Papa Francesco annuncia ai giovani la Vita Eterna

“Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco. La voce di Gesù è unica! Egli ci guida sulla via della vita”(Papa Francesco). Il 22 Aprile 2013 ricorre il 40.mo anniversario della professione religiosa solenne nella Compagnia di Gesù dell’allora padre Bergoglio, avvenuta il 22 Aprile 1973. La data del 22 Aprile è […]

“Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco. La voce di Gesù è unica! Egli ci guida sulla via della vita”(Papa Francesco). Il 22 Aprile 2013 ricorre il 40.mo anniversario della professione religiosa solenne nella Compagnia di Gesù dell’allora padre Bergoglio, avvenuta il 22 Aprile 1973. La data del 22 Aprile è una delle “classiche” in cui i Gesuiti pronunciano i loro “ultimi voti” al termine del lungo periodo della loro formazione religiosa. E ciò perché il 22 Aprile 1542 Ignazio di Loyola e i suoi primi compagni pronunciarono a Roma la loro professione solenne dopo l’approvazione da parte di Papa Paolo III del nuovo Ordine allora nascente. Ciò avvenne nella Basilica di San Paolo, davanti a quell’immagine della Madonna, dove Papa Francesco volle appunto sostare in preghiera a conclusione della solenne celebrazione per la “presa di possesso” della Basilica Ostiense, Domenica 14 Aprile 2013. La Chiesa non è una “babysitter” né “una religione da negozio” né “per gli arrampicatori” e Dio non è uno “spray”. Sono alcune delle espressioni forti usate da Papa Francesco per riaffermare il messaggio evangelico e l’istruzione “Dominus Iesus”, che Cristo è l’unico Salvatore. “Qualcuno di voi – afferma Papa Bergoglio – dirà: ‘Padre, lei è fondamentalista!’. No – chiarisce il Sommo Pontefice – semplicemente questo l’ha detto Papa Francesco foto ufficialeGesù: ‘Io sono la porta’, ‘Io sono il cammino’, per darci la vita. Semplicemente. È una porta bella, una porta d’amore, è una porta che non ci inganna, non è falsa. Sempre dice la verità. Ci sono forse ‘sentierì più facili, ma – ammonisce il Papa – sono ingannevoli, non sono veri: sono falsi. Soltanto Gesù è la strada”. Il Vangelo del Buon Pastore con Gesù che si definisce “la porta delle pecore”, annuncia che chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, non è il pastore. L’unica porta per entrare nel Regno di Dio, per entrare nella Chiesa – afferma Papa Bergoglio – è Gesù stesso. “Chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro o un brigante”. È “uno che vuole fare profitto per se stesso” – avverte il Papa – è uno che “vuole salire: anche nelle comunità cristiane ci sono questi arrampicatori, no?, che cercano il loro” privilegio “e coscientemente o incoscientemente fanno finta di entrare ma sono ladri e briganti”. Perché? “Perché rubano la gloria a Gesù, vogliono la propria gloria e questo è quello che diceva ai farisei: ‘Voi girate la gloria uno all’altro’. Una religione un po’ da negozio, no? Io do la gloria a te e tu dai la gloria a me. Ma questi non sono entrati dalla porta vera. La porta è Gesù e chi non entra da questa porta si sbaglia”. E come so che la porta vera è Gesù? Come so che questa porta è quella di Gesù? “Ma, prendi le Beatitudini e fa quello che dicono le Beatitudini. Sei umile, sei povero, sei mite, sei giusto …”. Ma “Gesù – insiste il Papa – non solo è la porta: è il cammino, è la strada. Ci sono tanti sentieri, forse più vantaggiosi per arrivare: ma sono ingannevoli, non sono veri: sono falsi. La strada è soltanto Gesù che sempre dice la verità. Ma con tenerezza, con amore. Ma sempre noi abbiamo quello che è stato all’origine del peccato originale, no? Abbiamo la voglia di avere la chiave di interpretazione di tutto, la chiave e il potere di fare la nostra strada, qualsiasi essa sia, di trovare la nostra porta”, a qualunque costo. “A volte – afferma Papa Francesco – abbiamo la tentazione di essere troppo padroni di noi stessi e non umili figli e servi del Signore. E questa è la tentazione di cercare altre porte o altre finestre per entrare nel Regno di Dio. Soltanto si entra da quella porta che si chiama