettabile. Infine, sempre per le ‘indicazioni di viaggio’, consiglia a chi si muove verso gli Abruzzi di farlo il più possibile sgombro da bagagli poiché sui carri e sulle diligenze vi è poco o nessuno spazio per sistemarli.

Dopo questa premessa, Hare passa a una breve descrizione amministrativa degli Abruzzi, precisamente dei ‘Tre Abruzzi’: «Gli Abruzzi sono formati da tre province. Abruzzo Ulteriore [Abruzzo Ulteriore I, ndr], le cui città principali sono Ascoli, Teramo e Civita di Penne; Abruzzo Ulteriore II, che include parte della Sabina, e comprende Civita Ducale, Aquila, Solmona e Avezzano; e l’Abruzzo Citeriore che include il territorio intorno a Chieti, Lanciano, e Vasto». Aggiunge quindi che nel suo viaggio si occuperà della seconda di queste tre province, ossia dell’Abruzzo Ulteriore II, coincidente con l’Abruzzo interno, «le cui montagne sono visibili da Roma». Il viaggiatore ricorda che la provincia è facilmente raggiungibile attraverso le colline sabine «al di sotto di Rieti»; vale a dire mediante la strada che ancora pochi decenni fa si percorreva da Roma per raggiungere l’Abruzzo interno dal lato aquilano (via Salaria e quindi SS 17 dell’Appennino abruzzese), prima che le autostrade abbreviassero le distanze e velocizzassero i collegamenti.

Dopo una doverosa introduzione su questo interessante diario di viaggio possiamo incamminarci seguendo Augustus J.C. Hare nella parte in cui descrive l’arrivo e la visita nella nostra città, denominata all’epoca Aquila degli Abruzzi. Hare giunge ad Aquila provenendo da Rieti e attraversando Cittaducale (all’epoca già negli Abruzzi), le Terme di Cotilia denominate «Bagni di Paterno», poi Antrodoco, danneggiata da un terremoto avvenuto pochi anni prima, e quindi, attraverso il tracciato dell’attuale Strada Statale 17, giunge in vista della nostra città. Questa è la sua prima descrizione: “[…] occupa un poggio che si innalza sulla piana, con le montagne tutto attorno. Sulla sinistra il Gran Sasso d’Italia con le sue due vette ricoperte di nevi perenni; sulla destra Rocca di Mezzo e, in fondo, il grande profilo della Majella”. È quella visuale che possiamo apprezzare anche adesso quando usciamo dalla stretta valle tra Sella di Corno e Vigliano e il paesaggio si apre mostrandoci in lontananza l’altura su cui sorge la città; il nostro viaggiatore, ovviamente, non avrebbe visto i quartieri sorti fuori le mura della città nella seconda metà del Novecento ma un paesaggio molto più rurale che in parte possiamo apprezzare ancora oggi nelle campagne tra Preturo e San Vittorino Amiterno e che tutti noi abbiamo il dovere di conservare e tutelare. Le falde di Monte Pettino, oggi urbanizzate, all’epoca dovevano apparire costellate di mandorli, vigne, casali e piccole case coloniche; questi fabbricati rurali li vediamo in parte anche adesso nelle vie del quartiere, alcuni mal tenuti altri gradevolmente restaurati, a testimonianza del passato agricolo di quell’area. Arrivato ad Aquila, «“la Roma degli Abruzzi”», il viaggiatore inglese alloggia nella LOCANDA DEL SOLE che descrive come «buona, ragionevole e pulita».

