Iniziativa tricolore Ingv per commemorare i 150 anni della Unità d’Italia

“La scienza aumenta quando la si distribuisce”(Guglielmo di Champaux, XII Secolo). Nel 150° anniversario dell’Unità d’Italia, ventisei mesi dopo il catastrofico sisma di L’Aquila (Mw=6.3; 309 morti) possiamo affermare con assoluta certezza di vivere in città, paesi e villaggi sicuri, a prova di terremoto, ossia di accelerazioni uguali o superiori a quelle aquilane del 6 […]

La scienza aumenta quando la si distribuisce”(Guglielmo di Champaux, XII Secolo). Nel 150° anniversario dell’Unità d’Italia, ventisei mesi dopo il catastrofico sisma di L’Aquila (Mw=6.3; 309 morti) possiamo affermare con assoluta certezza di vivere in città, paesi e villaggi sicuri, a prova di terremoto, ossia di accelerazioni uguali o superiori a quelle aquilane del 6 aprile 2009? La storia del nostro Paese in questi primi 150 anni di unità amministrativa e politica, è stata segnata da tragedie incalcolabili: siamo stati colpiti da oltre 170 terremoti forti o distruttivi. Di questi, 12 sismi hanno causato le maggiori vittime e i danni più gravi come evidenziano i ricercatori Ingv in questo video: www.youtube.com/INGVterremoti#p/u/0/iZwEv9P_djg. Il Laboratorio di cartografia digitale e sistemi informativi geografici della Sede Irpinia dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia ha voluto ricordare i 150 anni di storia sismica italiana con la realizzazione di una mappa commemorativa. Il terremoto del 1908 a Messina e Reggio Calabria è stato il più forte di questi ultimi 150 anni con la distruzione quasi totale delle due città che si affacciano sullo Stretto, mentre il più recente terremoto, quello avvenuto a L’Aquila in Abruzzo il 6 aprile 2009, è sempre più sotto osservazione da parte degli scienziati di tutto il mondo. La mappa è a cura di Raffaele Moschillo, Maurizio Pignone, Concetta Nostro. La memoria è la nostra prima arma di autodifesa dall’Hiroshima culturale che preannuncia future tragedie. Il 16 dicembre 1857 un terremoto di magnitudo 7 devastò la Basilicata. Montemurro, il centro più colpito dal sisma venne completamente raso al suolo, i morti furono quasi 5mila su una popolazione di 7500 persone. Vennero cancellate le testimonianze storiche del passato. All’epoca la Royal Society of London, per studiare gli effetti del terremoto, organizzò una spedizione scientifica guidata dall’ingegnere irlandese Robert Mallet. I suoi studi furono molto importanti ma riuscirono davvero a convincere i governanti sulla reale strategia antisismica da adottare nelle costruzioni? L’11 maggio 2011 è considerato da molti “profeti” come il giorno in cui a Roma dovrebbe scatenarsi un devastante terremoto, sulla base della pessima interpretazione delle teorie di Raffaele Bendandi (1893-1979), celebre ricercatore privato del Novecento che amava la divulgazione scientifica. I ricercatori Ingv cercano di rassicurare i cittadini. Hanno diramato anche un loro contributo:http://portale.ingv.it/portale_ingv/primo-piano/archivio-primo-piano/notizie-2011/terremoto-a-roma-l201911-maggio-2011/view. Ma il veloce tam-tam su Internet ha già amplificato all’inverosimile la leggenda metropolitana, oscurando la verità su Bendandi e sulla scienza (http://www.youtube.com/INGVterremoti#p/u/0/KslHsZKGaqM). Eppure non esiste un solo documento ufficiale che attesti la volontà di Bendandi di prevedere la prossima catastrofe romana. Non c’è alcuna relazione tra i devastanti terremoti di Messina il 28 dicembre 1908 (M=7), di Avezzano il 13 gennaio 1915 (M=6.7), del Friuli il 6 maggio 1976 (M=6.5), dell’Irpinia il 23 novembre 1980 (M=6.9), di L’Aquila il 6 aprile 2009 (Mw=6.3) e la configurazione dei pianeti del nostro Sistema Solare. Non vi furono allineamenti particolari o eccezionali. L’attuale configurazione geometrica celeste, sebbene impressionante, nulla toglie alla bellezza dell’allineamento dei pianeti Giove, Saturno, Marte e Venere con Terra. Ma nulla aggiunge in termini “profetici” perché nulla di sconvolgente, rassicurano i ricercatori, potrà mai accadere! Fino