Gesù. Soltanto si entra da quella porta che ci porta su una strada che è una strada che si chiama Gesù e ci porta alla vita che si chiama Gesù. Tutti coloro che fanno un’altra cosa – dice il Signore – che salgono per entrare dalla finestra, sono ‘ladri e briganti’. È semplice, il Signore. Non parla difficile: Lui è semplice”. Papa Francesco invita a chiedere “la grazia di bussare sempre a quella porta: a volte è chiusa e noi siamo tristi, abbiamo desolazione, abbiamo problemi a bussare, a bussare a quella porta”. Papa Bergoglio invita a “non andare a cercare altre porte che sembrano più facili, più confortevoli, più alla mano. Sempre quella: Gesù. E Gesù non delude mai, Gesù non inganna, Gesù non è un ladro, non è un brigante. Ha dato la sua vita per me: ciascuno di noi deve dire questo: e Tu che hai dato la vita per me, per favore, apri, perché io possa entrare”. Il messaggio che Papa Francesco ha affidato ai fedeli, in occasione della Giornata delle vocazioni, Domenica 21 Aprile 2013, è diretto: “La giovinezza bisogna metterla in gioco per grandi ideali”. Il Santo Padre osserva che “a volte Gesù ci chiama, ci invita a seguirlo, ma forse succede che non ci rendiamo conto che è Lui”. Nell’affacciarsi alla finestra del Palazzo Apostolico per la preghiera del “Regina Coeli” di mezzogiorno, guardando la folla di circa 100mila fedeli che lo Papa Francescoascoltava in piazza San Pietro, il Pontefice continua:“Ci sono molti giovani oggi, qui in Piazza. Vorrei chiedervi: qualche volta avete sentito la voce del Signore che attraverso un desiderio, un’inquietudine, vi invitava a seguirlo più da vicino? Avete avuto voglia di essere apostoli di Gesù? Proprio come è capitato al giovane Samuele”. Papa Francesco si è rivolto personalmente a ciascuno dei ragazzi presenti: “Domanda a Gesù – chiede il Papa – che cosa vuole da te e sii coraggioso!”. In proposito il Sommo Pontefice ricorda che “Gesù vuole stabilire con i suoi amici una relazione che sia il riflesso di quella che Lui stesso ha con il Padre: una relazione di reciproca appartenenza nella fiducia piena, nell’intima comunione”. Papa Bergoglio cita la parabola del Buon Pastore. “Per esprimere questa intesa profonda, questo rapporto di amicizia, Gesù usa l’immagine del pastore con le sue pecore: lui le chiama ed esse riconoscono la sua voce, rispondono al suo richiamo e lo seguono. È bellissima questa parabola!”. Ai giovani che scandiscono: “Francesco, Francesco!”, il Papa dice: “Vi ringrazio per il saluto, ma gridate anche: Gesù, Gesù!”. Fiducia piena, intima comunione, intesa profonda. Con queste espressioni Papa Francesco parla del rapporto di amicizia che tutti possono avere con il Risorto, Gesù, ascoltando la Sua voce. Papa Bergoglio ricorda la Giornata Mondiale delle vocazioni, don Niccolò Rusca proclamato Beato e richiama le parole di Gesù riportate nel Vangelo di Giovanni: “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono, nessuno le strapperà dalla mia mano, nessuno può strapparle dalla mano del Padre mio”. Il brano riporta le parole del Signore: “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre mio. Io e il Padre siamo una cosa sola”(10,27-30). Il Sommo Pontefice afferma che “in questi quattro versetti c’è tutto il messaggio di Gesù: Lui ci chiama a partecipare alla Sua relazione con il Padre, e questa è la Vita Eterna”. Il Papa si sofferma sul mistero della voce. “È bellissima questa parabola! Il mistero della voce è suggestivo: fin dal grembo di nostra madre impariamo a riconoscere la sua voce e quella del papà; dal tono di una voce percepiamo l’amore o il disprezzo, l’affetto o la freddezza. La voce di Gesù è unica! Se impariamo a distinguerla, Egli ci guida sulla via della vita, una via che oltrepassa anche l’abisso della morte”. Papa Francesco parla di “mistero profondo, non facile da comprendere” nella nostra società. “Se io mi sento attratto da Gesù, se la sua voce riscalda il mio cuore, è grazie a Dio Padre, che ha messo dentro di me il desiderio dell’amore, della verità, della vita, della bellezza: Gesù è tutto questo in pienezza!”