Da poche settimane possiamo di nuovo vedere l’insegna di questa locanda che campeggia su uno dei palazzi appena riscoperti in Piazza del Palazzo, all’angolo con via Teofilo Patini. I ponteggi da poco smontati hanno svelato il palazzo in tutta la sua rinnovata bellezza e sull’architrave del portale centrale è tornata visibile l’iscrizione a caratteri capitali “LOCANDA E TRATTORIA DEL SOLE”. L’autore dedica una parte alle sue considerazioni sulle caratteristiche climatiche di Aquila e sulla sua sismicità, strettamente legata al suo percorso storico. Hare espone anche le sue impressioni su quella che egli percepisce come una ‘spettralità poetica’ della città; tale sensazione era probabilmente dovuta al ridotto numero di abitanti dell’epoca rispetto all’estensione urbana e alle dimensioni di molti palazzi per cui diversi edifici e strade dovevano presentarsi pressoché disabitati e suggerire un’impressione di desolante abbandono: “Essa ha otto mesi di crudo inverno, e quattro mesi di estate rovente [con probabile riferimento soprattutto ai picchi estivi diurni; ndr] ed esplosiva di vita. Le sue rocce, il suo terreno, le sue chiese, vengono squarciate e incrinate da ricorrenti terremoti, ancora oggi spesso la natura fa improvvisamente rintoccare tutte le campane e suonare gli orologi, e crea nuove fenditure negli antichi muri ingialliti. Nelle strade, basse casette e notevoli palazzi stanno spesso l’uno accanto all’altro, e poche chiese restano intatte [nel senso di ‘non omogenee’ architettonicamente e stilisticamente, a causa delle diverse ricostruzioni o ristrutturazioni; ndr]. Tuttavia nonostante l’aspetto di desolazione di ogni cosa, c’è una sorta di spettrale poesia su Aquila, e vi sono molti che potranno trovare uno strano interesse, e sperimentare numerose nuove sensazioni, sui suoi monti fulvi, e fra i suoi edifici disabitati”.

Dopo aver manifestato le proprie sensazioni sulla città nel suo complesso, Augustus J.C. Hare si incammina in un itinerario, che oggi definiremmo turistico, attraverso alcune delle emergenze storico-artistiche aquilane. Un itinerario che ci guida in una passeggiata nel Capoluogo come si presentava intorno al 1874: non c’erano ancora i Portici, e da Piazza del Palazzo era possibile entrare nella chiesa di San Francesco, che sorgeva nello spazio oggi occupato dai Portici del Convitto Nazionale e della Biblioteca Provinciale; il Corso centrale si presentava più stretto nell’intero percorso, così come lo vediamo ancora adesso tra piazza Regina Margherita e i Quattro Cantoni. Ai Quattro Cantoni al posto del palazzo ‘ex INA’, che oggi ospita oggi il ‘Bar del Corso’, sorgevano i fabbricati delle “Case Fibbioni” caratterizzate da un poderoso cantone in bugnato visibile nelle foto d’epoca; le strade principali erano selciate con un robusto ‘basolato’ in pietra calcarea e non con i ‘cubetti’ in porfido odierni.

Per le strade Hare avrà incontrato quella varietà di personaggi, nobili, ecclesiastici, borghesi e popolani, di cui possiamo avere una piccola idea sempre da quelle prime foto d’epoca che oggi sono consultabili in tante pubblicazioni oppure in rete, ma anche da quelle che tante famiglie conservano in casa come eredità dei loro antenati. Nonostante alcune differenze dovute alle profonde trasformazioni subite dall’asse del Corso tra fine Ottocento e prima metà del Novecento, nel percorso del viaggiatore inglese riconosciamo tanti luoghi che sono familiari anche a noi oggi.

La passeggiata inizia dalla basilica di San Bernardino da Siena «raggiungibile dall’hotel [Locanda del Sole, n.d.r.] percorrendo via Principe Umberto e incrociando il Corso [ai Quattro Cantoni, n.d.r.]». La chiesa «si erge contro la neve, con una maestosa facciata (1525-1542) di Cola dell’Amatrice». All’interno Hare descrive il Mausoleo di San Bernardino da Siena «rivestito di rilievi opera di Silvestro Salviati (1505) [Silvestro dell’Aquila; n.d.r.]. Sulla sinistra dell’elevato altare» il Mausoleo di «Beatrice Camponi [Camponeschi, n.d.r.]: ella giace su un sarcofago riccamente decorato e con la sua bambina più in basso [si tratta del monumento funebre sul quale sono ritratte Maria Pereyra Camponeschi e sua figlia, la piccola Beatrice; ndr] . Nella seconda cappella sulla destra un’elegante ‘Assunzione’ di Luca Della Robbia» mentre «la seconda cappella a sinistra ha una mirabile grata in ferro battuto». Il viaggiatore cita anche il passo di un testo riportante una biografia di San Bernardino da Siena, nella quale vengono dedicate alcune righe alla descrizione del noto “Trigramma”: «In quasi tutte le rappresentazioni di San Bernardino, è presente una tavoletta con il monogramma del Salvatore contornato di raggi d’oro, essendo un espediente che egli aveva ideato in modo da poter essere venduto per il sostegno ai poveri da lui convinti ad abbandonare il gioco delle carte e dei dadi». Di nuovo all’esterno della Basilica, un cenno alla scenografica gradinata monumentale che all’epoca ospitava un mercato del bestiame (cattle-market of Aquila): «le capre si collocano nella parte più alta, le pecore e i bovini si sdraiano al sole sugli ampi gradoni inferiori».