a prova contraria puramente stocastica. Non governiamo il caso, l’alea. Gli effetti gravitazionali prodotti dai pianeti sulla Terra sono irrisori rispetto a quelli mareali della Luna e del Sole. Lo provano due esperimenti di capitale importanza (Gigs e UnderSeis) ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Infn, sotto la montagna: i dati sono pubblici. All’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia assicurano che “l’11 maggio in Italia avverranno probabilmente circa 30 terremoti: questo, infatti, è il numero medio di eventi sismici che vengono rilevati quotidianamente nel nostro Paese”. I sismologi dell’Ingv invitano i giornalisti a discuterne lunedì 9 maggio 2011 alle ore 12 presso la sede dell’Istituto “per trasformare questa occasione in una giornata di informazione sismica”. Durante l’incontro i sismologi illustreranno la dimensione del problema dei terremoti in Italia e nel mondo, come possiamo difenderci e qual è il contributo della ricerca nella mitigazione del rischio sismico. In questa occasione verrà anche presentato alla stampa l’Open Day Ingv dell’11 maggio 2011, che prevede incontri con i ricercatori, visita alla sala di monitoraggio H24, esposizione interattiva sui terremoti, proiezione di video. Con questa iniziativa si vuole rispondere all’esigenza di una maggiore informazione e consapevolezza su tutti i temi legati alla conoscenza del nostro pianeta, coinvolgendo il mondo scientifico e dei media in una corretta, semplice ed efficace comunicazione delle proprie ricerche e dei metodi più innovativi. Con l’obiettivo comune di incuriosire, interessare ed emozionare i cittadini, allo scopo di dimostrare come la ricerca sia un patrimonio di tutti, in un mondo che chiede a tutti di essere sempre più informati e in grado di prendere decisioni cruciali anche su temi scientifici e tecnologici. Conoscere è l’unico mezzo che abbiamo per avere meno timori, per sapere scegliere e per poter pretendere da chi di dovere le giuste soluzioni. La sede dell’Ingv in via di Vigna Murata 605 a Roma, sarà aperta per tutti dalle 10 alle 20 di mercoledì 11 maggio. In ricordo di Giuseppe Negri un geologo scrittore vittima dello tsunami tailandese che colpì l’Oceano Indiano il 26 dicembre del 2004. Giuseppe Negri, 72 anni, geologo, scrittore, esploratore, era in vacanza con la sua compagna, Aline Sannazzaro, nell’isola di Phuket, Thailandia, dove fu investito dal maremoto. Una scena vera che forse ha ispirato la sequenza iniziale del capolavoro “Here after” di Clint Eastwood. Aline, investita anch’essa dall’onda, si salvò. Nato a Carate Brianza nel 1932, a 24 anni parte come geologo per il Canada, dove lavora nella miniera di uranio della Denison Mines. Negli anni successivi guida una missione che va alla ricerca di diamanti alluvionali nella giungla amazzonica, poi parte come capo spedizione per il circolo polare artico, per conto della «Labrador exploration company». Ma i suoi interessi non si limitano alla geologia. Il suo temperamento eccentrico e anticonformista lo conduce ad “esplorazioni” impreviste dalla sua carriera di geologo, che come consulente l’aveva impegnato in grandi costruzioni idroelettriche e industriali: il progetto del Mantaro in Perù, del Dez in Iran, del Cixoi in Guatemala. Da questi studi nacque il suo libro:“Il risveglio del gigante. Viaggio al di là del subconscio”(Bietti, 2001). È importante ricordare che negli ultimi due decenni i terremoti hanno causato più di 500mila morti nel mondo e molti scienziati credono che il primo catastrofico terremoto da 1 milione di morti si avvicini sempre di più se non si affronta il problema con le tre parole chiave che la comunità scientifica porta avanti da anni: Conoscenza, Prevenzione, Educazione. Difendersi dai terremoti si può. E se il prossimo grande terremoto in Italia sarà catastrofico come quello di Haiti, che ha causato oltre 220mila vittime, o come quello del New Mexico, che ne ha causate 2, pur avendo magnitudo confrontabili (7,0 e 7,2), molto dipende dalle scelte politiche che si fanno oggi.