. Questo ci aiuta a comprendere il mistero della vocazione. “Domanda a Gesù che cosa vuole da te e sii coraggioso! Sii coraggiosa! Domandaglielo! La giovinezza bisogna metterla in gioco per grandi ideali. Domanda a Gesù che cosa vuole da te e sii coraggioso! Le vocazioni – afferma Papa Francesco – nascono nella preghiera e dalla preghiera; e solo nella preghiera possono perseverare e portare frutto. Dietro, e prima di, ogni vocazione al sacerdozio o alla vita consacrata, c’è sempre la preghiera forte e intensa di qualcuno: di una nonna, di un nonno, di una madre, di un padre, di una comunità. Mi piace sottolinearlo oggi, che è la Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni. Preghiamo in particolare per i nuovi Sacerdoti della Diocesi di Roma che ho avuto la gioia di ordinare stamani. C’erano 10 giovani che hanno detto “sì” a Gesù e sono stati ordinati preti stamane. È bello questo!”. Il Papa chiede di pregare “Maria perché ci aiuti a conoscere sempre meglio la voce di Gesù e a seguirla, per camminare nella via della vita!”, e ricorda la beatificazione a Sondrio di don Nicolò Rusca, sacerdote valtellinese vissuto tra i secoli sedicesimo e diciassettesimo. “Fu a lungo parroco esemplare a Sondrio e venne ucciso nelle lotte politico-religiose che travagliarono l’Europa in quell’epoca. Lodiamo il Signore per la sua testimonianza! In questa Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, nata cinquant’anni fa da una felice intuizione di Papa Paolo VI, invito tutti ad una speciale preghiera affinché il Signore mandi numerosi Papa Bergogliooperai nella sua messe. Sant’Annibale Maria Di Francia, apostolo della preghiera per le vocazioni, ci ricorda questo importante impegno”. Nell’omelia della Santa Messa celebrata nella basilica vaticana, Domenica 21 Aprile 2013, per l’ordinazione sacerdotale di dieci nuovi preti formati nei seminari romani, Papa Francesco dichiara: “Fratelli e sorelle carissimi, questi nostri fratelli e figli sono stati chiamati all’ordine del presbiterato. Riflettiamo attentamente a quale ministero saranno elevati nella Chiesa. Come voi ben sapete il Signore Gesù è il solo Sommo Sacerdote del Nuovo Testamento, ma in Lui anche tutto il popolo santo di Dio è stato costituito popolo sacerdotale. Nondimeno, tra tutti i suoi discepoli, il Signore Gesù vuole sceglierne alcuni in particolare, perché esercitando pubblicamente nella Chiesa in suo nome l’officio sacerdotale a favore di tutti gli uomini, continuassero la sua personale missione di maestro, sacerdote e pastore. Come, infatti, per questo Egli era stato inviato dal Padre, così Egli inviò a sua volta nel mondo prima gli Apostoli e poi i Vescovi e i loro successori, ai quali infine furono dati come collaboratori i presbiteri, che, ad essi uniti nel ministero sacerdotale, sono chiamati al servizio del Popolo di Dio. Dopo matura riflessione e preghiera, ora stiamo per elevare all’ordine dei presbiteri questi nostri fratelli, perché al servizio di Cristo, Maestro, Sacerdote, Pastore, cooperino ad edificare il Corpo di Cristo che è la Chiesa in Popolo di Dio e Tempio santo dello Spirito Santo. Essi saranno infatti configurati a Cristo Sommo ed Eterno Sacerdote, ossia saranno consacrati come veri sacerdoti del Nuovo Testamento, e a questo titolo, che li unisce nel sacerdozio al loro Vescovo, saranno predicatori del Vangelo, Pastori del Popolo di Dio, e presiederanno le azioni di culto, specialmente nella celebrazione del sacrificio del Signore. Quanto a voi, fratelli e figli dilettissimi, che state per essere promossi all’ordine del presbiterato, considerate che esercitando il ministero della Sacra Dottrina sarete partecipi della missione di Cristo, unico Maestro. Dispensate a tutti quella Parola di Dio, che voi stessi avete ricevuto con gioia. Ricordate le vostre mamme, le vostre nonne, i vostri catechisti, che vi hanno dato la Parola di Dio, la fede, il dono della fede! Vi hanno trasmesso questo dono della fede. Leggete e meditate assiduamente la Parola del Signore per credere