Europa o no

Uscito il 24 aprile per Rizzoli, promosso con una puntata praticamente ad hoc da Lilli Gruber di “Otto e mezzo”, “Europa o no” dell’economista antielitario Luigi Zingales è un saggio abbracciato da tutta la stampa di destra (a partire da “il Foglio”) per dire no ad un Euro che, come sostiene la Lega, ha portato […]

Europa_bandiera2Uscito il 24 aprile per Rizzoli, promosso con una puntata praticamente ad hoc da Lilli Gruber di “Otto e mezzo”, “Europa o no” dell’economista antielitario Luigi Zingales è un saggio abbracciato da tutta la stampa di destra (a partire da “il Foglio”) per dire no ad un Euro che, come sostiene la Lega, ha portato solo grane crescenti e crescente disoccupazione non solo al nostro Paese, perché vi si legge un secco no al “vincolo esterno” europeo come metodo utile per correggere il legno storto che siamo.
In verità il saggio è molto più complesso e composito e delinea una Europa-sogno ancora tutta da definire, con una domanda iniziale invertita che si chiede non perché l’Italia è entrata nell’Euro, ma perché i grandi partner l’hanno accettata, nonostante e suoi guasti e, ancora, vi si spiega quanto il progetto europeo abbia inciso nelle scelte politico-economiche del Paese e cosa succederebbe se davvero tornassimo alla vecchia lira.

Insomma la lettura che ne fa la destra è di parte e non rispecchia l’intenzione dell’autore, il quale invece sostiene (con eccellenti argomentazioni), che a fronte di un europeismo di élite, c’è sempre stato un nazionalismo straccione: dal Masaniello alle truppe del Cardinale Ruffo che soppressero nel sangue la Rivoluzione Napoletana del 1799, con un popolo oppresso e spesso ignorante ha dimostrato un attaccamento ossessivo non solo al proprio campanile, ma anche alle istituzioni esistenti.

Non per amore, ma per mancanza di fiducia che un cambiamento potesse portare un mondo migliore.
L’odio contro lo straniero era principalmente un odio contro quella élite economica nostrana che ricorreva allo straniero per governare e mantenere i propri privilegi.
Nota Zingales che oggi quando solo il 25% degli italiani ha fiducia nell’Europa, l’attrattiva elettorale delle posizioni antieuropeiste è troppo forte per non essere cavalcata. Finora l’euroscetticismo è stato limitato ai partiti anti-establishment (Movimento 5 Stelle e Lega). Ma la tentazione è forte anche per Berlusconi, che, se non ci fossero i suoi consulenti a ricordargli quanto le sue aziende perderebbe in caso di uscita dall’euro, si buttato ancor più a capofitto nella campagna anti euro.
Questo crescente antieuropeismo è colpa di chi, come i potenti banchieri, ha usato l’Europa in Italia come molti cattivi genitori usavano (spero la pratica sia svanita) lo spauracchio dell’uomo nero per spaventare i figli e costringerla a fare il loro dovere. Così come i bambini cresciuti con tale spauracchio diventano adulti razzisti, l’uso strategico dell’Europa per costringere l’Italia a delle scelte necessarie, ha reso gli italiani antieuropeisti.

Zingales dice che i guasti italiani sono tutti nostri e tali restano, avvertendo, inoltre, che la scelta euro o non euro non influisce sulla dimensione  della torta economica che siamo in grado di produrre, ma determina anche chi si appropria della fetta più grossa di questa torta. È, quindi, una scelta politica, non solo economica, che perrché sia fatta in modo consapevole, è necessario che i termini dell’alternativa siano compresi da tutti. Questo è lo scopo del mio “Europa o no”: cercare di spiegare gli errori fatti nel processo di integrazione europea ed i costi e benefici delle opzioni future.
Quindi, per buona pace di Ferrara ed altri, il libro non è né contro l’euro né contro l’Europa e ricorda<, invece, che nel 2011, in piena crisi dello spread, alcune case di investimento realizzarono report e simulazioni sulla scomparsa dell’euro: gli scenari si sprecavano e, in alcuni, venivano anche previsti sommovimenti sociali.Sempre allora, Marcello Minenna, docente di Finanza matematica alla Bocconi ed autore del libro “La moneta incompiuta”, con dati alla mano (pubblicati su Il Sole 24 Orwe), spiegava che: “la percentuale di obbligazioni emesse da banche e aziende di Paesi dell’Eurozona che ricadono sotto una giurisdizione estera, in rapporto al totale del debito che include anche quello governativo, vedeva vede l’Italia subito dopo Irlanda Olanda e Fillandia”, con l’avvertimento che: “più alta è questa percentuale, minori risulterebbero i benefici di un’uscita dalla moneta unica dato che i debiti andrebbero comunque ripagati in euro con aggravio dei costi”, aggiungendo ancora che: “Ci siamo ormai spinti troppo avanti e ci sono troppe interconnessione l’ipotetico abbandono della moneta unica darebbe il via a infinite contestazioni e dispute legali che potrebbero far felici solo gli avvocati”.

Carlo Di Stanislao

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