Si moltiplicano le iniziative messe in campo dagli scienziati Ingv. Interessante è l’applicazione che si può scaricare all’indirizzo: http://itunes.apple.com/us/app/INGVterremoti/id424180958?mt=8#. Un valido strumento scientifico e divulgativo che mostra i dati relativi ai terremoti più recenti comunicati dall’Ingv; i terremoti degli ultimi 15 giorni, ordinati per data, magnitudo e localizzazione; i risultati di ricerche personalizzate organizzate in: terremoti degli ultimi 30 giorni o in un intervallo di tempo selezionato; terremoti più vicini alla vostra posizione; terremoti più vicini ad una specifica città; terremoti con magnitudo all’interno di un intervallo selezionato. Si può inoltre visualizzare la mappa di pericolosità sismica dell’Italia e zoommare su ogni singola regione. Novità giungono anche dall’European Geoscience Union (Egu Spring Meeting 2011 di Vienna): Sergio Vinciguerra per la segreteria scientifica e Angelo De Santis in qualità di vicepresidente, sono i due studiosi dell’Ingv nominati dall’Egu per il nuovo panel della divisione Earth Magnetism e Rock Physics. Mike Burton presenzia come segretario della divisione vulcanologia (Geochimica, Mineralogia, Petrologia, Vulcanologia).

Ma l’impegno divulgativo dell’Ingv spazia anche sulle dinamiche del Mediterraneo grazie a un documentario finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica nell’ambito del Progetto “Terra Dinamica”. L’excursus divulgativo in 53 minuti filmano un mosaico di luoghi e studi passati e recenti sul Mar Mediterraneo, diretto da Marco Anzidei, studioso in geodesia dell’Ingv. Un film per narrare la storia del Mar Mediterraneo e per capire come proteggerci dai suoi rischi naturali: 22500 km di costa, 4000 km di lunghezza da Gibilterra alle Coste del Levante, 22.500.000 chilometri quadri pari all’1% dei Mari della Terra. Il suo abisso tocca i 5093 metri e ogni litro della sua acqua contiene 38 grammi di sale. La sua temperatura non scende sotto i 10° Celsius mitigando il clima delle coste e le sue maree non superano i 55 cm tranne che a Venezia e nel Golfo di Gabes (Tunisia). Oggi il Mar Mediterraneo caratterizza l’aspetto sociale di circa 30 milioni di persone che vivono lungo le sue sponde, alla ricerca di democrazia, giustizia, pace e libertà. Nel video si offre anche il ritratto dell’evoluzione storica delle coste dell’estremo oriente fino ai nostri giorni. Diverse le interviste agli esperti tra i quali figura il grande scienziato Kurt Lambeck, presidente dell’Accademia di Scienze australiana e all’accademico linceo Enzo Boschi, presidente dell’Ingv. Con i riferimenti biblici sul diluvio universale citando William Ryan e Walter Pitman gli autori del libro “Il Diluvio”, la teoria secondo la quale tutto iniziò 7500 anni fa, quando le acque del Mediterraneo, salendo di livello, superarono la barriera che lo separava dal mar Nero (già vasto lago continentale di acqua dolce), inondandolo. Ne conseguì che questo si unì al Mediterraneo attraverso il Bosforo (Turchia). Diversi i riferimenti ad illustri insigni della scienza come Leonardo Da Vinci e il suo pensiero sui filosofi del IV-V secolo avanti Cristo sul ritrovamento di conchiglie sulle montagne greche di Atene e un accenno al più recente cartografo ed esploratore William Henry Smith (1854) che a soli diciassette anni, quando entra a far parte della Marina Britannica, ha già navigato sugli oceani Indiano e Pacifico.