ciò che avete letto, insegnare ciò che avete appreso nella fede, vivere ciò che avete insegnato. Ricordate anche che la Parola di Dio non è proprietà vostra: è Parola di Dio. E la Chiesa è la custode della Parola di Dio. Sia dunque nutrimento al Popolo di Dio la vostra dottrina, gioia e sostegno ai fedeli di Cristo il profumo della vostra vita, perché con la parola e l’esempio edifichiate la casa di Dio, che è la Chiesa. Voi continuerete l’opera santificatrice di Cristo. Mediante il vostro ministero, il sacrificio spirituale dei fedeli viene reso perfetto, perché congiunto al sacrificio di Cristo, che per le vostre mani, in nome di tutta la Chiesa, viene offerto in modo incruento sull’altare nella celebrazione dei Santi Misteri. Riconoscete dunque ciò che fate, imitate ciò che celebrate, perché partecipando al ministero della morte e resurrezione del Signore, Papa Francesco in preghieraportiate la morte di Cristo nelle vostre membra e camminiate con Lui in novità di vita. Con il Battesimo aggregherete nuovi fedeli al Popolo di Dio. Con il Sacramento della Penitenza rimetterete i peccati nel nome di Cristo e della Chiesa. E oggi vi chiedo in nome di Cristo e della Chiesa: per favore, non vi stancate di essere misericordiosi. Con l’olio santo darete sollievo agli infermi e anche agli anziani: non abbiate vergogna di avere tenerezza con gli anziani. Celebrando i sacri riti e innalzando nelle varie ore del giorno la preghiera di lode e di supplica, vi farete voce del Popolo di Dio e dell’umanità intera. Consapevoli di essere stati scelti fra gli uomini e costituiti in loro favore per attendere alle cose di Dio, esercitate in letizia e carità sincera l’opera sacerdotale di Cristo, unicamente intenti a piacere a Dio e non a voi stessi. Siete Pastori, non funzionari. Siete mediatori, non intermediari. Infine, partecipando alla missione di Cristo, Capo e Pastore, in comunione filiale con il vostro Vescovo, impegnatevi a unire i fedeli in un’unica famiglia, per condurli a Dio Padre per mezzo di Cristo nello Spirito Santo. Abbiate sempre davanti agli occhi l’esempio del Buon Pastore, che non è venuto per essere servito, ma per servire, e per cercare di salvare ciò che era perduto”. Il Papa invoca “l’intercessione di Maria che è la Donna del “sì”. Maria ha detto “sì”, tutta la vita! Lei ha imparato a riconoscere la voce di Gesù fin da quando lo portava in grembo. Maria, nostra Madre, ci aiuti a conoscere sempre meglio la voce di Gesù e a seguirla, per camminare nella via della vita!”. L’invito del Papa rivolto alle famiglie cattoliche è quello di non “sequestrare” i propri figli ma di essere attenti alla chiamata del Signore, come la mamma del giovane Samuele. “La Chiesa non deve essere come una babysitter che cura il bambino per farlo addormentare. Se così fosse – avverte il Papa – sarebbe una Chiesa sopita. Chi ha conosciuto Gesù ha la forza e il coraggio di annunciarlo. Allo stesso modo, chi ha ricevuto il battesimo ha la forza di camminare, di andare avanti, di evangelizzare. E “quando facciamo questo la Chiesa diventa una madre che genera figli” capaci di portare Cristo nel mondo. Il Pontefice – commentando la prima lettura tratta dagli Atti degli apostoli (8, 1-8) – ha ricordato che “dopo il martirio di Stefano, scoppiò una violenta persecuzione contro la Chiesa di Gerusalemme. Abbiamo letto nel libro degli Atti che la Chiesa era tutta tranquilla, tutta in pace, la carità tra loro, le vedove erano curate. Ma poi  arriva la persecuzione. Questo è un po’ lo stile della vita della Chiesa: fra la pace della carità e la persecuzione”. E ciò accade perché “questa è stata la vita di Gesù”. In seguito alla persecuzione tutti fuggirono tranne gli apostoli. I cristiani invece “sono andati. Soli. Senza prete. Senza vescovi: soli. I vescovi, gli apostoli, erano a Gerusalemme a fare un po’ di resistenza a queste persecuzioni”. Tuttavia quelli che erano fuggiti  “andarono di luogo in luogo, annunziando la Parola”. Proprio su costoro Papa Bergoglio focalizza l’attenzione. Essi “hanno lasciato la casa,  hanno portato con sé forse poche cose; non avevano sicurezza, ma andarono di luogo in luogo annunciando la Parola. Portavano con sé la ricchezza che avevano: la fede. Quella ricchezza che il Signore aveva dato loro. Erano semplici fedeli, appena battezzati da un anno o poco più, forse. Ma avevano quel coraggio di andare ad annunziare.  