Ad Aleppo si resiste o si muore

Nei giorni scorsi Assad aveva detto, rispolverando un gergo caro a Gheddafi, che ad Aleppo, accerchiata da giorni, si sarebbe presto combattuta “la madre di tutte le battaglie”. E, dalle prime ore del mattino, l’offensiva dei lealisti contro i ribelli asserragliati nella città del Nord della Siria, è partita con supporto di elicotteri e carri […]

Nei giorni scorsi Assad aveva detto, rispolverando un gergo caro a Gheddafi, che ad Aleppo, accerchiata da giorni, si sarebbe presto combattuta “la madre di tutte le battaglie”.
E, dalle prime ore del mattino, l’offensiva dei lealisti contro i ribelli asserragliati nella città del Nord della Siria, è partita con supporto di elicotteri e carri armati.
Aleppo è la città più popolosa della Siria e con 1.900.000 abitanti, supera di 230.000 unità la capitale Damasco.
Nel 2006 la città è stata eletta Capitale culturale del mondo islamico ed è in più è iscritta nell’elenco dei patrimoni culturali dell’umanità sin dal 1986.
Con il suo affascinante suq coperto, lungo ben 16 km, la cittadella, il museo e i caravanserragli, Aleppo è un gioiello come ebbe a dire Lawrence D’Arabia, che per molti anni alloggiò all’ Hotel Baron, nel centro della città.
Nelle ultime ore i ribelli hanno effettuato attacchi ai posti di blocco dell’esercito, ma sempre evitato lo scontro diretto.
I bombardamenti sono ripresi intensissimi dalle prime ore di oggi, sia a terra che per via aerea, con i numerosi elicotteri che sovrastano la zona.
Inoltre, il dipartimento di Stato americano ha lanciato l’allarme, poiché schiere di carri armati continuano ad arrivare nella città ed in volo ci sono aerei da combattimento.
Ci si aspetta un’inaudita escalation di violenza contro gli oppositori del regime e si teme una vera e propria carneficina.
Sempre stamani è giunta notizia è della fuga di una parlamentare siriana, Ikhlas al-Badawi, che ha raggiunto la Turchia qualche ora fa.
La donna rappresenta proprio la provincia di Aleppo. Il suo commento è chiaro e conciso: “Ho attraversato la Turchia e ho disertato questa regime tirannico a causa della repressione e della tortura barbara contro una nazione che chiede un minimo di diritti”.
Il generale Manaf Tlass, già stretto collaboratore di Assad e figlio di un ex ministro della difesa, che aveva disertato pochi giorni fa, ha lanciato un appello dalle telecamere dell’emittente al Arabiya.
L’ex generale, finora l’ufficiale più importante a passare di campo, si è rivolto ai suoi ex commilitoni: “Mi rivolgo a voi come un figlio dell’esercito arabo siriano – ha detto Tlass – che ha rifiutato i crimini di questo regime corrotto. Le persone onorevoli nell’esercito non devono accettare questi crimini”.
La tv di stato siriana ha trasmesso invece le immagini dei soldati che pattugliano i quartieri della capitale Damasco dove si è combattuto duramente nei giorni scorsi. Secondo le opposizioni, però, la situazione a Damasco non è del tutto normalizzata e operazioni militari delle truppe governative sono in corso in diversi quartieri tra cui Kaddam e al-Assali, dove secondo l’Osservatorio, ci sarebbero stati anche arresti sommari e perquisizioni casa per casa.
E mentre Hillary Clinton ha invitato Assad a considerare che “non è ancora troppo tardi per cominciare a pianificare una transizione per trovare un modo per fermare la violenza”, avvisando però che “la situazione sta evolvendo rapidamente”, in Arabia saudita è stata lanciata una colletta nazionale per finanziare i “fratelli” siriani.
Nell’incontro conclusosi ieri, fra il nostro ministro degli esteri Giulio Terzi e il nuovo presidente egiziano Mohammed Morsi, Italia e Israele hanno congiuntamente auspicato la creazione di un governo di transizione che stabilizzi la pace e si sono detti contrari ad un intervento armato.
La loro posizione è appoggiata anche dal segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon, che da Sarajevo, ha ribadito che alle Nazioni Unite non è in discussione nessuna ipotesi d’ intervento militare.