Scendendo lungo la gradinata seguiamo il nostro viaggiatore che si avvia verso Collemaggio, non senza osservare la presenza di quelle che egli descrive come «cappelle della Via Crucis in rovina». Percorre via Fortebraccio lasciandosi a sinistra una «casa Gotica in rovina» per raggiungere la «porta di Collemaggio» la quale non dovrebbe essere altro che quella che noi chiamiamo “Porta Bazzano”. «A circa mezzo miglio fuori da questa porta, su di un poggio polveroso e ventoso c’è la bellissima chiesa di Santa Maria di Collemaggio». Il piazzale davanti alla basilica di Collemaggio all’epoca non si presentava con il bel prato che oggi ne valorizza la facciata ma, come si vede in molte immagini d’epoca, era un brullo avvallamento terroso, e in parte erboso, che con piogge e nevicate si trasformava probabilmente in un pantano. Come tutti coloro che visitavano e visitano la nostra città, Hare non poteva non soffermarsi sulla monumentale facciata della basilica di Santa Maria di Collemaggio «di marmo bianco intarsiato nel marmo rosso. Essa ha tre portali splendidamente lavorati e tre rosoni sopra di essi»; quando l’autore parla di “marmo” si riferisce alle pietre locali bianche e rosse che caratterizzano diversi esempi di architettura della nostra città. All’epoca, sulla facciata della Basilica erano installate delle grate in ferro che sono state poi rimosse e collocate presso la fontana delle “99 cannelle” come recinzione del piazzale: «Sopra i portali corre una bellissima balconata in ferro battuto […] Da qui, una volta all’anno, il Vescovo dell’Aquila legge la Bolla di Celestino V, con i benefici che essa concede alla città»; un cenno alla plurisecolare tradizione della Perdonanza. E prosegue: «In linea con la facciata sorge una poderosa torre campanaria»; ai tempi del nostro viaggiatore, infatti, la bella torre che fiancheggia il lato destro della facciata ospitava un campanile “di fortuna” realizzato sul terrazzamento della torre stessa, che fu demolito qualche anno dopo e sostituito dal campanile oggi visibile in fondo al fianco sinistro della Basilica. A testimonianza visiva di questa descrizione Hare arricchisce il suo diario con un’incisione raffigurante una veduta della Basilica in fondo al “piazzale”.