Ed erano creduti! E facevano anche miracoli!”. Dice la Scrittura:“Molti indemoniati espellevano spiriti impuri, emettendo alte grida, e molti paralitici e storpi furono guariti”. E alla fine: «“Vi fu grande gioia in quella città!”. Era andato anche Filippo. “Questi cristiani – cristiani da poco tempo – hanno avuto la forza, il coraggio di annunciare Gesù. Lo annunziavano con le parole, ma anche con la loro vita. Suscitavano curiosità: “Ma chi sono questi?”. E loro lo dicevano: “Abbiamo conosciuto Gesù, abbiamo trovato Gesù, e lo portiamo”. Avevano soltanto  la forza del battesimo. E il battesimo dava loro questo coraggio apostolico, la forza dello Spirito”. La riflessione di Papa Francesco si sposta sull’uomo di oggi. “Io penso a noi, battezzati,  se abbiamo questa forza. E  penso: “Ma noi, crediamo in questo? Che il battesimo sia sufficiente per evangelizzare? O speriamo che il prete dica, che il vescovo dica… E noi?”. Troppo spesso, nota il Sommo Pontefice, “la grazia del battesimo è lasciata un po’ in disparte  e noi ci rinchiudiamo  nei nostri pensieri, nelle nostre cose. A volte pensiamo: No, noi siamo cristiani: abbiamo ricevuto il battesimo, abbiamo fatto la cresima, la prima comunione… e così la carta d’identità è a posto. E adesso, dormiamo tranquilli: siamo cristiani. Ma dov’è questa forza dello Spirito che ti porta avanti?” – si domanda il Papa. “Siamo fedeli allo Spirito per annunciare Gesù con la nostra vita, con la nostra testimonianza e con le nostre parole? Quando facciamo questo, la Chiesa diventa una Chiesa Madre che genera figli”, cioè figli della Chiesa che testimoniano Gesù e la forza dello Spirito. “Ma – è il monito del Papa – quando non lo facciamo, la Chiesa diventa non madre, ma Chiesa babysitter, che cura il bambino per farlo addormentare. È una Chiesa sopita. Pensiamo al nostro battesimo, alla responsabilità del nostro battesimo”. Papa Francesco ricorda un episodio accaduto in Giappone nei primi decenni del Seicento, quando  i missionari cattolici furono cacciati dal Paese e le comunità rimasero  oltre due secoli senza preti. Senza. Quando poi tornarono i missionari trovarono una comunità viva nella quale tutti erano battezzati, catechizzati, sposati in chiesa! E persino quanti erano morti avevano ricevuto una sepoltura cristiana.  “Ma — prosegue il Papa — non c’è prete! Chi aveva  fatto questo? I battezzati!”. Ecco la grande responsabilità dei battezzati: “Annunciare Cristo, portare avanti la Chiesa, questa maternità feconda della Chiesa. Essere cristiano non è fare una carriera in uno studio per diventare un avvocato o un medico cristiano; no. Essere cristiano è un dono che ci fa andare avanti con la forza dello Spirito nell’annuncio di Gesù Cristo”. Papa Bergoglio rivolge il suo pensiero alla Madonna la quale ha sempre accompagnato i cristiani con la preghiera quando erano perseguitati o dispersi. “Pregava tanto. Ma anche li animava: Andate, fate…! Chiediamo al Signore la grazia di diventare battezzati coraggiosi e sicuri che lo Spirito che abbiamo in noi, ricevuto dal battesimo, ci spinge sempre ad annunciare Gesù Cristo con la nostra vita, con la nostra testimonianza e anche con le nostre parole”. La fede è un dono che comincia incontrando Gesù, Persona reale vivente e non un “dio-spray”. Non una presenza impalpabile, un’essenza nebulizzata che si spande intorno senza sapere bene cosa sia. Dio è “Persona” concreta, è un Padre, e dunque la fede in Lui nasce da un incontro vivo, di cui si fa esperienza tangibile. Il brano del Vangelo di Giovanni su cui riflette Papa Francesco – nel quale Gesù dice alla folla che “chi crede ha la vita eterna”– è occasione per un esame di coscienza. “Quante volte – si chiede il Papa – tanta gente dice in fondo di credere in Dio. Ma in quale Dio tu credi?”