In pochi mesi l’Ingv ha letteralmente preso possesso, con articoli scientifici, della prestigiosa rivista internazionale Nature, un segnale davvero incoraggiante per la ricerca italiana. Un articolo dal titolo:“Fault lubrication during earthquakes” spiega i risultati dei processi che accompagnano la frattura delle rocce allo scatenarsi di un grande terremoto. L’articolo è a firma di Giulio Di Toro, Rachee Han, Takehiro Hirose, Nicola De Paola, Stefan Nielsen, Kazuo Mizoguchi, Fabio Ferri, Massimo Cocco and Toshihko Shimamoto. Il progetto è finanziato dall’European Research Council (ERC). Gli studiosi da qualche tempo si stanno dedicando a originali esperimenti di laboratorio di sismologia sperimentale nel corso dei quali, delle particolari macchine che potremmo descrivere come grandi torni, sottopongono vari tipi di campioni di rocce a condizioni di stress simili a quelle che si verificano prima e durante un terremoto. I risultati di oltre trecento  esperimenti di questo tipo hanno portato a un importante risultato. Contrariamente a quanto si potrebbe credere, lungo il piano di scorrimento di una faglia sismica, cioè di quella frattura della roccia che si mette in movimento provocando la scossa di terremoto, non c’è un forte attrito, ma al contrario, una naturale lubrificazione e quindi un più facile scorrimento. Il geologo Giulio Di Toro, dell’Università di Padova e ricercatore associato all’Ingv, responsabile del progetto ERC, rivela che “durante lo scorrimento si verifica l’interazione e il riscaldamento di due blocchi di roccia e questo fa sì che si verifichino tutta una serie di processi che vanno dalle reazioni chimiche alla fusione stessa della roccia. Questo fenomeno lubrifica la superficie di faglia. In natura esistono però svariatissimi tipi di rocce e la lubrificazione non avviene sempre allo stesso modo. I processi che stanno dietro alla lubrificazione sono i più disparati e alcuni sono più facili da studiare e li abbiamo compresi, per altri invece siamo proprio all’inizio e c’è molto lavoro davanti. Ad esempio nelle rocce coesive, cioè molto dure come il granito, la lubrificazione della faglia avviene per fusione della roccia: è un fenomeno visibile e comprensibile agli occhi dello scienziato. Ma i processi di lubrificazione che avvengono nelle argille, cioè in un materiale sciolto, sono differenti e non li abbiamo ancora compresi. Comunque, dagli esperimenti, si vede che c’è un abbassamento dell’attrito fra i due lembi della faglia, fenomeno che fino ad alcuni anni fa era impensabile”. Le conseguenze di questi studi sulla genesi dei terremoti e sui loro effetti, non sono ancora ben chiare: un atto di profonda umiltà intellettuale. “Noi della fisica dei terremoti conosciamo pochissimo: le informazioni che possediamo, le possiamo chiamare di tipo indiretto, cioè vengono dalla registrazione delle onde sismiche. Attraverso lo studio delle onde sismiche siamo in grado di quantificare la magnitudo, cioè quanta energia ha rilasciato un terremoto, oppure in che direzione si è propagata la rottura sismica lungo la faglia, da nord verso sud per esempio. La sismologia è uno strumento potentissimo per lo studio dei terremoti, però non è in grado di dire cosa avviene quando vengono emesse le onde e quindi ci manca qualcosa di fondamentale per comprendere la fisica dei terremoti. Bisogna quindi partire da un approccio di tipo sperimentale medianti esperimenti che riproducono le condizioni di deformazione della sorgente di un terremoto. Inoltre, questo tipo di studio forse un giorno ci consentirà di prevedere i terremoti, misurando in laboratorio dei segnali “precursori” che precedono la catastrofe”. Questa scoperta potrebbe avere implicazioni sulla movimentazione di fluidi profondi in operazioni di estrazione o di pompaggio? Le attività umane potrebbero indurre artificialmente dei terremoti? “I risultati scientifici che abbiamo raggiunto riguardano come avviene la lubrificazione sulla faglia durante un terremoto e non gli effetti di un eventuale pompaggio di anidride carbonica o di acqua nel sottosuolo prima del terremoto. Tuttavia, nei prossimi anni, ci proponiamo di studiare anche questi fenomeni. Infatti la macchina istallata presso l’Ingv è attrezzata con congegni  per riprodurre l’ingresso di fluidi dall’esterno di una faglia e quindi per studiare anche gli effetti indotti dall’attività umana. E questo perché non ci vogliamo limitare allo studio di quel che avviene durante il terremoto, ma estendere le nostre ricerche ai fenomeni che precedono il terremoto”.