Entrando nella chiesa, Hare vede i suoi interni in veste barocca, così come si presentavano fino al restauro dei primi anni ’70 del XX secolo e di cui si può avere oggi un’idea anche grazie alle foto che testimoniano quella fase: «L’interno della chiesa fu distrutto dal terremoto del 1703 ed è stato rinnovato». Poi fa un riferimento alla serie di tele nota come “Ciclo di Ruther”, opera del monaco Karl Andreas Ruther di Danzica (Polonia), che Hare definisce invece «monaco fiammingo» forse con riferimento al linguaggio pittorico, specificando che fu «allievo di Rubens». Proseguendo la visita della Basilica, il viaggiatore osserva il pavimento nel quale «è inciso un certo numero di curiosi monumenti di Abati e Vescovi», ossia le lastre sepolcrali che ancora oggi sono visibili nella pavimentazione di Santa Maria di Collemaggio. Ricorda poi che «in questa chiesa l’eremita Celestino V fu incoronato Papa nel 1294» e cita un brano che racconta l’incoronazione e il breve pontificato di questo Papa. La basilica di Collemaggio, come noto a molti, ospita da secoli le spoglie di San Celestino V per le quali, all’inizio del XVI secolo, fu realizzato il monumentale mausoleo opera di Girolamo da Vicenza, collocato nell’abside destra della Basilica: «La tomba che contiene il corpo di Celestino, trafugato dalla cattedrale di Ferentino dopo la sua canonizzazione, è in fondo alla navata […]. Il suo teschio è conservato lì, assicurato da otto chiavi, quattro delle quali sono sotto la custodia delle autorità civili. Una volta all’anno viene esposto in pubblico. Sulla tempia sinistra c’è un foro quadrato che si dice sia stato provocato dal chiodo con cui venne ucciso». Proprio il nostro viaggiatore, nel capitolo in cui descrive la sua visita a Fumone, nel cui castello fu imprigionato e morì Celestino V, ricorda quando le spoglie di quel Papa ed eremita furono prelevate per essere condotte ad Aquila: «Il suo corpo divenne causa di un’accanita contesa, e di un pio reato. Fu trafugato dalla sua sepoltura a Ferentino e trasportato ad Aquila. Un’insurrezione del popolo di Ferentino fu faticosamente placata dal Vescovo con la rassicurazione, dopo la ricognizione della tomba, che il cuore del Santo era stato lasciato».

Dopo la visita delle due grandi Basiliche, seguiamo il nostro viaggiatore che prosegue il suo giro in città interessandosi anche ad altre chiese e monumenti, a volte meno noti ma non meno belli e interessanti, e che egli stesso definisce «degni di visita». Percorriamo quindi «la strada rialzata [il terrapieno del Viale di Collemaggio; ndr] che da Collemaggio conduce alla porta che va verso Sulmona [Porta Napoli; ndr], non lontano dalla quale sorge San Marco, con un elegante portale Lombardo. A poca distanza c’è San Marciano, anch’essa con un portale degno di nota. Tra quest’ultima e Porta Romana c’è San Domenico, una grande e semplice chiesa gotica con due ammirevoli portali; e, vicino ad essa, la piana ma pittoresca facciata di San Pietro di Sassa [San Quinziano, oggi nota ai più come San Biagio; ndr]». Esattamente lo stesso fondale scenico che possiamo ammirare oggi uscendo da piazza Angioina e percorrendo via delle Carceri verso via Buccio di Ranallo.

La “Porta Romana” di cui parla il viaggiatore era “Porta Sant’Antonio”, la barriera daziaria alla base di Via Roma al di sopra della Porta di Barete. Nel corso della sua passeggiata, Hare non manca di osservare le architetture civili nei dintorni di San Domenico e in particolare in via Romana, delle quali nota le «fronti gotiche» con le caratteristiche finestre che, ci dice, «in Spagna si chiamerebbero Ajimez». Osserva però anche il cattivo stato di conservazione di molte di queste facciate che descrive a rischio distruzione in mancanza di interventi di recupero. Una breve parentesi: quando Hare si muove lungo via Roma e dintorni non trova ancora il ‘taglio’ di Viale Duca degli Abruzzi; il Quarto di San Pietro, a partire dalla piazza omonima e fin giù a Porta Sant’Antonio era un unico reticolo di strade senza soluzione di continuità. Quel reticolo medievale fortunatamente esiste anche oggi ma il Viale che lo attraversa in linea trasversale ci dà la percezione di una via Roma divisa a metà, tra una parte alta più centrale, e una parte bassa più marginale.