. È la sua domanda diretta, con la quale il Pontefice pone di fronte l’evanescenza di certe convinzioni con la concretezza di una fede vera. “Un ‘dio diffuso’, un ‘dio-spray’, che è un po’ dappertutto ma non si sa cosa sia. Noi crediamo in Dio che è Padre, che è Figlio, che è Spirito Santo. Noi crediamo in Persone, e quando parliamo con Dio parliamo con Persone: o parlo con il Padre, o parlo con il Figlio, o parlo con lo Spirito Santo. E questa è la fede”. Nel brano del Vangelo, Gesù afferma pure che nessuno può venire a Lui “se non lo attira il Padre”. Queste parole dimostrano che “andare da Gesù, trovare Gesù, conoscere Gesù è un dono” che Dio elargisce. Un dono come quello che vede protagonista il funzionario della regina d’Etiopia descritto nella lettura degli Atti, al quale Cristo invia Filippo a chiarirgli l’Antico Testamento alla luce della Risurrezione. “Quel funzionario – osserva Papa Francesco – non era un uomo comune ma un ministro reale dell’economia e per questo possiamo pensare che sia stato un po’ attaccato ai soldi, un carrierista. Eppure quando questo individuo ascolta Filippo parlargli di Gesù “sente che è una buona notizia”, “sente gioia”, al punto da farsi battezzare nel primo luogo dove trova dell’acqua. Chi ha la fede ha la vita eterna, ha la vita. Ma la fede è un dono, è il Padre che ce la dà. Noi dobbiamo continuare questo cammino. Ma se andiamo su questa strada, sempre con le cose nostre – perché peccatori siamo tutti e noi abbiamo sempre alcune cose che non vanno, ma il Signore ci perdona se gli chiediamo perdono, e avanti sempre, senza scoraggiarci – ma su quella strada ci succederà lo stesso che a questo ministro dell’economia”. Succederà ciò che gli Atti degli Apostoli riferiscono di quel funzionario dopo aver scoperto la fede: “E pieno di gioia proseguiva la sua strada”. Che tipo di felicità? “È la gioia della fede, la gioia di aver incontrato Gesù, la gioia che soltanto ci dà Gesù, la gioia che dà pace: non quella che dà il mondo, quella che dà Gesù. Questa è la nostra fede. Chiediamo al Signore che ci faccia crescere in questa fede, questa fede che ci fa forti, ci fa gioiosi, questa fede che incomincia sempre con l’incontro con Gesù e prosegue sempre nella vita con i piccoli incontri quotidiani con Gesù”.
Nella Udienza Generale di Mercoledì 17 Aprile 2013 in piazza San Pietro, Papa Bergoglio riflette sull’Ascensione di Gesù al cielo. “È salito al cielo, siede alla destra del Padre. Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Nel Credo, troviamo l’affermazione che Gesù «è salito al cielo, siede alla destra del Padre». La vita terrena di Gesù culmina con l’evento dell’Ascensione, quando cioè Egli passa da questo mondo al Padre ed è innalzato alla sua destra. Qual è il significato di questo avvenimento? Quali ne sono le conseguenze per la nostra vita? Che cosa significa contemplare Gesù seduto alla destra del Padre? Su questo, lasciamoci guidare dall’evangelista Luca. Partiamo dal momento in cui Gesù decide di intraprendere il suo ultimo pellegrinaggio a Gerusalemme. San Luca annota: «Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, egli prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme» (Lc 9,51). Mentre “ascende” alla Città santa, dove si compirà il suo “esodo” da questa vita, Gesù vede già la meta, il Cielo, ma sa bene che la via che lo riporta alla gloria del Padre passa attraverso la Croce, attraverso l’obbedienza al disegno divino di amore per l’umanità. Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma che «l’elevazione sulla croce significa e annuncia l’elevazione dell’ascensione al cielo» (n. 661). Anche noi dobbiamo avere chiaro, nella nostra vita cristiana, che l’entrare nella gloria di Dio esige la fedeltà quotidiana alla sua volontà, anche quando richiede sacrificio, richiede alle volte di cambiare i nostri programmi. L’Ascensione di Gesù avvenne papa-francescoconcretamente sul Monte degli Ulivi, vicino al luogo dove si era ritirato in preghiera prima della passione per rimanere in profonda unione con il Padre: ancora una volta vediamo che la preghiera ci dona la grazia di vivere fedeli al progetto di Dio. Alla fine del suo Vangelo, san Luca narra l’evento dell’Ascensione in modo molto sintetico. Gesù condusse i discepoli «fuori verso Betania e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio» (24,50-53); così dice san Luca. Vorrei notare due elementi del racconto. Anzitutto, durante l’Ascensione Gesù compie il gesto sacerdotale della benedizione e sicuramente i discepoli esprimono la loro fede con la prostrazione, si inginocchiano chinando il capo. Questo è un primo punto importante: Gesù è l’unico ed eterno Sacerdote che con la sua passione ha attraversato la morte e il sepolcro ed è risorto e asceso al Cielo; è presso Dio Padre, dove intercede per sempre a nostro favore (cfr Eb 9,24). Come afferma san Giovanni nella sua Prima Lettera Egli è il nostro avvocato: che bello sentire questo! Quando uno è chiamato dal giudice o va in causa, la prima cosa che fa è cercare un avvocato perché lo difenda. Noi ne abbiamo uno, che ci difende sempre, ci difende dalle insidie del diavolo, ci difende da noi stessi, dai nostri peccati! Carissimi fratelli e sorelle, abbiamo questo avvocato: non abbiamo paura di andare da Lui a chiedere perdono, a chiedere benedizione, a chiedere misericordia! Lui ci perdona sempre, è il nostro avvocato: ci difende sempre! Non dimenticate questo! L’Ascensione di Gesù al Cielo ci fa conoscere allora questa realtà così consolante per il nostro cammino: in Cristo, vero Dio e vero uomo, la nostra umanità è stata portata presso Dio; Lui ci ha aperto il passaggio; Lui è come un capo cordata quando si scala una montagna, che è giunto alla cima e ci attira a sé conducendoci a Dio. Se affidiamo a Lui la nostra vita, se ci lasciamo guidare da Lui siamo certi di essere in mani sicure, in mano del nostro salvatore, del nostro avvocato. Un secondo elemento: san Luca riferisce che gli Apostoli, dopo aver visto Gesù salire al cielo, tornarono a Gerusalemme “con grande gioia”. Questo ci sembra un po’ strano. In genere quando siamo separati dai nostri familiari, dai nostri amici, per una partenza definitiva e soprattutto a causa della morte, c’è in noi una naturale tristezza, perché non vedremo più il loro volto, non ascolteremo più la loro voce, non potremo più godere del loro affetto, della loro presenza. Invece l’evangelista sottolinea la profonda gioia degli Apostoli. Ma come mai? Proprio perché, con lo sguardo della fede, essi comprendono che, sebbene sottratto ai loro occhi, Gesù resta per sempre con loro, non li abbandona e, nella gloria del Padre, li sostiene, li guida e intercede per loro. San Luca narra il fatto dell’Ascensione anche all’inizio degli Atti degli Apostoli, per sottolineare che questo evento è come l’anello che aggancia e collega la vita terrena di Gesù a quella della Chiesa. Qui san Luca accenna anche alla nube che sottrae Gesù dalla vista dei discepoli, i quali rimangono a contemplare il Cristo che ascende verso Dio (cfr At 1,9-10). Intervengono allora due uomini in vesti bianche che li invitano a non restare immobili a guardare il cielo, ma a nutrire la loro vita e la loro testimonianza della certezza che Gesù tornerà nello stesso modo con cui lo hanno visto salire al cielo (cfr At 1,10-11). È proprio l’invito a partire dalla contemplazione della Signoria di Cristo, per avere da Lui la forza di portare e testimoniare il Vangelo nella vita di ogni giorno: contemplare e agire, ora et labora insegna san Benedetto, sono entrambi necessari nella nostra vita di cristiani. Cari fratelli e sorelle, l’Ascensione non indica l’assenza di Gesù, ma ci dice che Egli è vivo in mezzo a noi in modo nuovo; non è più in un preciso posto del mondo come lo era prima dell’Ascensione; ora è nella signoria di Dio, presente in ogni spazio e tempo, vicino ad ognuno di noi. Nella nostra vita non siamo mai soli: abbiamo questo avvocato che ci attende, che ci difende. Non siamo mai soli: il Signore