Prendete un po’ di tecnologia di telerilevamento da satellite, un po’ di nuovi algoritmi matematici, e otterrete la ricetta per capire meglio le cause e gli effetti di un terremoto sulla crosta terrestre. L’hanno preparata due ricercatori dell’Ingv, l’Ing. Simone Atzori e il fisico Andrea Antonioli, e illustrata in un articolo pubblicato sulla rivista Geophysical Journal International. Applicando tecniche come l’interferometria differenziale radar dello spazio (DInSAR) e misure geodetiche effettuate con il GPS, si può arrivare a stimare deformazioni del terreno dell’ordine dei millimetri. Da anni è nota la possibilità di ricostruire i movimenti di una faglia tramite deformazioni subite dalla superficie terrestre circostante durante e dopo un terremoto, individuando così la sorgente delle onde sismiche e la sua cinematica. Ora i due ricercatori dell’Ingv hanno sviluppato una procedura matematica originale, che permette di migliorare ulteriormente la risoluzione e di arrivare a una più dettagliata descrizione della geometria della faglia e dei suoi movimenti. Evidentissima è l’utilità di avere un quadro dettagliato delle deformazioni della crosta terrestre durante e dopo un terremoto. “L’algoritmo che viene proposto serve a definire qual è il massimo dettaglio che si può ottenere interpretando i dati da geodesia satellitare. Una descrizione più realistica di ciò che accade sul piano di una faglia che ha generato un terremoto è un passo avanti per una corretta comprensione del fenomeno e delle sue conseguenze. Il livello di accuratezza con cui si riesce a descrivere dove e come una faglia si è mossa, è fondamentale, ad esempio, per sapere come altre faglie vicine possono essersi “caricate” aumentando la possibilità di eventi successivi. Ma questo algoritmo non è necessariamente utilizzabile solo in caso di crisi sismiche: in fase di definizione della posizione delle stazioni della rete Gps sarà possibile tener conto delle informazioni che il nostro algoritmo può fornire per sapere a che livello di dettaglio si riescono a controllare le strutture sulle quali si ritiene possano verificarsi terremoti in futuro e conseguentemente si potrà rimodulare la geometria dei ricevitori per migliorare le informazioni che più ci interessano”. Dunque è possibile migliorare la risoluzione di un’immagine senza intervenire sui sensori dei satelliti. “Le informazioni che giungono da satellite restano invariate, l’uso che se ne fa è diverso. Il satellite radar vede solo quello che succede in superficie (in questo caso quanto si è deformata la terra dopo un terremoto) e noi usiamo queste informazioni per dedurre cos’è successo all’interno della crosta, dove non disponiamo di osservazioni dirette. E’ su quest’ultimo passaggio che interviene il nostro lavoro, permettendo di dire qual è il livello massimo di dettaglio che possiamo ottenere dai nostri dati. Ad esempio ciò che accade in zone superficiali della faglia è descrivibile con un dettaglio maggiore di ciò che accade in profondità; aree con diverse densità di informazioni portano a livelli di dettaglio differenti; dati da satellite radar e da stazioni Gps hanno capacità risolutive diverse. Sono tutte considerazioni qualitativamente semplici: noi le abbiamo tradotte in termini matematici”.

Queste analisi consentono di studiare meglio anche il terremoto di L’Aquila. “Questo algoritmo si può applicare a qualsiasi terremoto nel mondo purché siano disponibili dati di geodesia satellitare che quantifichino le deformazioni da esso indotte sulla superficie terrestre. Questo è probabilmente il suo punto di forza. Nel lavoro pubblicato viene usato come caso di studio il terremoto di L’Aquila perché è quello per il quale abbiamo la più grande quantità di dati geodetici; avremmo potuto sceglierne qualsiasi altro. Quello che proponiamo per questo evento è una nuova distribuzione della dislocazione sul piano di faglia; essa differisce un po’ da quelle presentate in passato, con tutto quello che ne consegue: una diversa redistribuzione degli sforzi sulle faglie vicine, e nuove considerazioni sul meccanismo della rottura. Ma ci teniamo a sottolineare che la forza di questo lavoro è più nella metodologia presentata che contiamo di applicare sempre d’ora in poi”.