Tra i conventi e gli altri edifici monumentali attorno a Via Roma, Hare, ci parla di una chiesa che lo incuriosisce perché una parte di essa è diventata un orto: è l’antica chiesa di San Nicola d’Anza, non distante dall’odierno Istituto Salesiano, una delle più antiche della città; questa chiesa oggi versa da troppo tempo in abbandono e rischia la distruzione in mancanza di un necessario e urgente intervento di recupero. Ai tempi del nostro viaggiatore essa si presentava con la navata centrale abbandonata dopo il terremoto del 1703 e diventata un orto mentre il transetto era diventato prima la nuova chiesa e poi, seppur sconsacrato, aveva continuato ad essere utilizzato per altre attività. Nella seconda metà del Novecento, con la costruzione di alcuni condomini in quell’area, i muri della navata che cingevano l’orto furono demoliti e uno dei fabbricati sorse nello spazio dell’orto stesso; si conserva invece il transetto, ora bisognoso di restauro. «A sinistra di Porta Romana, tra questa e il Corso, c’è San Nicolò d’Anza, splendidamente situata, con un portale molto caratteristico che conduce al suo piccolo giardino». Il portale di cui parla il viaggiatore, che lo ritrae anche in una stampa, è stato recuperato prima della costruzione delle palazzine e ricollocato successivamente in una chiesa appena fuori Antrodoco.

Vicino San Nicolò d’Anza, risalendo via Porcinari (oggi in parte denominata viale San Giovanni Bosco) «in una piazza, c’è San Silvestro, con uno splendido rosone. All’interno del portale occidentale vi sono due dipinti di validi maestri umbri, uno raffigurante la Vergine e il Bambino in trono con Santi, l’altro il Battesimo di Costantino». Quando il viaggiatore inglese visita la nostra città, anche San Silvestro, come la basilica di Collemaggio, si presentava in veste architettonica barocca, derivata dagli interventi settecenteschi, poi rimossa nella seconda metà del Novecento. Non sappiamo in quale orario il viaggiatore sia passato davanti a San Silvestro, ma se fosse passato nel pomeriggio inoltrato avrebbe potuto apprezzare lo spettacolo della facciata che dal giallo paglierino vira verso il rosa, suggestivo effetto comune anche ad altre facciate delle nostre chiese. Da San Silvestro, il nostro viaggiatore raggiunge la chiesa Capoquarto di Santa Maria Paganica della quale nota subito la «maestosa facciata occidentale, con un ricco portale, raggiungibile da una rampa di scale: all’esterno vi sono tombe con figure adagiate». Il cammino prosegue probabilmente lungo via Paganica per raggiungere Piazza del Palazzo, dove, vicino alla locanda in cui alloggia, «sorge l’alta torre adornata da un’aquila», testimonianza del «Palazzo di Margherita d’Austria, figlia naturale di Carlo V, e vedova di Ottavio Farnese, che fu governatore della provincia».

Una visita ad Aquila non può non passare per il Castello e per la fontana delle “99 cannelle”, che il nostro visitatore così ci descrive: «All’estremità superiore del Corso c’è uno spazio aperto oltre il quale c’è la Cittadella, fabbricata nel 1543 sul sito del palazzo di Federico [sic!]. I suoi muri poderosi sono difesi da un ampio fossato. Dai suoi bastioni c’è una grandiosa veduta dei monti, specialmente del Gran Sasso d’Italia». Anche del Forte cinquecentesco Hare realizza una stampa che arricchisce il suo diario. Il percorso, come già anticipato, raggiunge infine Borgo Rivera: «La grande fontana, detta La Riviera, è molto particolare e risale al 1272. E’ un cortile quadrangolare circondato da 99 piccole fontane, a ricordo delle diverse comunità che si unirono a costituire la città». Quando Hare giunge alle 99 cannelle, la piazza era probabilmente molto simile al bellissimo scorcio che si vede anche oggi delimitato dalla chiesa di San Vito, da Porta Rivera e dalla Fontana, ma senza la cancellata odierna che, come abbiamo “visto” nella visita a Collemaggio, era ancora collocata sulla facciata della Basilica. La tappa a Borgo Rivera conclude degnamente la visita in città del nostro viaggiatore che, a bordo di una diligenza, si avvia verso Popoli per continuare il suo viaggio “nei dintorni di Roma”.

Mauro Rosati

Archeoclub d’Italia – Sede L’Aquila

Una risposta a “Una passeggiata nell’Aquila di fine Ottocento”

  1. […] Una passeggiata nell’Aquila di fine Ottocento […]

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