Contraria alla guerra anche la presidente brasiliana Dilma Rousseff, che a Londra ha incontrato il premier britannico David Cameron, precisando la sua ostilità ad un intervento armato in Sira per paura della creazione di “una situazione simile a quelle dell’Iraq e dell’Afghanistan”.
Si teme anche per la minaccia di ricorrere ad armi chimiche formulata giorni fa da Assad, con la comunità internazionale, USA e Israele in testa, che sta attuando un monitoraggio spasmodico circa tale eventualità.
Una situazione che ha portato la Turchia a chiudere “per motivi di sicurezza” tutti i valichi di frontiera, anche se permetterà l’ingresso ai profughi in fuga dal conflitto.
Circa il Free Syrian Army, l’Esercito libero siriano (Els), soltanto un mese fa appariva più come un esercito mediatico che reale e nessuno nelle piazze di Homs e Hama menzionava mai il nome del comandante, il colonnello Riaad Al Assaad.
Ma questo esercito, male equipaggiato e scarsamente addestrato, una settimana fa è diventato protagonista di un’offensiva che poteva risultare fatale al regime.
La versione ufficiale della storia è quella del portavoce a Parigi del comando congiunto tra l’Esl e la guerriglia dell’interno. “I giorni di Bashar Assad sono contati – sostiene Fahad al Masri – al termine del Ramadan, il 20 agosto, potremo celebrare insieme la fine del digiuno e anche quella di Assad”. Ma al di là delle dichiarazioni enfatiche è stato sorprendente che dopo avere annunciato l’Operazione Vulcano – l’attacco al cuore del potere – la guerriglia fosse in grado di colpire come mai era accaduto prima in un conflitto a bassa intensità.
Gli attacchi in simultanea, che hanno preceduto di un giorno l’attentato ai vertici militari, sono stati resi possibili dall’afflusso di centinaia di combattenti da Sud, dalla provincia di Deraa: secondo fonti della sicurezza di Damasco all’operazione Vulcano avrebbero partecipato 6mila uomini. Sono comparse nuove armi: le immagini dei thank di fabbricazione russa carbonizzati nelle strade ci dicono in maniera abbastanza esplicita che la guerriglia ha in mano razzi anti-carro efficaci.
Del resto è stata annunciata la costituzione di un fondo per l’opposizione da 300 milioni di dollari con il sostegno delle petromonarchie del Golfo.
Il denaro del Qatar e dell’Arabia Saudita ha accelerato l’arrivo di armi dalla frontiera turca dove Ankara ha abbandonato ogni remora nell’appoggiare la guerriglia: le operazioni si sono intensificate dopo l’incidente del 22 giugno scorso quando l’anti-aerea siriana ha abbattuto un caccia turco.
Anche il fenomeno delle diserzioni ha avuto il suo peso, alimentato dai finanziamenti del Qatar che insieme alla Turchia ospita diversi generali e qualche diplomatico.
Il nome accadico di Aleppo era Halap o Halab, che significherebbe metallo di ferro o rame e, in queste ore, il ferro e la morte la attraversano in ogni senso.
Ad una quarantina di chilometri a ovest di Aleppo si trova Qala’at Samaan, la basilica eretta per ricordare l’asceta San Simeone, che rimase per 36 anni su un’alta colonna e là in cima celebrava la messa, predicava e rispondeva alle domande dei fedeli. San Simeone è il personaggio che ha ispirato Luis Bunuel per un breve e bellissimo film, “Simon del deserto” e noi speriamo che, in questi giorni ritorni in questi luoghi devastati a riportare pace e speranza o illumini i contendenti e li faccia ragionare senza l’uso delle armi. Nel film di Bunuel, in italiano meglio esplicato come “Intolleranza-Simon del deserto”, le metamorfosi del Diavolo (meglio: i travestimenti di Silvia Pinal), personaggio di esplicita carica blasfema, indicano al’uomo la vera via, quella del dialogo che coniughi gli opposti, prima della distruzione che è, inevitalmente, anche autodistruzione.

Carlo Di Stanislao

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