crocifisso e risorto ci guida; con noi ci sono tanti fratelli e sorelle che nel silenzio e nel nascondimento, nella loro vita di famiglia e di lavoro, nei loro problemi e difficoltà, nelle loro gioie e speranze, vivono quotidianamente la fede e portano, insieme a noi, al mondo la signoria dell’amore di Dio, in Cristo Gesù risorto, asceso al Cielo, avvocato per noi. Grazie”. Le nuove espressioni usate da Papa Francesco hanno ormai raggiunto una diffusione planetaria grazie anche a Internet. Sono formule di un linguaggio icastico e plastico che in poche battute riesce a condensare efficacemente temi evangelici di ampia trattazione e che bastano da sole per far riflettere sul magistero di Papa Bergoglio. Un linguaggio tipico della comunicazione del web. Inedito nella storia del magistero petrino. “Gesù Cristo non ha mai usato argomentazioni, usava lo stile, usava certe metafore. Usava frasi che facevano colpo. Non diceva: ‘Son sono venuto a portare la pace ma la guerra’, bensì: ‘Non sono venuto a portare la pace ma la spada’. Cristo pensava per parabole”. Sono parole dello scrittore argentino Luis Borges, conosciuto da Papa Bergoglio e da lui ricordato, il quale così proseguiva: “Un uomo, se è un cristiano, non dovrebbe essere solo intelligente, dovrebbe essere anche un artista, perché Cristo ha insegnato l’arte attraverso il suo modo di predicare, perché ognuna delle frasi di Cristo, se non ogni singola parola, ha valore letterario e la si può prendere come metafora o come parabola”. L’arte di cui parla Borges altro non è che la “sapienza del porgere”, la “pronuntiatio” ricercata dai Padri della Chiesa e dai Padri Predicatori di San Domenico che consideravano arte l’omelia. Arte di conversare semplicemente con gli uomini. Le coordinate di Papa Francesco si fondano sul primato della parola e dell’espressione visiva nel suo statuto comunicativo e relazionale, sul primato della colloquialità, dell’accessibilità, della chiarezza e della bellezza, mediante la parola che subito apre e illumina le menti. È questo il “sermo humilis” che consente di parlare a tutti. Cioè all’universalità ed alla contemporaneità del mondo in divenire. Per una Chiesa Cattolica che vuole essere “amica” del suo tempo. Come insegna Sant’Agostino, maestro per eccellenza del “sermo humilis” nel “De predestinatione sanctorum” dove condensa il significato del “sermo humilis” in due aggettivi: utile ed adatto. Poiché la verità cristiana è “amorosa e soave salvezza” deve essere posta “suaviter”, con delicatezza, sia per rispetto della sua stessa natura sia tanto più per il rispetto delle possibilità di ricezione dell’uditore affinché questi la possa accogliere e diffondere. Sono queste le ragioni di un linguaggio universale, quasi matematico, che abbraccia tutti ed è comprensivo del mondo e dei viventi. Del Creato. Poiché è con essi dialogante e da essi comprensibile. Comprensivo e comprensibile, perché “sermo humilis” è anche “caritas”, cioè lieta novella nell’accezione agostiniana. È questo il primo insegnamento del “sermo” di Papa Francesco: che è esso stesso un atto d’amore, un atto d’amore verso Dio e verso l’Umanità, per far dialogare la Chiesa terrestre e quella Celeste. Infine un pensiero al neoletto capo dello Stato italiano. “Grande disponibilità e spirito di sacrificio”. Così scrive Papa Francesco nel telegramma inviato a Giorgio Napolitano nel momento in cui “ha accettato nuovamente la suprema magistratura dello Stato italiano quale presidente della repubblica”. Papa Francesco esprime “le più sincere e cordiali espressioni augurali”. Scrive il Papa: “Mentre auspico che ella possa continuare la sua azione illuminata e saggia sostenuto dalla responsabile cooperazione di tutti, invoco sulla sua persona e sul suo alto servizio al paese la costante assistenza divina e di cuore invio a lei ed alla diletta nazione italiana la benedizione apostolica, quale incoraggiamento a costruire un futuro di concordia, di solidarietà e di speranza”.

Nicola Facciolini

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