Ave Mary (ritrovata)

Dopo il  Campiello 2010 per il romanzo Accabadora, Michela Murgia scrive un saggio, da lei definito “pampleth storico-teoligoco”,  per Einaudi, dal titolo molto esplicito: “Ave Mary. E la Chiesa inventò la donna”, concepito  con sguardo critico ma non impietosamente giudicante, che evidenzia deficit e ritardi nella valorizzazione femminile in “casa cattolica”, raccontando di aver “patito […]

Dopo il  Campiello 2010 per il romanzo Accabadora, Michela Murgia scrive un saggio, da lei definito “pampleth storico-teoligoco”,  per Einaudi, dal titolo molto esplicito: “Ave Mary. E la Chiesa inventò la donna”, concepito  con sguardo critico ma non impietosamente giudicante, che evidenzia deficit e ritardi nella valorizzazione femminile in “casa cattolica”, raccontando di aver “patito spesso rappresentazioni limitate e fuorvianti di me come donna, il più delle volte contrabbandate attraverso altrettante povere interpretazioni della complessa figura di Maria di Nazareth”. La chiesa è ancora oggi, in Italia, il fattore decisivo nella costruzione dell’immagine della donna. Partendo sempre da casi concreti, citando parabole del Vangelo e pubblicità televisive, icone sacre e icone fashion, encicliche e titoli di giornali femminili, questo libro dimostra che la formazione cattolica di base continua a legittimare la gerarchia tra i sessi, anche in ambiti apparentemente distanti dalla matrice religiosa. Anche tra chi credente non è. Con la consapevolezza delle antiche ferite femminili e la competenza della persona di fede, ma senza mai pretendere di dare facili risposte, Michela Murgia riesce nell’impresa di svelare la trama invisibile che ci lega, credenti e non credenti, nella stessa mistificazione dei rapporti tra uomo e donna. Questo libro, in fondo, riguarda la donna, il suo ruolo, la sua figura, la sua immagine oggi, grazie anche alla cultura cristiana, “stereotipata”, che costringe le donne a identificare la propria realizzazione in un’unica direzione estetica, quasi sempre irraggiungibile. Uno stereotipo che impone una bellezza unidimensionalmente legata alla magrezza deriva dal fatto che “la maggior parte delle donne non è magra, e quindi per entrare in questo modello estetico muoverà un indotto impressionante, dalle palestre alla cosmesi, dalla chirurgia estetica all’alimentazione light”. In tutte le sue rappresentazioni iconografica –sottolinea la scrittrice – Maria è sempre giovane e bella, ma il suo è sempre un modello; anche Maria come Cristo è morta, ma nelle raffigurazioni dell’assunzione è sempre viva, sembra non essere mai invecchiata. Se Maria fosse morta a 55 anni dove sono le sue immagini? Cosa vuole indicare questa costruzione estetica alle donne? Maria non subisce le tracce del tempo perché è senza peccato; così mentre onorabile è la vecchia maschile, quella femminile non esiste nelle sue figure dominanti o non esiste affatto. Ancora, la scrittrice nota acutamente come nel relazionarsi di Cristo con le donne – si pensi anche alla decisione di apparire risorto prima a loro – siano inscritte tracce del rapporto con sua madre, capace di sfidare i pregiudizi. Eppure, insiste, continua ad essere veicolata l’idea di figure defilate, “con il pregio impagabile di non chiedere alla Chiesa spazi diversi da quelli del servizio”, anche se di fatto protagoniste nell’animazione liturgica, nella catechesi e nel volontariato: “Praticamente tutta l’attività pastorale ordinaria si regge sul servizio gratuito e silenzioso del mondo femminile credente”. Però la  Murgia sostiene ingenerosamente che Giovanni Paolo II abbia rimarcato questa concezione “amputata” nei suoi documenti. “L’originalità del pensiero di questo Papa verso le donne è una linea maestra dritta come una spada”, scrisse invece – dopo averlo incontrato personalmente e commentato in un libro la Mulieris dignitatem – Maria Antonietta Macciocchi, intellettuale femminista scomparsa nel 2007. L’Avvenire rimprovera al libro la mancanza di citazione di “giganti” che si sono fatte “strada” nel mondo ecclesiale, confrontandosi a viso aperto pure con le gerarchie, per la loro testimonianza e i loro scritti a dir poco profetici: dalle protagoniste della storia della Chiesa,  come Chiara d’Assisi alle mistiche (laiche e religiose).  come Ildegarda di Bingen, dalle donne proclamate “dottore della Chiesa” come Caterina da Siena, fino alle fondatrici di associazioni e movimenti, come Chiara Lubich, che hanno aperto più di qualche breccia. Ma, a parte queste mancanze (un libro non può contenere tutto), la scrittura è chiara, l’ispirazione autentica e la lettura illuminante. Un pampleth, è questo lo è per affermazione della stessa Autrice, è frutto di uno scritto polemico e va reso onore e merito alla Murgia, di essere riuscita, con molto acume ed originalità, da posizi9oni cattoliche e non revisioniste, di realizzare il proprio testo non come uno sfogo estemporaneo o una reazione viscerale di fronte ad una situazione insostenibile, bensì come una lucida denuncia contro in malinteso fatto culturale ed un colpevole ritardo valutativo della chiesa. A differenza dei più comuni pampleth, in cui l’argomentazione è in genere scarna, la ricerca delle prove appare superflua e le posizioni avversarie o l’ingenuità dei lettori sono spesso oggetto di ironia e sarcasmo, questo libro procede in profondità, argomentazioni, prove, metafore, ossimori e antitesi, di grande, riuscita intelligenza.

Carlo Di Stanislao

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