Interessante è anche lo studio dei risultati sul terremoto di Christchurch (capitale dell’Isola del sud della Nuova Zelanda) dello scorso febbraio. La “manna” per l’Ingv e la comunità scientifica internazionale arriva letteralmente dal cielo grazie a un sistema di osservazione spaziale per la gestione del rischio sismico. Attraverso un Progetto made in Italy chiamato SIGRIS, finanziato dall’Agenzia Spaziale italiana, grazie al coordinamento scientifico dell’Ingv, le immagini della costellazione di quattro satelliti italiani Cosmo-SkyMed sono state utilizzate per individuare la sorgente del devastante sisma neozelandese. Il terremoto di magnitudo 6,3 che ha causato 181 vittime e centinaia di feriti, secondo gli studiosi dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), ha generato una consistente deformazione permanente del terreno in una vasta area intorno a Christchurch. A Nord della faglia, che non era nota alla comunità sismologica internazionale, il terreno si è spostato di diversi centimetri verso Nord-Est, mentre a Sud della faglia si è sollevato e spostato verso Sud-Ovest. Nel report tecnico si parla di uno spostamento totale di parecchi decine di centimetri  lungo la linea di vista del satellite. Due giorni dopo l’evento, gli scienziati sapevano già come erano andate le cose. “I risultati più importanti – spiega Stefano Salvisono stati l’individuazione della faglia che ha causato il terremoto, che purtroppo non era conosciuta in precedenza, e la rapidità con cui è stato prodotto il modello. Questo è stato possibile grazie ai dati COSMO-SkyMed, e in particolare grazie al fatto che i satelliti, dietro nostra indicazione, stavano monitorando l’area di Christchurch a partire dal settembre scorso, quando un terremoto ancora più forte avvenne solo 30 km più a Ovest”. Quindi utilizzando le moderne tecnologie di analisi dei dati provenienti dallo spazio, attraverso due immagini satellitari, i ricercatori hanno potuto produrre un modello preliminare di inversione della faglia sismica. “L’utilizzo di immagini satellitari per il monitoraggio delle faglie sismiche e dei terremoti consente di ottenere dati di movimenti del suolo con precisioni di pochi millimetri su grandi estensioni di territorio, in modo economico e rapido. È un metodo altamente efficace per supportare non solo la misura e l’analisi delle conseguenze dei terremoti, ma anche la valutazione della pericolosità sismica di un’area. SIGRIS è il primo sistema di monitoraggio a livello mondiale basato sui dati satellitari, per generare prodotti informativi di impiego immediato durante le emergenze sismiche e nelle valutazioni di pericolosità. Utilizzando i dati radar della costellazione COSMO-SkyMed ma anche dati di altri satelliti ottici con risoluzioni al suolo fino a 50 cm, possiamo generare questi prodotti per qualsiasi zona del mondo in tempi rapidissimi”. SIGRIS è stato sviluppato sotto finanziamento dell’Agenzia Spaziale Italiana che in un impegno decennale pari a 7 miliardi di contributo della Pubblica amministrazione, ha destinato il 33% all’osservazione terrestre della Terra. Al di là delle sue previsioni dei terremoti, anche il dibattito nato attorno a Bendandi tiene viva l’attenzione dei cittadini verso un fenomeno naturale rispetto al quale possiamo difenderci, non già con la previsione – che rimane una questione squisitamente scientifica – ma con la prevenzione, fatta di una corretta informazione e degli opportuni accorgimenti possibili per costruire o restaurare le case in cui viviamo, evitando così che in Italia si continui a morire per terremoti, mentre si parla di prevederli. L’intento di queste iniziative e ricerche dell’Ingv è quello di fare il punto della situazione su quanto è stato realizzato e quanto ancora c’è da fare in Italia per promuovere la cultura auto-protettiva fra i cittadini. Oggi possiamo, vogliamo e dobbiamo pretendere, con assoluta fermezza, di non voler più morire di terremoti o maremoti! Dipende da ciascuno di noi.

Nicola Facciolini

 

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